Sei chilometri e 600 metri. Solo per andare, poi c’era il ritorno. Quindi tredici chilometri e 200 metri. Questa mediamente la distanza percorsa a piedi ogni domenica per andare a San Siro da casa nostra. 

Era il 1972, avevo circa 13 anni e con il mio migliore amico Fausto, tifoso del Milan, ogni domenica andavamo allo stadio. Una settimana c’era l’Inter, la seguente il Milan, per noi però non faceva differenza, lo spettacolo era lo stadio, l’evento, le squadre in gioco erano un dettaglio.
Qualche soldino in tasca lo avevamo, la mancia del papà e quella dei nonni che andavi a trovare la domenica mattina, giusto il tempo per spillare qualche spicciolo e poi scappare via. Non li spendevamo per il tram, meglio andare a piedi, il tempo non ci mancava e poi avremmo risparmiato ben 140 lire a testa tra andata e ritorno, sarebbero tornate utili per comprare altro.
Lungo la strada costeggiavamo un centro sportivo, con campi da calcio e da tennis, c’era anche un campo per il baseball. Si chiamava “Centro Sportivo Kennedy”. Poi, proseguendo, si costeggiava l’Ospedale San Carlo e poco dopo si iniziava a vedere lo stadio. Mano mano che ci avvicinavamo diventava sempre più grande e imponente. Magnifico! 
Attraversata l’ultima strada, si arrivava nel piazzale antistante San Siro. C’era una fontanella, quelle tipiche della vecchia Milano che noi chiamavamo “Drago verde”. Erano in ghisa, color verde inglese, con un draghetto in alto color ottone dalla cui bocca usciva l’acqua.  Se tappavi il foro di uscita in basso, lo zampillo usciva in verticale verso l’alto, agevolando la bevuta. 
Ci fermavamo spesso per dissetarci dopo la lunga camminata. 
Il piazzale era sempre strapieno. Chi arrivava a piedi, chi in auto, chi con il tram che fermava poco lontano, o tifosi in trasferta che scendevano dai numerosi pullman presenti. Insomma c’era sempre caos.
Il servizio d’ordine era garantito dai Vigili urbani di Milano e dai Carabinieri. I vigili erano di meno e quasi sempre all’interno dei cancelli, mentre i Carabinieri, oltre che dentro, erano anche tutt’intorno allo stadio. 

Noi come sempre non avevamo il biglietto d’ingresso alla partita. Perché andarci comunque? La risposta è molto semplice. Stare a casa ad aspettare il primo minuto del secondo tempo, quando iniziava “Tutto il calcio minuto per minuto” per sapere il risultato da San Siro, era meno bello che passeggiare attorno allo stadio durante la partita. Vedere i colori e soprattutto ascoltare i rumori che provenivano dall’interno. Vi assicuro che quando segnava la squadra di casa si capiva, senza ombra di dubbio. 
Quindi anche quel giorno arrivammo poco prima dell’inizio dell’incontro e cominciammo a camminare intorno allo stadio. 
All’epoca c’era chi entrava gratis, erano ragazzi predisposti alle bravate. Scavalcavano nottetempo i cancelli, per nascondersi all’interno dello stadio, pare nei bagni, in attesa dell’apertura dei cancelli, per poi mischiarsi alla folla. Il tutto era possibile grazie al fatto che i biglietti non erano numerati e poi c’erano anche i posti in piedi. Quindi qualche audace riusciva a non pagare. C’era anche chi si faceva male, scavalcando le recinzioni e ferendosi sulle punte acuminate che sovrastavano tutt’intorno le cancellate. Insomma, ogni epoca ha avuto i suoi furbi e gli anni settanta pure.

