L'ingresso di Zlatan Ibrahimovic nello spogliatoio dì Milanello in un freddo giorno di gennaio, dopo tanti anni, non deve aver lasciato nell'immaginario dello svedese un grande spettacolo: giocatori forti, ma completamente ai margini (Rebic, Leao), bidoni titolarissimi (Suso), punti interrogativi sui quali valeva la pena provare a lavorare (Kessié). Ibra vale molto, ma molto di più del prolungamento che si sta mettendo nero su bianco in questi giorni e l'ingaggio di Rangnick avrebbe in tal senso prodotto il disastro della non riconferma. Altro che progetto giovani! Lo svedese legge come nessun altro giocatore, come nessun allenatore, la squadra: sa alla perfezione chi può dare e chi è senza speranza. Non è solo un fantastico motivatore, è una spina nel fianco perché si allena come un inno prima della battaglia e da chi lo circonda pretende lo stesso. Su di lui occorre un pensiero di collaborazione a lunghissimo termine anche per gli anni a venire: poco importa se come giocatore o responsabile tecnico; questo fuoriclasse ha un valore aggiunto inestimabile.

Il primo messaggio trasmesso ad una squadra in disarmo, che di Suso, con Pioli in panchina, faceva ancora il suo epicentro, è stato il seguente: in serie A le occasioni da rete capitano raramente, pertanto è vitale trasformarle tutte. Un concetto in apparenza banale, ma nella realtà decisivo. Si riferiva non solo ai miserevoli, pluriennali cincischiamementi una volta arrivati a ridosso dell'area, ma alle troppe imprecisioni di mira e non solo degli attaccanti. Prendete Kessié e Calhanoglu pre-Covid e fate il conto di quante caviglie, stinchi, fotografi o lampioni di Viale Misurata centravano: confrontateli con la balistica delle ultime 10 partite. Furbizia, dunque, quella che fa si che una squadra che miri alla Champions usi questo concetto come imprescindibile.

Altra cosa osservata immediatamente dal gladiatore di Malmö è stata la caratteristica di tre giocatori, due dei quali marcivano in panchina se non addirittura in tribuna: Leao, Rebic e Theo Hernandez. Velocità pura, scatto e pensiero da serpenti a sonagli, altra qualità non solo rara, ma mal sfruttata dai nostri tanto incensati tecnici: dovevano giocare, sempre! E la stessa caratteristica va assolutamente trovata per fine agosto sulla fascia destra perché Conti e Calabria sono ormai giocatori mai sbocciati.

Poi guardò se stesso pensando alla forza di cui disponeva e di cui disporrà anche negli anni a venire: il leone. Kessié aveva questa caratteristica che andava assolutamente affinata, Bakayoko era appena stato malamente non confermato. Eh sì perché la forza fisica è un'altra di quelle armi che fanno la differenza e Maldini farà bene a tenerne conto da qua alla chiusura del mercato.

La serie A è un torneo anomalo, e l'appendice europea prolunga di molto la sollecitazione di una squadra; senza che tutte e tre le modalità di cui sopra non vengano applicate, la strada che si percorre non può portare lontano. Ibra ha tracciato in poche partite la via da seguire, il resto è venuto da sé con chi si voleva applicare; chi non se l'è sentita ha fatto le valigie, le stesse pronte per altri cinque o sei.