Oggi verrà beatificato un giovane magistrato ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990, il giudice Rosario Livatino. Fu ucciso mentre dalla sua Canicattì si dirigeva la lavoro ad Agrigento, sulla sua Panda color amaranto, affiancato da un'altra auto che lo  speronò, e poi mentre scappava fuori dall'abitacolo, rincorso da un Killer che lo freddò con sette colpi. Viaggiava da solo, senza scorta, perchè non voleva che altre persone fossero ammazzate per causa sua, come a presagire la sua fine. La sua forza morale fu un ostacolo notevole per la mafia, ed ancor di più lo era al cospetto della sua fede cattolica, che agitava senza ostentazione nei riguardi di coloro che pretendevano di corromperlo o almeno, di farlo desistere dalle sue convinzioni sociali e giuridiche. No, la sua fede lo coinvolgeva, a tal punto da non considerare la sua vita come un bene prezioso a se stesso, ma invero preziosa per la vita degli altri. Durante le sue indagini, premeva sui suoi capi perchè le attività inerenti ai dossier più pericolosi non fossero mai affidati a poliziotti o agenti con famiglia e figli. Era cosciente che la le sue indagini stavano prendendo una china molto pericolosa. Infatti aveva seguito  le tracce definite dal giudice Falcone, aveva colpito la "Stidda" ( la stella) nei suoi traffici economici, seguendo il denaro, e così mutilando la forza finanziaria della mafia. Aveva sequestrato beni di mafiosi che abitavano di fianco a lui, a Canicattì, come se volesse sfidarli. Il capo mafia di allora, che abitava nello stesso stabile, lo definiva il "santocchio", per via della sua appartenenza alle varie associazioni cattoliche e religiose, alle quali si dedicava con dedizione e forza cristiana. La Bibbia era sempre presente nella sua vita, sul suo comodino o sulla scrivania del suo ufficio. Una volta recatosi ad un sopralluogo dopo un assassinio di mafia, sentendo un agente lamentarsi di Dio gli disse: "Se sei credente, prega! Se non credi, stai zitto!" Tre anni dopo, alla valle dei Templi in Agrigento, Giovanni Paolo II lanciò il famoso anatema: "Per amor di Cristo, non uccidete, pentitevi,  perchè verrà il giudizio di Dio." E qualcosa avvenne, l'autista dell'auto che aveva speronato l'auto di Livatino, cominciò a parlare. Disse che sognava ogni notte il giudice, e la sua coscienza crollò. Era un ragazzo di vent'anni, analfabeta e povero, che non sapeva neanche cosa faceva, tipico della manovalanza mafiosa, che trova i suoi adepti tra i soggetti più disperati e più manipolabili. Sappiamo che l'ignoranza e la poca istruzione, sono uno dei mali più gravi della società, sia a livello di delinquenza che di pericolosità di infiltrazioni ideologiche. Ci mettiamo la povertà, ed il quadro si fa ancora più fosco. Ebbene, quel giovane, in carcere cominciò a parlare, ma anche a studiare, a capire, a riscattare la sua esistenza. Ma ci fu, inaspettatamente anche un testimone, un agente di commercio di Bergamo, che vide un inseguimento e degli spari e, sospettando una rapina chiamò la polizia. Testimoniò, ma da allora la sua vita fu cambiata radicalmente. Per fare un esempio, non solo cambiò identità, ma suo figlio fu costretto a cambiare tre volte scuola, nome e cognome. Eppure quando gli chiesero se fosse pentito di avere testimoniato, lui ha sempre risposto che lo rifarebbe ancora.
Ed è questo il risvolto sociale che oggi dovremmo interrogare, il dovere del cittadino. Oggi si parla solo di diritti. Ma se non tutti fanno il loro dovere, sociale e di  convenienza comune, i problemi restano, e poi è inutile invocare lo"stato", perché la prima forma di stato siamo proprio noi, i cittadini. Viviamo in una società di "furbi", dove ognuno pensa che prima vengono i propri interessi e poi gli altri si "arrangino" pure. E' come quel proprietario di un campo che vede crescere il raccolto senza che ci sia l'erba malata, oppure infestazioni. Ad un certo punto vede che i contadini limitrofi hanno i campi infestati, da insetti e da erbacce, ma non se ne cura: è un problema loro! Ma piano piano, l'infestazione arriva anche al suo campo, ed allora incomincia a sbraitare, invocando i suoi diritti, e l'aiuto degli altri. Ma è troppo tardi, il suo egoismo ha fatto troppi danni. Se avesse partecipato con gli altri alla lotta contro le infestazioni, avrebbe salvato il raccolto dei vicini, e avrebbe impedito all'infestazione di raggiungere i suoi raccolti. E' questo un esempio di cosa vuol dire socialità e solidarietà, principi di convivenza e di lotta comune alle ingiustizie ed alle prepotenze che alcuni cittadini subiscono, mentre altri non se ne curano. 

E così, il giovane Livatino, lottava da solo contro la mafia, in uno stato spesso assente, o peggio corrotto, infatti sappiamo delle infiltrazioni mafiose nella politica. Ma andò avanti, in disprezzo della sua stessa vita, ma con al fianco la sua fede e la sua coscienza morale. Ed è per questo che viene dichiarato beato. Per avere messo la morale al di sopra di tutto, anche della sua stessa vita. Purtroppo l'omertà in Sicilia (e non solo in Sicilia), è sempre stata una regola, che chi la violava la pagava con il suo sangue ed anche dei suoi famigliari. Un bubbone difficile da estirpare.