Quel giorno c’era il derby di Milano, precisamente era il 19 Marzo 1972. Partita come sempre sentitissima. I rumori provenienti dall’interno dello stadio erano fortissimi: cori, canti e botti che i tifosi facevano esplodere. Le strutture dello stadio ne amplificavano il rumore, vere e proprie bombe deflagranti come nella migliore tradizione napoletana. 
L’idea era la solita. Aspettare gli ultimi 15 minuti della partita e poi entrare comodamente dai cancelli. Venivano aperti per consentire ai tifosi un deflusso anticipato e non c’era più alcun controllo. Lo avevamo fatto parecchie volte. Non eravamo gli unici.
Ad un tratto, mentre camminavamo, Fausto si fermò trattenendomi per il braccio con sguardo interrogativo:
-“È la prima volta che facciamo questo durante un derby”
-“E allora?” risposi io.
-“Se sentiamo un boato del pubblico come facciamo a capire se ha segnato l’Inter o il Milan?”
Aveva ragione. Le altre, volte se la squadra di casa segnava, era facilmente comprensibile. Oggi i tifosi erano quasi equamente divisi, essendo entrambe squadre di Milano. 
“Iniziamo a sentire il boato” risposi “poi ci penseremo”.
Nel frattempo avevamo fatto 6/7 giri attorno a San Siro e il primo tempo dell’incontro era finito. Nessun segnale, nessuna indicazione dai rumori. Qualche “Oooohhhhh”, qualche fischio, qualche coro che sottolineava l’infedeltà della moglie dell’arbitro e poco altro.
Avevamo un po’ alla volta affinato le nostre deduzioni, dando un’interpretazione a ciò che sentivamo. A seguire breve guida:
Oooohhhhh
-Azione di buona fattura, gol mancato per un soffio.
Applausi diffusi: 
-Ingresso delle squadre in campo.
-Ottima trama di gioco con controllo della palla prolungato.
-Sostituzione di un giocatore che ha soddisfatto per la prestazione.
-A seguire dopo un gol.
-Dopo la sostituzione di un giocatore infortunato, uscito sulle sue gambe o meno.
Olè! Olè!:
-Dominio totale della palla, gli avversari non la vedono.
Goool!:
-La palla finisce dentro la rete.
Gool! tono più basso con mugugni:
-Hanno segnato gli altri.
-Illusione ottica del gol, percepito solo da alcuni settori dello stadio con la palla che finisce all’esterno della rete.
Nome ripetuto e scandito (della propria squadra o di calciatore):
-Incitamento e soddisfazione per ciò che si è visto.
-Sostegno incondizionato in un momento di difficoltà.
-A seguire dopo un gol
Semi boato misto ad applausi:
-Calcio di rigore assegnato.
Fischi:
-Fallo a favore, non fischiato dall’arbitro.
-Possesso palla squadra avversaria che si teme.
-Partita penosa della propria squadra.
Fischi prolungati:
-Calcio di rigore non assegnato.
-Giocatore avversario che stramazza al suolo da solo.
-Perdita di tempo degli avversari.
Fischi prolungati assordanti con aggiunta di cori: “cor-nu-to, cor-nu-to”:
-Rigore non assegnato e ramificazione crescente sulla testa dell’arbitro.
Goool! e fischi assordanti a seguire con aggiunta di cori: “cor-nu-to, cor-nu-to”:
-Gol annullato e arbitro che per uscire dal tunnel del campo si deve chinare, e di molto, per non sbattere le fluenti corna.
Silenzio rispettoso:
-Minuto di raccoglimento per ricordare una figura sportiva venuta a mancare.
Silenzio semi-tombale:
-Attimi precedenti il tiro dal dischetto, se tifosi avversi in discreta quantità.
Silenzio tombale:
-Attimi precedenti il tiro dal dischetto, se tifosi avversi in scarsa quantità.
Silenzio tombale prolungato:
-La partita è finita da un pezzo. “Fausto, è ora di andare a casa!”
Insomma, eravamo spettatori non vedenti ma con l’orecchio assoluto.

