Tutto è partito da quel 5 a 0 di Atalanta-Milan. Siamo a dicembre (Anno Domini 2019) e la squadra rossonera subisce una pesante sconfitta a Bergamo. Un risultato difficile da digerire e dimenticare, ma che oramai è storia e lontano ricordo di un Milan che è cresciuto rispetto a quella gara.

Ma ricordarsi di quel risultato, punto più basso della gestione Elliott, è utile anche per capire come si è ripartiti. Per farlo è stato chiamato un signore, che si crede un Dio, con l’auspicio di essere, nonostante l’età, la cura per risolvere i problemi che attanaglia un gruppo di giovani di belle speranze.

L'ultimo tentativo è stato affidarsi a lui per far sì che la stagione non fosse un calvario ma ci fosse una scossa all’interno del gruppo che, essendo ancora molto acerbo, pagava dazio con squadre tecnicamente e tatticamente di un livello superiore.

Nella giornata di domenica 3 ottobre, per alcuni paragonabile al giorno di natale, questo signore ha compiuto 40 anni e dal suo ritorno al Milan tante cose sono cambiate, così come si è evoluto il Milan stesso.

Nella tempesta, in cui la squadra si è ritrovata, è stato trascinatore ed esempio, sia in campo che fuori, per coloro che lui definisce “figli”.

All’inizio anche lui ha rischiato di naufragare per via della situazione che si stava creando, Genoa poteva essere la tappa finale che avrebbe sancito il fallimento delle scelte societarie. Si rischiava l’ennesimo ribaltone perché la società non era per niente soddisfatta. L’ennesima situazione che avrebbe visto il Milan, come ogni anno, ripartire da zero, con la speranza di trovare la soluzione giusta ai malanni di stagione. Invece la medicina era un qualcosa, i cui effetti si sarebbero visti nel tempo. Non erano immediati, ma sottotraccia qualcosa stava cambiato e, oggi, le prestazioni sono il miglior risultato di quella cura. Frutto di un lavoro giornaliero e di una rinascita che doveva ripartire proprio dopo la gara con l’Atalanta.

Se un tempo si diceva "dopo Istanbul c’è Atene", ora si può affermare a voce alta, “dopo Bergamo c’è Bergamo”. E rispetto a quella volta c’è un Milan diverso, migliore, competitivo.

Domenica era il compleanno di Ibra e il caso ha voluto che fosse anche il giorno di Atalanta-Milan. Anche se lo svedese non gioca dalla prima giornata di campionato, la vitamina Z, presa dal suo arrivo a Milanello, sta dando i risultati sperati.

Perché quella vitamina, suddivida in varie dosi, ha portato un cambiamento all’interno del gruppo. Ciò si evince osservando come vengono preparate le partite, dalla crescita individuale e collettiva di una squadra che andava stimolata e incoraggiata, dall’identità e dalla compattezza tra le varie componenti.

Ma se il dio pallonaro, anche stavolta ha dovuto dare spazio ai compagni, in compenso domenica era presente una Dea, considerata esempio e punto di riferimento per il calcio italiano per il modo di porsi in campo, giocando un calcio europeo fatto di ritmo ed intensità.

Legittimando la presenza in Champions con buone prestazioni che l’hanno messa al centro della scena europea.

Con la giusta mentalità ha fatto da capofila in Italia come rappresentante di un modo di giocare diverso, che mette in risalto come il nostro calcio abbia poca intensità rispetto a quella di altri campionati, rispetto alla stessa Champions League.

Se siamo stati bravi con la nazionale è perché abbiamo dato un tocco di freschezza, giocando un gioco propositivo che ci ha portato a conquistare un trofeo che mancava dal 1968. E anche a livello di club è la strada da seguire se vogliamo essere al pari dei migliori.

Se vincere è l’unica cosa che conta, attualmente lo puoi fare se metti in campo forza, ritmo ed intensità, dove l’identità e la prestazione sono il marchio di fabbrica per stare nel percorso.

Fino a qualche tempo fa era la Dea ad avere cucito addosso l’abito europeo, anche più di squadre che negli anni erano arrivate a giocarsi finali di Champions. La Dea delle Dee era la massima espressione di un calcio innovativo ed il suo allenatore veniva considerato promotore di un calcio contemporaneo.

Ora sulla scena si è inserito anche il Milan, non tanto per la posizione in classifica. Il Milan si è ripreso quello che in passato era suo, ovvero essere protagonista, cercando di arrivare tra le prime quattro che vorrebbe dire giocare ogni anno la Champions League.