Ed è strano che oggi un giudice venga innalzato sugli altari, in un contesto di veleni tra procure, di magistrati che accusano altri magistrati, e di "corvi" nelle procure. Le ultime vicende, devono fare meditare talune toghe, sul loro compito primario, la difesa del diritto e della giustizia. Mentre sembra a tutti che l'unico interesse preminente sia la loro carriera, o gli "sgambetti" tra di loro per impedire carriere o promozioni. Ma si dovrebbe anche indagare sulla Chiesa, sotto scacco da parte di prelati che non difendono la fede, ma la loro patrimonialità. Oggi la Chiesa è fortemente sotto attacco, vicende nebulose hanno attraversato la vita del mondo ecclesiastico, portando il Papa a soffrire per delle serie preoccupazioni riguardanti il governo della chiesa e dei suoi beni. E risulta strano che la beatificazone di Livatino sia giunta relativamente rapida. Di solito, ci vuole molto più tempo, si veda la vicenda di Aldo Moro, morto prima di lui, e come il suo postulatore (avvocato incaricato presso la Santa Sede di istruire la pratica) si sia spesso lamentato delle continue richieste di denaro che gli pervengono per concludere la causa. Qualcuno ha paventato che l'Uffizio che si occupa delle richieste e delle dichiarazioni, ovvero la Congregazione delle cause dei Santi, sia un organismo dove le tangenti scorrono più che durante Tagentopoli. E qualcuno l'ha definita "la madre di tutte le tangenti". Dario Fo fu molto criticato, perchè a suo tempo diceva che i santi muoiono poveri e in abiti lacerati, ma dopo diventano un ricco mercato di reliquie, e le loro ossa fatte in minuscoli pezzi, diventino più care  dell'oro e dei gioielli, compreso gli abiti laceri e sporchi che indossavano. A fronte di tutto questo, la causa di Livatino stride, più che alle coscienze di prelati, anche sulle coscienze di giudici che non hanno fatto il loro dovere, mentre altri giudici, come Falcone e Borsellino, o Pier Santi Mattarella, venivano straziati dalla mafia, abbandonati dalla politica, oppure dati in pasto dalla stessa politica, alla ricerca del consenso elettorale, che le cosche assicurano. 

Mi viene in mente un ragazzo di tredici anni, si chiamava Agatino, abitava in uno sperduto paese della Sicilia, in provincia di Catania. Era il 1929, fu ucciso per un gioco perverso. Alcuni "figli di papà" dell'epoca, avendo l'auto, si divertirono a investire il povero ragazzo. E fu ucciso perchè semplicemente, era povero, di famiglia povera ed anche derisa per situazioni sfortunate che avevano vissuto nella loro già difficile vita. Una vita sfortunata, perchè essere investiti da un'auto in Sicilia nel 1929, era una rarità, ma ancor più sfortunato perché i "giovani" erano flgli di mafiosi e di fascisti, ovvero la stessa cosa, perchè la mafia fu connivente con il Fascismo. Naturalmente nessuno pagò per quel delitto e la famiglia non ebbe nessun indennizzo. Anzi, avevano pure dato fastidio, nella loro richiesta di giustizia. E poi i ragazzi, si stavano solo "divertendo": fu una disgrazia, dovuta forse alla "scarsa" attenzione della vittima nell'attraversare la strada, come se chiunque attraversi la strada possa essere investito per sua colpa. A quei tempi la mortalità infantile era molto alta, e la famiglia aveva già visto morire  almeno sette bambini in età tra i pochi giorni di vita e i tre mesi. Erano rimasti solo in due, Agatino e suo fratello minore Giuseppe, ma il destino si era accanito  ancora contro quella famiglia. Il minore Giuseppe non dimenticò mai quello che era avvenuto e, seppure mettendosi contro la mafia, anni dopo si presentò per chiedere almeno conto di quanto avvenuto. Sebbene avesse la mafia contro, nessuno gli diede torto, qualcuno gli chiese pure scusa, e la stessa mafia lo rispettò. Perché? Perché Agatino non morì da "infame", ma da persona innocente che non aveva offeso nessuno, non aveva parlato, non aveva fatto nulla contro i capi di allora, come pure la sua famiglia. La mafia si sentiva colpevole, perché non aveva protetto le persone che pretendeva di "governare" con le leggi che aveva. Era mancato il rispetto, la protezione dalle ingiustizie, il sussidio ai più poveri, tutte regole che erano un caposaldo della vita mafiosa e che trovavano il consenso tra i cittadini. Ed è questa violazione delle regole che molti anni dopo ha permesso di fare le prime crepe nell'omertà che vigeva tra i mafiosi, e Buscetta cominciò a parlare, e tanti capi mafia finirono in carcere. E Buscetta non accettò mai di essere definito "traditore", perché egli stesso fu tradito, da quei valori che per assurdo tenevano in vita la Mafia, di come si era rivelata alla fine barbarica e senza regole, se non quella di uccidere per ogni cosa: la legge di Riina. E come disse Leonardo Sciascia, la mafia cominciò a cadere quando il primo mafioso cominciò a parlare. 

Ancora oggi guardo la fotografia che mio padre mi ha lasciato in camera da letto, e vedo un ragazzo con vestiti poveri e con lo sguardo triste, come se anche lui sapesse di non vivere a lungo. 
Addio zio Agatino.