Ci avvicinammo a una delle bancarelle che sostavano davanti allo stadio, c’erano esposte le magliette delle squadre in campo, sciarpe, cuscinetti per la seduta e cappellini. All’epoca non c’era il merchandising ufficiale e una maglietta della propria squadra, originale o meno, andava bene comunque. Non avendo sponsor, di anno in anno non venivano ridisegnate. Una maglietta era per sempre, o quasi. Unica eccezione, quando si vinceva lo scudetto o la coppa Italia sarebbe cambiata, per apporre sul petto lo scudettino tricolore o la coccarda. Una spesa che i tifosi più ricercati affrontavano volentieri. 
Fausto indossava un eskimo verde io un montgomery, sempre verde. Non era l’abbigliamento da tifosi allo stadio, era il nostro abbigliamento dall’autunno alla primavera… buono per tutte le occasioni. Poi noi eravamo tifosi dentro, non fuori.
Stavamo ancora camminando quando Fausto mi guardò dicendo:
“È iniziato il secondo tempo…ancora niente…”
“A quest’ora è iniziato Tutto il calcio minuto per minuto” pensai “Semmai chiediamo a qualcuno che ha la radiolina”.
Neanche il tempo di rispondergli per condividere il pensiero avuto che… 
“Gool! Gool!” Un boato clamoroso, chi avrà segnato?
Accanto alla bancarella delle magliette c’era un’Ape car. Uno di quei piccoli motocicli su tre ruote. Sul cassone posteriore c’era un pentolone enorme coperto da un telo di  juta. Era un rivenditore di caldarroste, indossava dei guanti senza dita per proteggersi dal freddo e per maneggiare meglio le castagne, che si intravvedevano sotto il telo. Per 100 lire te ne dava un cartoccio fumante pieno: Buonissime! 
Ci avvicinammo, lui aveva una radio a transistor e gli chiedemmo il risultato. “Ha segnato il il Milan”, ci rispose “Benetti all’ottavo minuto della ripresa con un forte tiro da fuori area.” Infatti poco dopo sentimmo: “Mi-lan, Mi-lan, Mi-lan,” fragoroso e dirompente. A seguire applausi, tanti applausi.
Fausto non stava più nella pelle, la sua squadra era in vantaggio, come dargli torto? Tifoso del Milan, sei chilometri e mezzo all’andata, sei chilometri e mezzo al ritorno, a piedi, altri due km attorno alla stadio… ne aveva buon diritto. 
Ricominciammo il nostro giro passando accanto all’ippodromo e così via. 1,2,3 giri, fermandoci ogni volta a chiedere novità all’omino delle caldarroste. A un certo punto qualcuno ci gridò: “Hei, voi…sì, voi due”. Ci voltammo. C’era un Carabiniere all’interno dello stadio che, indicandoci, ci chiamava. Io guardai Fausto interrogativo e lentamente ci avvicinammo. 
“Ciao ragazzi, scusate, gentilmente mi comprereste delle caldarroste?” Attraverso le sbarre ci passò 100 lire. 
“Perché no?” risposi e mentre afferravo la moneta pensai: “Ma in servizio potrà farlo? Ma in fondo chi se ne frega, non sono affari miei.”
Poco dopo tornammo col cartoccio fumante di castagne. Il carabiniere ci guardò, fece un sorrisino e ringraziando ci chiese: “Volete entrare?” Fausto rispose immediatamente: “Si, si, grazie, grazie!” Io pensai “E quando mai ci ricapita?”
In un attimo eravamo dentro e ci dileguammo immediatamente nella pancia di San Siro, non si sa mai, qualche ripensamento. Imboccammo una rampa, erano interminabili, iniziavamo a sentire lo stadio che pulsava, che seguiva con entusiasmo la partita che di lì poco avremmo visto anche noi. 
Col fiatone arrivammo in cima. Ma, davanti all’accesso delle gradinate secondo anello, c’erano decine di persone accalcate in piedi, non si poteva entrare, non si vedeva niente.
Che beffa atroce! Noi, abituati a sentire i rumori provenienti dall’interno dello stadio per farci un’idea di quello che accadeva, ci trovammo sì all’interno, ma nella stessa situazione. Nulla era cambiato. Dissi a Fausto: “Corriamo giù e risaliamo da un’altra rampa.” Detto fatto, in un attimo risalimmo in un altro settore. Stessa storia, ancora decine di persone in piedi, che tentavano di vedere qualcosa, bloccate al varco di entrata agli spalti. Non era una partita come le altre, era il derby di Milano! Tutto esaurito e oltre. Provammo con altri due ingressi. Niente da fare, la partita stava finendo. Fausto mi disse: “Meno male che il Milan sta ancora vincendo”. 

