Ieri sera è finalmente tornata la Champions League, autentica macchina da introiti per i club e generatore di sogni e di notti memorabili per gli appassionati. Una competizione che regala costantemente le migliori performance sul rettangolo di gioco e uno spettacolo che forse nessun’altra manifestazione sportiva (tesi personalissima) può offrire.

Ma come ha fatto la Champions League ad assumere un ruolo così centrale nell’immaginario collettivo?


LE ORIGINI
In principio, su un’idea del francese Hanot, nacque a metà degli anni ’50 la Coppa dei Campioni, ovvero una competizione che, come suggerisce la denominazione, consentiva la partecipazione solo ai campioni nazionali, che si affrontavano in sfide ad eliminazione diretta (andata e ritorno), eccetto la finale, da disputarsi in gara unica ed in campo neutro.

Questo modello è spesso preso come riferimento dai “nostalgici” di un certo tipo di calcio, i quali ne esaltano la struttura semplice e secca della vecchia manifestazione.

In pochi sanno, però, che tale impostazione fu in realtà una limitazione voluta dalla UEFA per evitare che un torneo di tale portata potesse oscurare i nascenti Europei per Nazionali e gli stessi campionati nazionali. Polemica simile a quella che stiamo vivendo negli ultimi anni sulla possibile nascita di una Superlega.

L’idea originale, infatti, era quella di creare non una Coppa, bensì, un vero e proprio Campionato Europeo per Club, senza necessariamente precludere l’accesso alle squadre non campioni tanto che, nella prima edizione 1955/56, le federazioni aderenti potevano indicare una squadra partecipante non necessariamente campione nazionale in carica.

Il successo straordinario della stessa convinse molte federazioni (tra cui quella inglese, che inizialmente si era opposta all’idea) a partecipare e l’UEFA formalizzò il fattore Campione Nazionale: solo chi si fregiava del titolo casalingo aveva diritto a partecipare alla Coppa[1], oltre, ovviamente, al detentore del trofeo.

L’enorme fascino degli incontri internazionali diede poi vita alla nascita della Coppa delle Coppe nel 1960 (deputata a raccogliere i vincitori delle Coppe Nazionali) e di un’ulteriore competizione, la Coppa UEFA (figlia dell’ex Coppa delle Fiere e ufficialmente partita nel 1971), che prevedeva l’accesso per più squadre appartenenti ad una medesima federazione, inglobando team di valore (sebbene formalmente fino al 1979 era un torneo ad inviti) che, per ovvi motivi, non riuscivano tutti ad accedere a Coppa dei Campioni e Coppa delle Coppe.


LE RIFORME
Il format originale perdurò fino al 1991, anno in cui avvenne la prima sostanziale modifica alla struttura: dopo tre turni di eliminazione diretta, vennero eliminati quarti e semifinali in luogo di due gironi da 4 squadre, le cui vincitrici si sarebbero affrontate nella finalissima.

Solo nel 1993-94, la finalissima fu preceduta da delle semifinali in gara unica tra le prime e le seconde classificate: oggettivamente, scelta discutibile.

Dal 1994 prende piede la prima bozza di quella che sarà la Champions del futuro, pur mantenendo inalterato il criterio di accesso: quattro gironi da quattro squadre con le prime due classificate che avanzano ai quarti di finale.

Solo dal 1997 cominciano ad essere previste due squadre per nazione, fino alla rivoluzione totale del 1999: da questo momento in poi, accedono fino a quattro squadre per nazione, con la fase a gironi per come la conosciamo, seguita da un ulteriore fase a gironi tra le restanti 16 squadre (sostituita dal 2003 dagli attuali ottavi di finale) per poi avere quarti, semifinali e finalissima. Nello stesso anno, viene soppressa la Coppa delle Coppe, ormai senza stimoli (soprattutto economici e finanziari) e rivista la Coppa UEFA, che muterà nome qualche anno dopo in Europa League.

Questo è l’assetto che, molto probabilmente, resterà in vigore fino al 2024.

Da quel fatidico anno in poi, infatti, con la riforma dei calendari, muterà completamente lo scenario: il ritorno di una terza competizione europea sa non di ritorno al passato ma piuttosto di creazione di una Superlega con meccanismi di promozioni e retrocessioni, idea accarezzata in modo non velato da molti top club europei, che dovranno affrontare la ferma opposizione delle federazioni nazionali e, stando alle dichiarazioni pubbliche, della stessa UEFA.

