Nel nostro ordinamento vige la presunzione d’innocenza: di fronte alla legge nessuno è colpevole fino a sentenza passata in giudicato, cioè fino alla sentenza eventualmente emessa dalla corte di Cassazione, che è, appunto, il terzo grado di giudizio. 
È, questo, un principio di democrazia che vale anche per il calciatore del Genoa, Portanova (e ci mancherebbe). 

Manolo Portanova è stato condannato in primo grado per stupro di gruppo: 6 anni di reclusione. Manolo Portanova non è andato in galera, ma è andato in tribuna: il Genoa lo aveva inizialmente convocato, i tifosi (e le tifose) hanno protestato e Manolo Portanova è stato messo fuori squadra, per la partita contro il Sudtirol. Si è detto, ed è l’unica cosa che è stata detta se si eccettuano alcuni monosillabi di disagio appena bofonchiati, “Per  ragioni di opportunità”: formula all’italiana, ignava e paracula, dietro cui spesso e volentieri si trincerano quelli che non sanno esattamente cosa fare o, peggio ancora, semplicemente non vogliono fare. 
Il club del Genoa calcio, rimasto impantanato nelle sabbie mobili di un caso scabroso, tra l’incudine dell’enorme gravità del fatto contestato e il martello della presunzione d’innocenza, si è incartato su se stesso e ha scelto di non scegliere.
Prima lo convoca, poi lo spedisce in tribuna. 
In punta di diritto, e a parer mio di principio, ciò che al momento rileva è il disvalore sociale e umano del fatto, non la condanna, che non è definitiva e non stabilisce perciò alcunché; a meno che non ci si voglia rassegnare al fatto che i processi, prima che nelle aule di tribunale, si celebrino e si consumino nei salotti televisivi, nei giornali e nei social.
E se Portanova, che ricorrerà in Appello, in quella sede processuale dovesse essere assolto? E tutte le partite che ha giocato dopo la contestazione del fatto e prima della condanna? E gli allenamenti che, pare, continuerà a svolgere con la squadra (probabilmente per evitare che un’eventuale successiva assoluzione dia al calciatore la possibilità di far causa al club)? E se processualmente succedesse qualcosa che addirittura ne aggravasse la posizione? Manolo Portanova è un innocente sotto processo o è uno stupratore punto e basta? 

Al momento, non c’è verità processuale, c’è solo la verità di Dio e quella della coscienza. La coscienza di Portanova, la coscienza dei dirigenti rossoblu. Ognuno ci faccia i conti e sfugga, non  si rifugi nella comodità di un calcio d’angolo, che prima o poi comunque andrà battuto. 
La verità è che, specie di fronte a situazioni di siffatta criticità, bisognerebbe che in questo Paese si cominciasse ad avere il coraggio di prendere una posizione e di fare una scelta, che non potrà mai essere la scelta giusta in assoluto, non potrà mai essere condivisa da tutti, ma quantomeno fisserà, netta e adamantina, una visione, una posizione, una presa di coscienza. Appunto, la coscienza. 
Lo so, è scomodo. Ma è giusto! 
Altrimenti, rimarremo un Paese a metà del guado, che non decide, che non agisce. 
Il Paese di Regeni, il cui omicidio rischia di rimanere impuntito sol perché il Legislatore non scavalca i recalcitranti egiziani (diplomazia!) e non consente la notifica degli avvisi processuali al loro rappresentante diplomatico in Italia.
Il Paese che piange i morti di Ischia e lascia la legge salva-suolo (già scritta) a pender muffa dentro chissà quale cassetto. 
Il Paese che chiude i porti e poi li riapre, che manda bollette da salasso e aiuta il popolo a pagarle, che vaccina e richiama in servizio  medici senza vaccino, il Paese del “mentre il medico studia, il paziente muore”. 
Il Paese del burocrate che non firma, del giovane sul divano che non scende in piazza, di una donna che non denuncia… Al primo schiaffo, denunciate! Denunciate! Denunciate!  
Il Paese dove un professionista sotto contratto viene condannato dalla giustizia in primo grado (dall’opinione pubblica già lo era stato al momento dell’indagine) e alle cui prestazioni la società per cui lavora non vorrebbe rinunciare, può non rinunciare (non essendo ancora colpevole di alcunché), ma momentaneamente rinuncia perché l’opinione pubblica di cui sopra vuole così. 

