I primi passi
Soprannominato "Kaiser", Carlos Henrique Raposo è forse il calciatore più astuto di tutto il panorama calcistico mondiale. Perchè? Mettetevi comodi, sto per raccontarvi la sua storia.

Nato nel 1963 in Brasile, da una famiglia molto povera, come il resto della sua zona d'altronde, è cresciuto in strada giocando a calcio con gli altri bambini del quartiere, sognando un giorno, assieme agli amici, di diventare un calciatore famoso ed emigrare altrove facendo fortuna. Purtroppo però, lui non era una promessa del calcio, ma questo lui lo sapeva, infatti, la sua più grande dote non erano i piedi o la visione di gioco, bensì la fantasia. Carlos, voleva farsi notare dalle persone che contavano davvero in quel mondo, aveva tanta fame di farcela, così, consapevole del suo carattere esuberante e ricco di autostima, iniziò a frequentare dei pub che a sua volta erano frequentati da alcuni dei principali volti del calcio brasiliano, come Romário tanto per dirne uno, campione del mondo proprio con la maglia verde-oro nel 1994. Il nostro protagonista allora, indossava dei completi alla portata dei personaggi che avrebbe conosciuto, completi però, che non poteva nemmeno lontanamente permettersi, così chiedeva ai suoi amici di imprestarglieli solo per quelle occasioni. Con la sua capacità di persuasione, riusciva a far bere a tutti il fatto che lui fosse un ottimo calciatore, oltre ad appartenere alla loro stessa classe economica ovviamente, e cosi facendo riuscì ad ottenere un contratto calcistico di sei mesi con il Botafogo, squadra che per chi non la conoscesse, ha sede a Rio de Janeiro ha vinto ben 21 volte il campionato Carioca ed è stata posizionata dodicesima nella lista dei migliori club del XX secolo stilata dalla FIFA. 

Si ma, come faceva ad andare avanti o non essere buttato fuori dalla squadra se non ne aveva le competenze? Come già detto, non stiamo parlando di un dormiglione. Il Kaisertrascorse i primi allenamenti con la squadra a fingersi dolorante e astenersi dagli allenamenti di squadra in cui bisognava toccare il pallone, correva solo avanti e indietro per il campo, anche in solitudine. Quando iniziava a capire che l'allenatore iniziava a pressare per vederlo giocare, allora, provocava qualcuno per spingerlo a fargli un brutto fallo nelle partitelle o se lo procurava da solo, ricordiamoci che a quei tempi non vi erano strumenti medici come le macchine per eseguire le radiografie o intuire se vi fossero diverse entità che provocavano il dolore risentito. Così facendo, terminava i contratti stando a riposo e godendosi il suo ricco compenso, perchè nonostante tutto, rimaneva sempre un calciatore professionista e, da tale era retribuito.
Al termine di un contratto, sempre grazie alle sue ricche conoscenza nel campo e al suo affascinante carattere, riusciva ad ottenere altri rapporti lavorativi altrove. Aveva diversi modi per far credere agli altri di essere una persona importante, ad esempio il telefono, strumento che a quei tempi era davvero simbolo di potere, e con cui faceva ( ovviamente finte) chiamate in inglese a presunti manager calcistici o dirigenti sportivi, e tutti ci cascavano. Quando giocava e non riusciva a farsi male, invece, provava in tutti i modi ad evitare la palla: se gliela passavano a sinistra, lui correva a destra, se gliela lanciavano davanti, lui tornava indietro. Nonostante questo era simpatico a tutti in squadra, organizzava feste e nessuno dubitava del suo posto all'interno del team. Per accrescere la sua popolarità, inoltre, passava scoop di spogliatoio ai giornalisti, e loro, lo dipingevano come quel talento mai esploso solo a causa degli innumerevoli infortuni.

Esperienze all'estero
Carlos Henrique giocò anche fuori dal campionato brasiliano
, ebbe esperienze anche in Argentina con l'Independiente, in Messico con il Puebla FC, e in America con El Paso Patriots. La tattica era sempre la stessa, contratto breve, 0 minuti giocati per via degli infortuni e ricche retribuzioni. Tornato in Brasile però, la storia iniziò a prendere una piega non prevista, l'allenatore della squadra in cui militava in quel periodo gli disse di scaldarsi perchè sarebbe entrato, i compagni stavano perdendo 2-0 e serviva un attaccante, senza doverlo dire, gli prese un colpo. Quella partita fu forse il suo momento di massima intelligenza, durante il riscaldamento, pensò bene di andare da un tifoso avversario e incominciare a picchiarlo, senza un motivo in realtà, ma solo con il puro scopo di procurarsi un cartellino rosso e avere motivo per restare in panchina. Quando il presidente lo raggiunse nello spogliatoio gliene disse di tutti i colori, lo minacciò di cacciarlo dal club, era su tutte le furie ma, ecco che qualcos'altro scattò nella testa di quel genio dal cuore verde-oro. Volete sapere come ha calmato, o meglio, fatto sparire la tempesta? Disse al presidente che gli era già stato portato via un padre, e non avrebbe mai permesso che qualcuno insultasse l'uomo che prese il suo posto. Così, puntando tutto sul lato emotivo, non solo calmò il presidente, ma ottenne anche un prolungamento del contratto, conquistando il cuore del suo datore. Una cosa sola, mancava per coronare il sogno di un calciatore sud-americano, l'approdo in Europa. 

Vedo l'Europa, vedo la Francia
Eccoci, siamo in Francia, più precisamente nello stadio del GFCO Ajaccio, dove la brillante mente di Raposo ebbe l'ennesimo colpo di genio. Prima di raccontarvelo però, devo ricordarvi che a quei tempi non c'erano i social network o internet, e la gente non poteva conoscere i dati relativi ai risultati e al suo curricula calcistico, si affidavano solo al fatto che fosse brasiliano, e quei tempi i centravanti del Brasile erano visti come pietre preziose perché nessuno giocava un calcio migliore del loro. Torniamo a noi, arrivato allo stadio francese, ovviamente, pensava di precipitarsi in panchina o comunque a continuare ad allenarsi come di sua abitudine, ma quella volta, accadde qualcosa di insolito, di mai visto: lo stadio era colmo, tutti i tifosi erano li per accoglierlo e il campo era pieno di palloni per la sua attesa esibizione, come modo per presentarsi ai nuovi sostenitori. Sul fatto che stiamo parlando di un genio indiscusso lo abbiamo capito tutti, ma volete sapere come risolvé quella ( nella sua testa) apocalittica situazione? Con estrema furbizia, prese tutti i palloni presenti nel campo, e cominciò a lanciarli a tutti i tifosi negli spalti, come gesto d'affetto, come se volesse mandare loro un abbraccio, un saluto, e quale modo è migliore di ricevere un pallone dal proprio idolo per sentirsi amato? Oltre alla maglia, o gli scarpini, nessuno. Nonostante tutto, alla fine della sua breve esperienza europea, con vent'anni di carriera venti presenze in campo e... 0 gol, tornò in Brasile e appese gli scarpini al chiodo una volta per tutte.
I suoi compagni non sapevano essere più incazzati o divertiti dall'incredibile storia di questo maestro di vita, che ancora oggi, racconta la sua esperienza con tanta gioia e tante risate.
Probabilmente era solo un bambino povero che nutriva fame di successo e denaro, e oggi può finalmente dirlo, a modo suo, quella fame è riuscito a colmarla.