La parabola di Mancini come CT della Nazionale era già finita una sera di molti mesi or sono in Irlanda del Nord. I freschi campioni d'Europa si erano fatti imporre il pareggio dai modesti, ma onesti, padroni di casa. Quei volenterosi giovanotti, dopo aver fermato sul pareggio una Svizzera appena buona, avevano applicato lo stesso trattamento agli Azzurri. Niente da dire, dobbiamo rinnovare gli applausi a un avversario serio.

A caldo, del tutto avulso dalla realtà per il brusco risveglio da un bel sogno, Mancini sostenne di voler vincere i Mondiali mentre, per effetto del pareggio, era atteso dai play-off. Tutti pensavano che l'Italia se la sarebbe vista in una sfida al cardiopalma contro il Portogallo, ma l'incontro coi Lusitani non arrivò mai. La nazionale che fu di Meazza e Piola fu sbattuta fuori al primo dentro-fuori dalla modestissima Macedonia, oscurando persino la sconfitta contro la Corea del Nord nel 1966 (che almeno era avvenuta alle fasi finali di un mondiale).
Dopo aver passato 90 minuti a ruminare calcio, gli Azzurri videro Donnarumma addormentato fra i pali e il pallone infilarsi al rallentatore in porta, nonostante le urla dei compagni che cercavano di svegliare il portiere.

In fondo, l'eliminazione contro i Macedoni fu soltanto il sigillo di ceralacca apposto da un notaio balcanico sulla fine del CT scritta in Irlanda del Nord. Mancini aveva già dimostrato di aver esaurito le sue carte nella periferia nord-occidentale del Regno Unito. Aveva tuonato di voler vincere i Mondiali pochi minuti dopo aver toppato a sangue una battaglia decisiva contro un avversario pienamente alla portata dei suoi legionari.
Bisogna anche saper cogliere lo spirito del momento e sapere cosa dire.

Le dimissioni improvvise di Mancini sono arrivate solo ora, ma danno l'idea di un fugone, il classico tuffo dalla provvidenziale finestra spalancata mentre divampa un incendio. Ora o mai più
, deve aver pensato Mancini nel sentirsi proporre un contratto molto ricco in un calcio ancora da esibizione. Ha avuto molti mesi per rendersi conto di non avere più idee né risorse come tecnico degli Azzurri.
A Londra aveva colto i sommi allori, lavorando benissimo, ma al contempo fruendo di una serie di circostanza non ripetibili. Come Roger Mortimer in Edoardo II di Marlowe, Mancini aveva raggiunto l'apice di quella famosa ruota oltre il quale c'è il precipizio. Passa che ti passa il tempo, dopo Irlanda del Nord e Macedonia Mancini ha realizzato che, non solo non ci sono più Mondiali da vincere, ma che perfino la qualificazione ai meno quotati Eurepei non è affatto scontata.

Le vicende dell'Italia di Mancini sono un elemento molto importante a favore di coloro i quali, come il sottoscritto, non credono si possa andare lontano coi luoghi comuni. Forse sono più leggeri di una pietra tombale, ma sono comunque prove molto pesanti contro il "Come si fa a cacciare un allenatore che ha fatto X e Y?". 
Si può, si può, certo che si può, perché X, Y sono il passato e, come pensava Napoleone, si deve guardare avanti mica indietro.
Un grazie a Mancini per gli Europei di Londra, ma da Irlanda del Nord-Italia 0-0, il futuro aveva preso ad andare in un'altra direzione. Ce lo avevano detto nei loro dialetti bulgari, albanesi o serbi i Macedoni di Skopije.

Credo che Mancini abbia sempre pensato e continuerà a pensare di essere uscito dai Mondiali per i 2 rigori sbagliati da Jorginho contro la Svizzera. Ma l'italo-brasiliano aveva già rischiato di far perdere gli Europei all'Italia per un rigore sbagliato e già la seconda occasione concessagli aveva avuto il sapore di una grande prova di fiducia. Fallito anche il secondo penalty, è stata colpa del tecnico avergli concesso una terza chance, non un'attenuante.
Ed è stata colpa anche il suo insistere su certi pretoriani, come l'attaccamento irragionevole a Bonucci, che ha avuto una notevole carriera, ma oramai è un ex-giocatore.
Quando non hai più idee diventi prima conservatore e poi reazionario.
Mancini è arrivato a essere più reazionario di Metternich al Congresso di Vienna.

Il Mancini che ruggiva come un leone dopo l'Irlanda del Nord sembrava il tecnico che voleva vivere due volte, come Kim Novak è passata alla storia quale Donna che visse due volte grazie a Hitchcock.
Ma il calcio non è un film, la cui trama e il cui finale sono decise dagli sceneggiatori e dal regista
 (se non anche dai produttori che cacciano i soldi e pretendono di metterci il naso). Nel calcio la trama la decide il campo e sono gli avversari spesso a scriverla con sadico ed egoistico cinismo. Sono state Irlanda del Nord e Macedonia a scrivere il plot del film su Mancini, oltre allo stesso Mancini coi suoi errori.
Mancini si dimette per un bel contratto, un contratto da sceicchi è il caso di dirlo. Beato lui! Ma dal punto di vista della carriera, la sua fuga in Medio Oriente rappresenta la caduta dal campanile di Kim Novak sotto gli occhi inorriditi di James Stewart.
Gli ultimi mesi, anche scartando le serate contro Irlanda e Macedonia, hanno dato l'impressione di una sopravvivenza legata a un respiratore, a una bombola che spara ossigeno a chi non riesce a pomparne a sufficienza coi propri polmoni. Con il senno del poi, la vicenda di Evani, inseparabile amico del CT, la stava dicendo lunga e presagiva un po' l'esito di questa vicenda.

Arriverà Spalletti, pare, e inizierà una nuova storia. Forse il vulcanico Luciano farà bene o forse farà male, non possiamo saperlo visto che la sua parabola deve ancora iniziare. Ma la parabola, come tutte quelle dell'esistenza umana, avrà prima o poi una fine. Auguriamo solo a Spalletti di capire in tempo quando l'apice della ruota è stato raggiunto e di intraprendere nuove avventure nel momento in cui non è ancora iniziata la discesa. Mancini si è risfiutato di capirlo per mesi, anche mentre precipitava nell'abisso.

Se fosse stato possibile, avrei visto benissimo Pioli sulla panchina della Nazionale. Certo il mio cuore rossonero avrebbe sanguinato nel vedere un altro tecnico sulla panca del Milan, ma cosa non si farebbe per il bene degli Azzurri?