Ieri sera abbiamo assistito ad un evento leggendario, spettacolare, in una delle edizioni della massima competizione continentale che sta regalando rimonte inaspettate e risultati impronosticabili alla vigilia.
Il fascino della Champions League è sempre più inarrestabile, uno spettacolo unico nel panorama sportivo a tutti i livelli.

Questa grande stagione europea cozza con l’eccesso di noia che ha attanagliato almeno tre dei maggiori campionati europei, che, a conti fatti, erano virtualmente chiusi già in partenza.
Ovvio, le qualificazioni per le coppe europee e le lotte per non retrocedere mantengono vivo un certo interesse, ma quando non c’è una reale corsa al titolo è chiaro che ne risente l'intera competizione.

La nostra Serie A, insieme alla Ligue 1, è incappata nella monotonia più totale: anzi, in Francia, due anni fa, il miracolo compiuto dal Monaco ha perlomeno interrotto l’egemonia tecnica ed economica della squadra di Parigi, che rimane comunque palpabile.
In Italia, invece, i tentativi di Napoli e Roma non hanno sortito effetto, lasciando spazio al dominio incontrastato della Signora.
La Bundesliga 2018/19 è stata sicuramente più avvincente e ad un certo punto sembrava che il torneo avesse potuto prendere la direzione di Dortmund, prima di fare marcia indietro e ripercorrere la ben nota via della Baviera.
La Liga spagnola, per quanto abbia un tasso di competitività delle singole squadre che le hanno permesso di vivere un Quinquennio d’oro a livello internazionale, vede negli ultimi undici anni una netta supremazia blaugrana: 8 titoli in Catalogna contro gli appena 3 conquistati da Madrid (2 il Real e 1 l’Atletico).
Anche qui, dunque, con proporzioni diverse, non emerge un equilibrio accattivante.
L’unico caso vero di campionato eccelso (anche, e direi soprattutto, per altri motivi) è la Premier League: si potrebbe obiettare che anche in Inghilterra, negli ultimi anni, eccetto l'episodio fenomenale del Leicester, abbiano vinto solo tre squadre, ovvero Chelsea e le due di Manchester, in attesa dell’epilogo di questo fine settimana. Ciò che rende unica la Premier League è, però, la percezione che ai nastri di partenza ci siano almeno sei squadre veramente in grado di portare a casa il titolo, con l’aggiunta che realmente chiunque può recitare un ruolo da protagonista inaspettato (le Foxes insegnano).

Fatta questa panoramica, il titolo provocatorio dell’articolo suggerisce una considerazione: è ancora possibile dare una possibilità al format del campionato per come lo conosciamo o, forse, è davvero il caso di ipotizzare un’innovazione che sarebbe epocale?
La risposta al quesito è impossibile da dare in poche righe, però una riflessione è inevitabile: gli innamorati di un calcio romantico come il sottoscritto, al solo pensiero di dover abbandonare la Serie A per come è impostata attualmente, rischierebbero un mancamento. O, almeno, avrebbero rischiato.
Perché chi scrive è contro qualsiasi tipo di Superlega fatta di snobbismo e circoli chiusi ma, nello stesso tempo, e non posso mentire, non riesce più a seguire con passione quella Serie A che fin da piccolo ha sempre visto come parte fondamentale della propria vita.

Ovvio, non si tratta solo del fatto che non ci sia competizione: lo spezzatino è qualcosa che ancora sfugge ad ogni tipo di comprensione logica, anche quella commerciale, perché obiettivamente nessun consumatore può essere in grado di usufruire di tutto il piatto offerto e spacchettato con orari e giorni improbabili.
Mettiamoci poi che, eccetto quest’anno con l’arrivo di CR7, abbiamo vissuto estati di fughe da parte dei migliori calciatori e pochi innesti di valore; a questo aggiungiamo che le milanesi sono in letargo, gli stadi sono sempre più vuoti e desolati in favore di un calcio eccessivamente digitalizzato ed ecco la ricetta perfetta per disincentivare passione e investimenti.
Al netto di ciò, qualcosa va fatto, in quanto non è tollerabile vivere dei campionati così sottotono e privi di mordente.

Quali le possibili soluzioni per ravvivare questa situazione?
Le proposte vertono quasi sempre sugli stessi elementi: ripartizione più equilibrata dei diritti televisivi, stadi più moderni, costi più contenuti per la visione da casa, sviluppo del settore giovanile, riduzione del numero di partecipanti. Tutte idee assolutamente accettabili e condivisibili, di cui alcune attuabili a priori (stadi, giovani e tv).

