Siamo ahimé nel 2020, nell'anno della disgrazia Covid, un virus che ha rovesciato così tanto il mondo che spesso ragioniamo con i piedi. Questa pandemia (che qualcuno nega, ma non è questo l'argomento dell'articolo) ci ha divisi su molti aspetti, ha diviso le nazioni e ha trasformato fini cervelli in hooligans della ragione, da una parte gli uni e dall'altra gli altri, come se ci fosse una verità precostituita su una vicenda nuova, che vista la novità dovrebbe spingere le parti non alla contrapposizione ma alla sintesi. Così sono emerse le contraddizioni dell'umano, i tentativi esecrabili di costituirsi parte civile dell'accusa e dell'accusato in base alla convenienza o di trasformare il detto "dura lex sed lex" in un indolente "me ne frego!".

Ciò che è accaduto nella terza giornata del campionato di calcio è lo specchio della nostra società italiana, fondata sull'elusione delle regole, nel tentativo estremo non di correggere, ma di far saltare la struttura. La lega di serie A, di cui fanno parte sia il Napoli Calcio che la Juventus FC, aveva definito le regole, cercando di seguire i suggerimenti della Uefa e tenendo conto delle direttive sulla salute. Speranza, che ha voluto puntualizzare ciò che nel contesto è lapalissiano, ha affermato che la salute è più importante del calcio. Sacrosanta verità, se non fosse che qui ci sono in gioco le regole e non le declinazioni del suo Ministero. Senza rendersi conto, ha dato importanza alle decisioni di due Asl più che alle disposizioni del suo Governo. Il precedente che si è creato, sarà il problema più angusto dei prossimi mesi. C'erano i presupposti per far giocare la partita Juventus-Napoli ed erano determinati da quelle regole stabilite in precedenza, magari migliorabili nel corso della pandemia, ma utili per dare una linea comune a tutte le squadre. Mi sorge spontanea una domanda: il Milan Ac, che è andato a giocare una partita fondamentale del suo percorso in Europa senza il suo giocatore più rappresentativo bloccato dal Covid (tra l'altro rischiando di perdere la partita ai rigori), ci è andato a seguito di una regola o perché l'Asl di Milano non ha bloccato il volo della squadra? Se avesse perso, non sarebbe stato penalizzato?

Dobbiamo dare ragione allo scrittore inglese Michael Korda che afferma: "Il modo più rapido per avere successo è quello di far sembrare che tu stia giocando con le regole di qualcun altro, mentre giochi silenziosamente con le tue"? Perché su questa domanda ci giochiamo il futuro. Qui ci sono in gioco le regole e le regole servono per fare comunità, non per primeggiare. Stiamo trasformando la collettività in una somma di individualità, ma il risultato dell'addizione non è il plurale, ma l'egoismo e la convenienza. Senza regole trasformiamo il mondo nella disuguaglianza, riduciamo le scelte all'interesse. Questo non è progresso, ma involuzione.

Credo non ci sia più tempo per rimandare e il calcio deve porsi una domanda: può ancora lo sport educare i nostri giovani? De Coubertain diceva: "Lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla", senza mezze misure o adattamenti. Ci crediamo ancora?