Nel silenzio del Geonoa Calcio, che convoca Portanova e poi lo spedisce in tribuna, c’è, sì, un comprensibile imbarazzo, ma c’è soprattutto l’attendismo, un po’ pilatesco e un po’ democristiano, della mediazione a tutti i costi. 
Sia chiaro, non ce l’ho col glorioso, vecchio Grifone, la cui distanza dai fatti contestati nemmeno mi sogno di mettere in discussione; e non difendo Portanova, a cui auguro anni di galera se sarà giudicato colpevole. Ce l’ho col nostro sistema processuale, che sull’altare del sacrosanto garantismo sacrifica la giustizia, costringendola a tempi lunghi. 
Tempi biblici, che condannano a una condizione di sospensione angosciosa gli imputati, le vittime e tutto ciò che gira intorno a loro.

“Il processo dev'essere finito nel più breve tempo possibile - scriveva Beccaria -  Qual più crudele contrasto che l’indolenza di un giudice e le angosce d’un reo?” … Presunto reo, buon Cesare. Presunto. E Manolo Portanova (che ha scelto il rito abbreviato) presunto lo sarà almeno per un altro paio d’anni, tempo durante il quale, ripeto, per la giustizia ordinaria e anche per quella sportiva lui potrà giocare; un’eternità per la sua condizione di calciatore, un’eternità per il suo club. 

E ce l’ho con le mezze misure, sì. Perché le mezze misure sono quello spazio vuoto, asettico, depressurizzato, dove tutto si relativizza, dove tutto è vero come il suo contrario, dove tutti hanno ragione e tutti torto. Dove non c’è infamia e non c’è lode, c’è solo l’indefinitezza ammorbante su cui germinano incertezza e malafede. 
O lo convochi e lo fai giocare o gli risolvi il contratto. E affronti le conseguenze che ne scaturiscono, sia nell’uno che nell’altro caso. E prendi una posizione che, nell’uno e nell’altro caso, sarebbe tanto giusta quanto discussa, tanto condivisa quanto contestata. E nell'uno e nell'altro caso affermi un principio, una concezione: la tua!
Continuare a farlo giocare vuol dire essere coerente col nostro ordinamento ed essere garantista nei confronti dell’imputato. Risolvere il contratto vuol dire prendere le distanze dalla vicenda, per il sol fatto della sua gravità, e prendere consequenzialmente le distanze dal calciatore, per il solo fondato dubbio ch’egli abbia commesso ciò per cui è stato condannato in primo grado.
Il garantismo è un valore, la presa di distanze da un presunto atto di violenza sessuale idem. Stare in mezzo no. 

Riavvolgiamo il nastro.
Il fatto avvenne nella notte fra il 30 e il 31 maggio del 2021, a Siena. 
Secondo la ricostruzione effettuata durante le indagini, la studentessa, presunta vittima, si sarebbe appartata con Portanova, trovandosi, però, poco dopo di fronte ad altri tre soggetti (lo zio del calciatore, il fratello diciassettenne del calciatore e un amico del calciatore).
Il giocatore si è difeso sostenendo che il rapporto era stato consenziente, ma la ragazza, successivamente al fatto refertata in ospedale, aveva avuto una prognosi di un mese, oltre a problemi psicologici dovuti al trauma.
Ha detto: “Quando mi sono vista quei ragazzi in camera, che volevano avere un rapporto sessuale con me, ho detto chiaramente loro che dovevano andare fuori dai c…". 

Subito dopo la denuncia, intorno ai primi di giugno 2021, Portanova era stato messo agli arresti domiciliari. Un provvedimento restrittivo che era stato poi revocato all’inizio del luglio scorso, allo scopo di permettere a Portanova di effettuare le visite mediche a Genova, in vista della partenza per il ritiro estivo.
L’indagine è andata avanti, nel marzo scorso è stato chiesto il processo. Il 25 luglio scorso la giovane era stata sentita per oltre sette ore con la formula dell’incidente probatorio, confermando tutte le accuse mosse al giocatore e agli altri soggetti presenti quella notte. Nel frattempo, Portanova, in accordo col suo legale, aveva scelto di essere giudicato con il rito abbreviato, sino ad arrivare alla prima sentenza. Al momento della lettura della sentenza, erano presenti sia il calciatore sia la ragazza, la quale ha pianto di gioia. Poi la partita col Sudtirol e l’esclusione.

E adesso? Portanova, che fa? Che farà? Assolutamente niente. Probabilmente, in questo momento è l’avvocato che gli dice quando respirare e come respirare e in fondo è normale che sia così. Quindi, la palla passa di nuovo al club del presidente Zangrillo. 
Genoa, a te la palla. Lo so, è un pallone che pesa, zuppo di lacrime e pozzanghere fangose.
E il terreno è maledettamente scivoloso. Però, non devi aver paura di calciare, la vita non è una patita che finisce zero a zero.