Andrà in scena sabato, palla al centro alle diciotto, orario d’aperitivo, il Derby della Mole. Chi scrive, essendo tifoso partenopeo, dovrebbe osservare tale partita con sufficiente distacco, ma almeno due ordini di ragioni gli impongono, ogni stagione, di guardare il derby torinese parteggiando per il Torino: per noi napoletani, ogni battuta d’arresto dei bianconeri produce comunque un piacere, più o meno grande; la squadra del mio paese natio, la gloriosa Puteolana, la squadra più antica della Campania, veste casacche color granata che tanto ricordano quelle, ben più famose, del Toro.

Serve un’ulteriore premessa: stiamo parlando del derby più squilibrato d’Italia, considerando i cosiddetti “maggiori”. In 201 partite ufficiali, la Juve ha vinto 89 volte, il Torino 56. Sotto la Madunina, ad esempio, il divario è molto meno ampio: 84 vittorie dell’Inter contro 77 del Milan. Sulla rive droite del Tevere, la Roma ha vinto 71 derby contro i 54 della Lazio. Sotto la Lanterna, infine, si contano 37 vittorie blucerchiate contro le 31 genoane. Lo juventino che ha segnato più goal nei derby è Giampiero Boniperti, che ha infilato la porta granata ben 12 volte. Il recordman torinista è invece Pulici, autore di 9 reti contro la Juventus. Da segnalare anche i 12 goal di Gabetto, perito a Superga con il Grande Torino, che segnò sette reti indossando la casacca bianconera e cinque vestendo il granata.

Tralasciamo i numeri, però. Non esprimono compiutamente l’atipicità del Derby torinese. Atipicità abbinata a un calore distante anni luce dalla compostezza sabauda tipica del capoluogo piemontese. Un esempio su tutti: si pensi agli operai meridionali della Fiat. Lottavano in fabbrica contro il padrone Agnelli, ma la domenica andavano allo stadio e tifavano per la Juventus presieduta dalla medesima famiglia. Il bianconero è sempre stato il colore prediletto dagli emigrati meridionali a Torino, mentre il granata era particolarmente apprezzato nella buona borghesia torinese. 

Torino-Juventus è tanto altro, per me. E’ mio nonno – buonanima! – il quale, a chi gli chiedeva chi fosse stato il più grande calciatore italiano, non rispondeva mai Baggio o Rivera, ma sempre e solo “Valentino”. Non c’era bisogno di aggiungere il cognome, per mio nonno esisteva un solo Valentino e non faceva l’attore a Hollywood.
Torino-Juventus è Gigi Meroni, calciatore di cui mi hanno raccontato gesta che i pochi video in rete mostrano solo parzialmente, ala destra dal dribbling ubriacante e dal cross pennellato, pennelli che usava per dipingere sulle tele l’amore della sua vita o la gallina con cui amabilmente passeggiava per Torino. Meroni, che di Derby della Mole ne ha giocati sette senza mai vincerne uno e che morì una settimana prima di Torino-Juventus, partita vinta dal Toro per 4-1: miglior risultato in un derby per i granata dopo la tragedia di Superga. In quella partita segnò una tripletta Nestor Combin, che pochi giorni prima aveva portato in spalla la bara dell’amico.
Torino-Juve è nelle facce da calciatori di Pulici e Graziani, i gemelli del goal. Facce che oggi non si vedono più sui campi della Serie A, perché oggi il capello deve essere curato, le sopracciglia vengono sfoltite, le basette sono sfoltite e in genere corte.
Torino-Juve è nei 101 punti del 1977: 50 del Torino, 51 della Juventus, che si laureerà campione d’Italia. E’ nei voli del Giaguaro Castellini, portiere che a Napoli abbiamo nel cuore.