Ma perché non pensare a qualcosa di veramente rivoluzionario, che possa sovvertire il concetto stesso di calcio tradizionale che abbiamo sempre vissuto?
Il presidente FIGC Gravina dichiarò di sognare per lo scudetto i play-off, portando quell’atmosfera calda che i tifosi delle squadre che giocano nelle serie inferiori conoscono benissimo. E’ chiaro che la proposta presenta dei limiti: in primis di calendario, in quanto collocare ulteriori gare post-season non è affatto semplice, soprattutto a fine anno.
Inoltre, ed è la ragione per cui molti hanno storto il naso, è che invece di aumentare la competizione si avrebbero delle gare di campionato ancora più anonime di quelle a cui siamo abituati da anni verso fine stagione, in quanto chi arranca potrebbe comunque sperare di acciuffare i play-off e giocarsi il titolo.
Ovvio che sarebbe necessario introdurre dei vantaggi oggettivi per chi ottiene i piazzamenti migliori, ma forse c’è qualcosa che potrebbe essere ancora più ideale per dare una svolta.

Tornando alla premessa dell’articolo, se il bello del calcio sembra risiedere nella sfida ad eliminazione diretta, perché non pensare di importare il modello Champions su scala nazionale? 
E’ evidente che sorgerebbe, di base, un problema “dottrinale”: il modello coppa è esattamente l’antitesi del campionato, dunque, non potremmo più parlare effettivamente di campionato per come lo intendiamo tradizionalmente. E, personalmente, fino a qualche anno fa, chi mi avrebbe proposto un’idea simile non avrebbe ricevuto i miei apprezzamenti, anzi. Ma le ultime stagioni, sempre meno sfumate, sempre meno divertenti, sempre meno sorprendenti, mi hanno fatto riconsiderare la questione.

Si potrebbe pensare ad una sorta di Campionato unico per club professionistici, ammettendo solo società in regola con i conti e che abbiano i requisiti minimi per poter disputare un campionato di categoria.
Si creerebbero dei macrogironi con un tetto limitato di team partecipanti, suddivisi per area territoriale, che permetterebbero di ridurre gli sforzi economici e atletici, favorendo gli incontri campanilistici (chi mi legge sa quanto io sia legato a questi match dal sapore unico) che permetterebbero di riavvicinare la gente agli stadi e all’appartenenza ai colori e, infine, prevedere un tot. di squadre che accedano ad una sorta di fase finale, con ottavi di finale fino ad una finalissima scudetto, prevista ogni anno in una città diversa, magari contornata da spettacoli, concerti e che possa anche permettere di elevare l’evento da meramente sportivo a culturale (l’idea di una finale scudetto in stile Superbowl mi ha sempre affascinato).

E’ un’idea di getto, tutta da strutturare: in primis, bisognerebbe garantire un numero minimo di partite da far disputare ai team partecipanti, in modo da rendere sostenibile il sistema.
Poi, bisognerebbe regolare i meccanismi di qualificazione alla fase finale e quelli per evitare la retrocessione (che, in questa proposta, vorrebbe dire calcio dilettantistico).
Ancora, sarebbe da ridefinire la Coppa Nazionale (e a tal proposito dedicherò prossimamente un articolo a parte).
Infine, ed è l’obiezione primaria che viene spontanea, chi seguirebbe partite con un dislivello tecnico esagerato? Il mercato televisivo dovrebbe riadattarsi ad un cambiamento che sarebbe epocale.

Non è semplice, anche perché la nostra mente non è abituata a prevedere una simile prospettiva.
Non esiste la bacchetta magica ma ciò esposto è un bisogno di novità, complice la soporifera stagione che abbiamo appena vissuto, ma che deve essere soddisfatto.
O, forse, potrebbe essere semplicemente un tentativo che potrebbe riportare un po’ di sano entusiasmo in un campionato che si avvia verso la conclusione, mai così deludente nella storia del girone unico o, perlomeno, dei campionati che ho potuto ammirare.

A me piacerebbe vivere anche in Italia le emozioni vissute ieri ad Anfield Road: lì c’è in palio l’Europa ma, se fosse una corsa allo Scudetto, stiamo pur certi che la passione calcistica del nostro Paese sarebbe in grado di garantire un effetto scintillante.

A prescindere da tutto, però, qualcosa va fatto: salviamo il campionato.
In qualsiasi modo, ma salviamolo da questo piattume.