Tralasciando le proprie posizioni e idee, una cosa è sicura: la struttura delle coppe europee, nelle intenzioni iniziali del fondatore, è sempre stata provvisoria. L’obiettivo principale, infatti, è sempre stato quello di creare un campionato europeo per club, sebbene complementare al campionato federale di appartenenza e con accessi basati sulla meritocrazia. Quindi, ben venga l’idea ventilata di una Champions a 32 squadre con 4 gironi da 8 per moltiplicare le partite dalle attuali 96 della prima fase alle 224 dell’eventuale post-riforma e dunque incrementare in modo esponenziale gli incassi, e va bene anche prevedere dei turni da disputarsi nei week-end, ma è opportuno creare dei meccanismi meritocratici di accesso, altrimenti viene meno l’essenza dello sport stesso, che deve rimanere la bussola che guida le scelte di coloro che sono deputati a regolare il funzionamento del calcio.

 

COPPA DEI CAMPIONI vs CHAMPIONS LEAGUE
Da quando sono nato, posso dire di aver sempre riconosciuto due fazioni sul tema: chi “venera” il vecchio format dell’attuale Champions League e chi, invece, non ne vuole neanche sentir parlare perché cresciuto o affezionatosi alla nuova realtà.

Sicuramente, la Coppa dei Campioni aveva nella sua struttura l’essenza stessa della sua denominazione: era un torneo dedicato solo e soltanto a chi vinceva il titolo nazionale.

Dunque, a livello “linguistico ed etimologico”, la vecchia Coppa assumeva una veste più corretta rispetto all’attuale, in quanto si definisce “Lega dei Campioni” pur non avendo al suo interno solo tali squadre.

Se, quindi, su questo punto non ci possono essere obiezioni, sugli altri entra in gioco il gusto personale.

Nella vecchia Coppa, ad esempio, erano frequentissime le sorprese, in quanto negli abbinamenti non vi erano teste di serie e dunque si poteva arrivare ad avere squadre di campionati minori fino addirittura alla finale.

Nell’attuale Champions League, invece, ciò è molto più complesso, in quanto delle 32 squadre in partenza il 50% è già occupato dalle sole prime 4 federazioni del ranking, che hanno creato un solco, insieme a qualche altra squadra di altre federazioni (PSG su tutti), sul resto della carovana.

Prendiamo in analisi due distinti periodi:

1955-1997: sono le prime 42 edizioni in cui l’accesso era previsto solo per le squadre campioni nazionali e per il detentore del trofeo. Regina della competizione è stata proprio l’Italia, che ha vinto 9 edizioni, di cui 5 con il Milan, 2 con l’Inter e 2 con la Juventus; seguono l’Inghilterra con 8 vittorie (4 il Liverpool, 2 il Nottingham Forest, 1 il Manchester United e 1 l’Aston Villa), la Spagna con 7 (Real Madrid 6 e Barcellona 1), l’Olanda con 6 vittorie (4 Ajax, 1 Feyenoord e 1 PSV), la Germania ferma a 5 (3 il Bayern, 1 l’Amburgo e 1 il Borussia Dortmund) e il Portogallo con 3 (2 il Benfica e 1 il Porto). Infine, con un successo a testa, Scozia (Celtic), Romania (Steaua Bucarest), Jugoslavia (l’attuale Serbia con la vittoria dello Stella Rossa nella finale di Bari del 1991) e la Francia (il Marsiglia).

Emerge il fatto che, sulle 42 stagioni disputate, hanno vinto il titolo 21 squadre provenienti da ben 10 nazioni diverse; ma non solo, anche nelle federazioni più quotate, spiccano successi di squadre che non hanno brillato costantemente a grandi livelli internazionali (Nottingham, Aston Villa, Amburgo, Feyenoord e PSV).

Se poi allarghiamo il bacino alle finaliste, ci rendiamo conto che tantissimi team sono giunti fino all’ultimo atto privi dei crismi di “grande”: nei primi anni di dominio Real, ci furono due tentativi andati a vuoto da parte dello Stade de Reims, uno della Fiorentina, uno dell’Eintracht e uno del Partizan. Negli anni ’70, poi, ci fu il pieno di “meteore”: Malmoe, Panathinaikos, Saint-Etienne, Leeds, Borussia Monch. e Bruges, fino agli anni successivi in cui arrivarono a un passo dall’Olimpo anche le “nostre” Roma e Sampdoria.

Globalmente, sono riusciti ad approdare alla finale 34 squadre di 13 Paesi diversi. Insomma, è evidente che con quell’organizzazione, si aveva un ricambio e una fioritura di tantissime società provenienti da differenti territori.

1997-2019: inversione di tendenza nelle ultime 22 edizioni. La metà delle Coppe è stata vinta dalla Spagna (7 il Real Madrid e 4 il Barcellona); l’Inghilterra ha ottenuto 5 titoli (2 a testa per Liverpool e Manchester United e 1 il Chelsea), seguiti da Italia con 3 (2 Milan e 1 Inter), Germania con 2 vittorie del Bayern e l’acuto del Portogallo con la vittoria del Porto.