Mancavano pochi minuti alla fine e decidemmo di uscire. Questa volta avremmo approfittato noi dei cancelli di uscita già aperti, tanto restare era inutile. Iniziammo a scendere. Chi è stato a San Siro all’epoca, si ricorderà che impegnando le rampe si vedevano delle piccole porzioni di campo di gioco, tra le strutture in cemento. Ad un tratto vedemmo da una di queste Mario Corso, con i suoi calzettoni abbassati, fare un lancio in avanti verso Roberto Boninsegna, che dal vertice sinistro dell’area lasciava partire un missile di sinistro infilando un colpevole Carlo Cudicini, uscito male dalla sua porta (penso che Enrico Ameri il gol l’avrebbe raccontato così).
“Goool!” gridammo entrambi, tra l’euforico e il liberatorio. Sì, anche Fausto gridò al gol dell’Inter. Credo non fosse felice, ma gridò comunque. In fondo era stata una gioia assistere a qualcosa di inaspettato e imprevedibile, nel momento in cui la delusione vissuta fino a poco prima veniva allontanata.
Era l’86° minuto di gioco, quando l’attaccante dell’Inter, pareggiando, chiudeva le segnature di quel derby. 

Prendemmo la via del ritorno e una fitta pioggia iniziò a scendere. Non avevamo ombrelli, solo i nostri cappucci. Li tirammo su e via. All’epoca era molto in vigore l’autostop, un metodo di muoversi approfittando della cortesia altrui. Noi non l’avevamo mai fatto. “Non chiedete un passaggio, non si sa mai chi potrebbe fermarsi!”. Queste le raccomandazioni dei nostri genitori. 
Ad un certo punto, vinti dalla pioggia battente, sfoderammo i pollici e ci provammo. Non era poi una cosa così scontata la cortesia per un passaggio. Le auto sfrecciavano nell’indifferenza assoluta. Ad un tratto, in mezzo all’acquazzone che si era scatenato nel frattempo, vedemmo qualcuno che rallentava per poi fermarsi, dopo averci superato.
Era l’omino delle caldarroste che ci aveva visti e riconosciuti. Ma all’interno, al suo fianco, aveva solo un posto. Noi provammo a stringerci un po', ma niente da fare. L’omino non aveva neanche lo spazio per girare il volante. Insomma, bagnati per bagnati avremmo pur sempre fatto prima. Dissi a Fausto “Saliamo dietro.” Ci accomodammo sul cassone posteriore, coccolati dal tepore emanato dal pentolone caldo delle castagne che, a contatto con la pioggia, sprigionava un vapore caldo e profumato.
Ci lasciò sulla via di casa con tutta la nostra umida gratitudine.
Rincasammo felici, io per aver vissuto una insolita domenica pomeriggio e il mio amico Fausto perché un pareggio in un derby non è mai da buttare. 


L’anno scorso, il 19 Marzo 2022, esattamente cinquant’anni dopo quel derby, allo stadio Giuseppe Meazza (non più San Siro), era in programma Inter-Fiorentina. Io e il mio amico Fausto, nella ricorrenza, siamo andati allo stadio per assistere alla partita, non lo facevamo da tempo.
Siamo arrivati in auto, fino a sotto lo stadio, siamo entrati con i nostri biglietti, ci siamo seduti in tribuna.
Eravamo eleganti e il mio amico, nascosta sotto la giacca, indossava una maglietta del Milan, quella ufficiale.
Abbiamo assistito ad una buona partita, anche questa è terminata 1 a 1 come il derby di allora.
Sia prima che dopo l’incontro abbiamo cercato le caldarroste. Non le abbiamo trovate, e tornando a casa ha iniziato a piovere.