Quando si entra nelle fasi finali delle Coppe, periodicamente, risalta fuori questo tema molto discusso.

L’impropriamente definito “goal che vale doppio”, che, ovviamente, assume valore solo in caso di parità di reti effettuate tra le partite di andata e ritorno di gare ad eliminazione diretta, ha sempre diviso gli appassionati in due correnti di pensiero, entrambe condivisibili per motivazioni differenti. Chi scrive si associa al partito di coloro che vorrebbero che tale regola venisse cancellata.

L’idea originaria fu introdotta negli anni ’60: altri tempi, altro calcio.
Forse, avviatoci verso la conclusione del secondo decennio degli anni Duemila, sarebbe il caso di ripensare a questa scelta che non ha mancato, negli anni, di alimentare accesi dibattiti.

Di seguito 4 ragioni per cui varrebbe la pena porre fine ad un criterio ormai datato:

1) EQUITA’: perché mai, se due squadre totalizzano lo stesso numero di reti, una delle due deve essere premiata in virtù del fatto che ha segnato fuori casa?

Soprattutto quando si gioca al più alto livello calcistico del pianeta come in Champions League, la differenza tra giocare in casa e in trasferta non dovrebbe essere così marcata (innumerevoli esempi recenti lo dimostrano: l’Ajax e il Manchester United negli ottavi di quest’anno, l’anno scorso la Juventus che ha sfiorato un’impresa epica al Bernabeu, dopo aver ricevuto tre schiaffoni dai futuri campioni d’Europa).

Il concetto basilare del calcio è che, a vincere, è il team che mette più palloni dentro la porta avversaria.
Punto.
Solo chi fa qualcosa in più dell’altro dovrebbe passare il turno. Non bisogna giocare per il pareggio (nel conteggio totale dei 180’), ma per vincere.

2) PROGRESSO: come anticipato, l’introduzione di tale regola avvenne ormai mezzo secolo fa: una eternità. Sono cambiati i metodi di allenamento, la velocità di gioco, le tattiche, addirittura è stata introdotta la tecnologia.

Cosa si aspetta a fare un passo anche in questo senso? Bisogna evolversi sotto tutti gli aspetti.

3) SPETTACOLARIZZAZIONE: una squadra che segna un goal fuori casa tende a chiudersi a riccio, a difendere quel prezioso drappello come fosse oro, soprattutto nei match di andata delle gare ad eliminazione diretta.

Permettere alle squadre di non fare calcoli potrebbe consentire, sulla carta, di assistere ad incontri più avvincenti, in quanto non si porrebbe il problema di subire gol ma solo quello di fare meglio dell’avversario, che, oggettivamente, dovrebbe essere lo stimolo principale in una partita e, in generale, negli sport agonistici.

-IL PROBLEMA DEI SUPPLEMENTARI: la regola del goal fuori casa vale non solo nell’arco dei 90 minuti, ma addirittura copre anche i 30 minuti di over-time.

Per cui, se la squadra che gioca il ritorno fuori casa segna una rete nei supplementari, la squadra di casa sarà obbligata a segnarne due per passare il turno.

Si potrebbe obiettare che il fatto di giocare in casa dovrebbe compensare l’oggettivo vantaggio che ha la squadra ospite, ma è realmente così? Immaginiamo che la squadra impegnata in casa debba recuperare un 3-0 subito all’andata. Riesce a vincere con lo stesso punteggio, presumibilmente con una intensità di gioco molto alta. Ai supplementari segnano una rete a testa: il regolamento premierà la squadra che ha avuto più tempo da disputare fuori casa (e non sono mancati casi del genere).

Sarebbe già un grosso passo avanti evitare di considerare il gol fuori casa nei supplementari, come fece in buona fede l'arbitro olandese Laurens van Raavens nella gara di ritorno degli ottavi di finale della Coppa delle Coppe 1971-72 tra Sporting Lisbona e Rangers Glasgow.

Gli scozzesi vinsero 3-2 all’andata; nella gara di ritorno stesso punteggio in favore dei lusitani.

Si va ai supplementari: 4-3 per lo Sporting. L’arbitro, invece di decretare la fine del match, ordinò l’esecuzione dei calci di rigore, vinti dai padroni di casa.
Il ricorso alla UEFA diede ragione ai britannici, che quindi passarono il turno.
Chi vinse poi quella edizione della Coppa? Proprio la squadra scozzese!

E la storia è piena di situazioni veramente al limite.
Uno su tutte mi ha sempre incuriosito: l’arcinoto derby della Madonnina del 2003.
Finì 0-0 all’andata in casa del Milan e 1-1 in casa dell’Inter.

Due squadre della stessa città, nello stesso stadio.
Eppure, passò la squadra che il sorteggio ha voluto giocasse per seconda in trasferta.
Anche in questo caso, chi passò il turno in virtù di tale contesto, vincerà il trofeo.

L’obiezione classica è che, ragionando in questi termini, si ricorrerebbe con molta facilità a supplementari e rigori.
Fermo restando che, se due squadre si equivalgono, è giusto proseguire con le alternative che ci sono attualmente a disposizione, si potrebbero comunque sviluppare degli altri meccanismi idonei per decretare la vincitrice.

Facile a dirsi, difficile a farsi.

Però, per cortesia, iniziamo dalle basi: aboliamo questa vetusta regola e troviamo un’altra soluzione più adatta ai tempi e che sia nel rispetto dell’agonismo, dell’equità e dello spettacolo.