Il Milan ha preso e, dove possibile, migliorato la realtà atalantina, espressione di un calcio, sia in Italia che in Europa, indispensabile per recuperare il terreno perduto e dare credibilità al percorso intrapreso.

Domenica la Dea in campo ha pagato dazio, non tanto per demeriti propri ma grazie alla partita che il Milan ha messo in campo.

L’Atalanta ha giocato bene, ha giocato fino a quando ha potuto, ma il Milan ha giocato con maggiore intensità ed ha vinto. La differenza sta che, nel giocare bene entrambe, qualcuno ha giocato meglio dell’altro. Qualcuno ha messo in campo qualcosa in più rispetto all’altro. 

Il Milan ha giocato meglio, ma non è da domenica che questo lo si può notare. È da tanto tempo che propone quel calcio che un tempo era associato all’Atalanta. E ha provato a farlo anche in Champions contro l’Atletico e c’era riuscito fino a quando le squadre erano undici contro undici.

In tutto questo c’entra anche Gasp. L’allenatore che da anni sta seminando e raccogliendo buoni risultati a Bergamo. Colui che ha portato entusiasmo, capace di andare oltre gli uomini a disposizione perché il marchio europeo era distinguibile e meritevole di fiducia. Quella che gli riserva la società capace di dargli carta bianca e di scegliere sempre di schierarsi dalla parte del Mister anche nelle scelte di mercato.

Ma parlare di Gasp può essere anche una provocazione se lo accostiamo al Milan. Al di là di certi comportamenti gli va atto di aver riconosciuto come il Milan abbia meritato e come lo abbia impressionato per il gioco espresso in campo.

E se Gasperini era, e rimane, un modello, non è un reato dire che Pioli sia il Gasp che a Bergamo ha dato un’impronta di gioco. Rappresenta quello che in passato i giornali dicevamo dell’allenatore atalantino. Pioli si è ritagliato uno spazio importante e anche la società apprezza sia il suo modo di porsi che i risultati conseguiti. Con un colpo di coda improvviso ha saldato la sua panchina e dettato la strada da intraprendere, condividendo con la dirigenza la mission. Ha sfruttato al meglio la situazione che si è creata dopo la ripartenza e intanto quella vitamina Z ha migliorato sia lui che i giocatori a sua disposizione.

Nonostante, a volte, gli si rimprovera alcuni scelte iniziali e, al primo errore, gli si punta il dito contro, sarebbe sbagliato non ritenere Pioli uno dei migliori tecnici del nostro campionato. Il Gasp di un tempo ora lo sta facendo lui e lo sta facendo bene. Capace di mettersi in gioco, di far sentire tutti importanti e indispensabili per il progetto tecnico, sta valorizzando la rosa, sta portando risultati, in campionato ha fatto sei vittorie ed un pareggio (e quel pareggio è stato fatto in casa della Juventus), e poteva essere qualcosa in più.

Certo il Napoli ha fatto fino ad ora filotto vincendole tutte, ma nelle gare disputate fino ad ora ci sono momenti da evidenziare. Ha superato la Lazio surclassandola, ha superato l’Atalanta ed il risultato non dà pieno merito al Milan. Ha già giocato con la Juve prendendo un punto e sia con i bianconeri che con gli orobici ha giocato fuori casa.

Ora gira tutto bene e speriamo che la pausa sia portatrice di buone notizie con il recupero degli ultimi infortunati.

E se prima c’era un Dio, la Dea e Gasp ora c’è un gruppo, una società ed un allenatore che rispecchiano perfettamente lo stile Milan, la voglia di avere un’identità vincente, di valorizzare e continuare nel percorso intrapreso.

Oggi è possibile anche dire, rispetto al passato, giochiamo per vincere lo scudetto. Prima era qualcosa di impronunciabile, ma ora è sulla bocca di molti giocatori. E dire che il primo è stato Ibra, in tempi lontani, quando ancora si era all’origine del progetto e quando il personaggio poteva trarre in inganno per i toni da guascone.

Domenica Ibra ha compiuto quaranta anni e a lui vanno i migliori auguri. Quale miglior regalo se non quello dei compagni che, anche senza di lui vanno avanti facendo bene, nonostante la sua assenza. Sono lontani i tempi di Bergamo, ma è proprio in quel momento che è cambiata la storia del Milan.