Poi arrivano i “miei” Torino – Juve. Io, che non “son di Francesco Giuseppe”, come amava dire il Paròn Rocco, grande allenatore granata, sono un classe 1980. Non posso ricordare, quindi, il derby del 27 marzo ’83, quando i granata, sotto di due reti a un quarto d’ora dalla fine, ribaltarono il risultato con tre goal in quattro minuti. I primi Derby della Mole di cui ho memoria avevano i volti delle figurine Panini che mio padre, partenopeo di fede juventina, mi comprava in edicola. Ricordo la chioma spettinata di Platini, il baffo gallese di Ian Rush, la faccia spigolosa di Rizzitelli, la capigliatura folta di dietro e carente davanti di Tarzan Annoni, l’uomo che giocava a mezze maniche anche sulla neve, ma indossando i guanti di lana.
E le panchine? Dico Juventus e mi fischiano le orecchie: è Trapattoni, con le dita infilate in bocca, che mi redarguisce in un improbabile italiano perché ho sbagliato qualcosa. Dico Torino e un’ombra si leva alle mie spalle: una sedia, a più di due metri da terra, sollevata da mister Mondonico (un altro che, per noi napoletani, pizzica corde particolari sul violino della memoria). 
Giungo nel Nuovo Millennio e vedo Marcelo Salas spedire in curva il rigore del possibile 4-3. Il matador cileno era stato fregato – perché se non è una fregatura questa, non ne esistono - da una buca vicino al disco del rigore, scavata di soppiatto da Riccardo Maspero, “cresciuto nel Fanfulla” come recitava l’Almanacco. Vedo le corna: quelle di Marco Ferrante, mostrate dopo ogni pallone scagliato in fondo alla rete, e quelle dello juventino Vincenzo Maresca, delizioso e indimenticabile gesto di scherno, dopo il goal del definitivo 2-2 in un derby di vent’anni fa.
Gli ultimi anni hanno ribadito il netto predominio della Zebra sul Toro. Fa eccezione un guizzo granata datato 2015, con due incornate firmate da Darmian e Quagliarella. Sulla panchina della Juventus siede oggi Andrea Pirlo, che da calciatore bianconero non ha mai perso contro il Toro; su quella del Torino c’è Davide Nicola, che in maglia granata ha disputato 35 partite realizzando una sola rete.
Buon Derby della Mole, dunque. Agli juventini, ai torinisti e a tutti noi altri, amanti del Pallone e adoratori della Dea Eupalla. Squillino le trombe, tutte, anche se sarebbe stupendo se potesse suonarne una sola, un’ultima volta: quella di Oreste Bolmida, capostazione presso Torino Porta Nuova, che dalle gradinate dell’indimenticabile Filadelfia suonava la carica a un quarto d’ora dalla fine di ogni match. Capitan Valentino si rimboccava le maniche e la squadra produceva il massimo sforzo. “Quarto d’ora granata”, questo il nome che la Storia, vestendosi di Leggenda, ha dato a quei momenti irripetibili.

Chi vincerà sabato? I bookmakers non hanno dubbi: la vittoria sarà bianconera, per l’ennesima volta. Il Torino, che negli ultimi derby è parso poco carico soprattutto dal punto di vista caratteriale, dovrà rinverdire i fasti del proprio leggendario agonismo. Parliamo pur sempre di una squadra che, a differenza di tutte le altre, per le quali si usa il termine “mentalità”, ha addirittura coniato una parola originale: Tremendismo granata.

“Tremendismo?”, mi chiede mio figlio. Nove anni di vita e tre di scuola calcio. Provo a spiegarglielo alla mia maniera, quella di un appassionato calciofilo partenopeo che si diletta con la penna. Magari un giorno, quando sarà cresciuto e il suo vocabolario sarà più ricco, userò le insuperate parole di Giovanni Arpino: “Tremendista è il giocatore o il club che magari non vince grappoli di trofei, ma costituisce un osso durissimo per chiunque. Una squadra di orgoglio, di rabbie leali, di capacità aggressive, mai vinta, temibile in ogni occasione e soprattutto quando l’avversario è di rango: tutto questo significa tremendismo, un termine che da quando l’abbiamo adottato è riuscito a creare invidie di cui andiamo orgogliosissimi. Perché anche di neologismi si vive, non solo di pane e Coppe.”