9 squadre provenienti da 5 Paesi diversi hanno vinto, mentre sono giunte in finale totalmente 17 team da 6 Paesi diversi (si aggiunge la Francia con una sola finale sempre nel 2004).

Ora, certamente, i lassi temporali considerati sono differenti, ma ciò che appare evidente è la tendenza della Champions ad avere sempre meno squadre al vertice e meno Paesi inclusi.

Se infatti, in precedenza, squadre del campionato belga, greco o svedese potevano arrivare fino alla finale, pensare che oggi squadre russe, ucraine o turche (giusto per prendere quelle posizionate nella top ten del ranking) possano anche solo sfiorare l’atto conclusivo della manifestazione è abbastanza utopistico.

Altro elemento da considerare è che alcune nazioni hanno tratto enorme vantaggio da questo cambio di passo: la Spagna ha infatti moltiplicato le sue vittorie, sebbene concentrate nei suoi due schieramenti leader, ma ha portato più volte in finale anche Atletico Madrid e Valencia.

Malissimo invece l’Olanda, completamente sparita dai radar e che solo con il redivivo Ajax può sperare di rivivere i fasti di un tempo, almeno ad oggi.
Facendo un riassunto, se con la Coppa dei Campioni abbiamo avuto “favole” ripetute nel tempo, nell’attuale format sono davvero pochissime le sorprese: se togliamo il miracolo del Porto targato 2004, le altre squadre fanno parte dei 4 grandi campionati europei e, al loro interno, hanno vinto sempre squadre “storiche” che avevano anche già vinto il trofeo, fatta eccezione per il Chelsea che ha trionfato in assoluto per la prima volta nel 2012.

Fatta questa analisi, torniamo al punto di partenza: quale dei due impianti è preferibile? Sta, ribadisco, nel proprio gusto. A mio avviso, sebbene ci sia una maggior concentrazione, lo spettacolo offerto dalla Champions League è imparagonabile a quello della Coppa Campioni, seppur dotato di quel tocco nostalgico che senz’altro tocca il cuore dei più romantici.


LA FORZA DELLA CHAMPIONS
Esaurito il tema relativo a vittorie e statistiche, passiamo adesso ai contenuti: perché la Champions è inarrivabile? In primis, perché contiene il meglio del calcio mondiale. Tutti i migliori club e i migliori calciatori offrono le loro giocate sul prestigioso palcoscenico dell’Europa che conta ed ogni partita ha un sapore diverso da tutte le altre.

L’attesa spasmodica, gli stadi sempre pieni, le formazioni stellari: la magia della Champions è dettata da questi elementi, che lo rendono un piatto appetitoso ed unico nel suo genere.

Ci sono poi altri ingredienti che la rendono più ricca rispetto alla Coppa dei Campioni: la possibilità di avere dei derby europei che, per chi li ha vissuti, nel bene e nel male, rappresentano un orgasmo puro calcisticamente parlando. Per non parlare di alcuni match che col tempo stanno divenendo dei classici, cosa impensabile con la vecchia Coppa.

E poi, la musichetta. L’inno di Britten ha qualcosa di epico. Le facce dei protagonisti che scorrono durante l’esecuzione, la voglia e la ferocia agonistica, il boato di qualsiasi stadio teatro dell’evento al culmine: un’autentica iniezione di adrenalina.

Se anche la competitività si è ridotta in senso assoluto, nel senso che meno squadre possono ambire alla conquista del trofeo, dall’altra è aumentato il margine di spettacolarizzazione dei singoli match e su questo, onestamente, non c’è davvero discussione.

Ultimo, ma non per importanza, anzi, è il benefico eco-finanziario per i club: la partecipazione alla Champions è ormai passaggio obbligato per ogni società che vuole raggiungere determinati obiettivi e, tutto sommato, ha portato ad avere anche una sorta di maggior competizione nei campionati nazionali.

Si pensi alle ultime annate in Serie A: con lo scudetto il più delle volte vinto con largo anticipo dalla Juventus, l’interesse vero è stato per la corsa Champions, divenuta appassionante quasi come quella Scudetto.

 

CONCLUSIONI
La Champions è inarrivabile ma, come tutte le cose, deve stare al passo con i tempi e con gli interessi in gioco. Sarà necessario riformarla, a patto che mantenga quel fascino che il tempo ha reso non bella, di più. Mantenere un equilibrio nell’accesso e offrire match di livello: ciò, ci auguriamo, dovranno essere le linee guida della nuova Coppa a partire dal 2024, che ha il compito di accrescere o, perlomeno, mantenere l'entusiasmo e l'hype creato nella sua ultracinquantennale storia.

 


[1] Fino al 1960, in caso di doppietta Campionato-Coppa, aveva diritto di accedere la seconda classificata del rispettivo torneo nazionale.