Carissima famiglia "Cox",

riuscite a sentirmi? Sono io, il calcio, lo sport che tutti amano e che tutti sognano di giocare.
Questa sera ho deciso di scrivervi per chiedervi perdono: in occasione della partita di Champions League tra Liverpool e Roma, il vostro caro è rimasto coinvolto in un durissimo scontro con i propri avversari ed io, che sogno di essere per tutti uno strumento di aggregazione sociale, non riesco a darmi pace. 
Troppe volte nel corso degli anni ho pianto la morte (o le gravi ferite) di persone appartenenti a famiglie come la vostra: penso al giovane tifoso laziale Gabriele Sandri, al quarantenne poliziotto Filippo Raciti e molti altri ancora; pensavo, e speravo, che il sacrificio di questi fosse stato già abbastanza. 

Cari "Cox", non potrò mai restituirvi il vostro amico, ma, vi prego, perdonatemi: sono un semplice sport, un pallone che passa tra i piedi dei calciatori e che gonfia la rete accompagnato dalle urla di adulti e bambini; sapete qual è il problema? Non riesco a gestire tutti gli interessi attorno a me, sono troppo grandi, girano troppi soldi e, purtroppo, non ho la forza di difendermi dalla cattiveria dell'uomo.  
Sono state introdotte le tessere del tifoso, installati i tornelli negli stadi, innalzate barriere, ma ancora oggi non posso evitare tutte queste tragedie; ispiro tante manifestazioni, esalto l'uguaglianza e la lotta alla povertà, combatto per l'abolizione della violenza, ma, credetemi, in cuore mio io sento che è tutta una squallida contraddizione. 

Non riesco più ad accettare che in nome mio si possano legittimare scontri, scommesse illegali e molto altro ancora: vorrei tornare alla mia originale semplicità, ai tempi in cui vedevo tanti bambini sorridenti sugli spalti, alle domeniche di festa passate a incitare i propri beniamini e a prendersi in giro con gli sfottò più divertenti. 

Quando sono solo penso, altresì, alla morte di Davide Astori: ricordo sciarpe di tutti i colori legate vicine, gli applausi agli eterni rivali, ma soprattutto il coro di coloro che, uniti dal dolore, condannavano ogni violenza nella speranza di un mondo migliore, proprio quello di cui Davide ne era l'esempio. Adesso mi chiedo: perché l'altra sera il vostro caro è stato trasportato d'urgenza in ospedale? Sarò forse io il problema? Dovrò mica negare a tutti la possibilità di ammirarmi dal vivo?
Io non voglio più soffrire, ma non voglio soprattutto far soffrire ancora: non posso accettare di essere indicato come la cosa più bella del mondo se poi allontano quel bambino dal proprio papà. Con queste poche righe non condanno quella società o l'altra, voglio farvi riflettere e farvi capire che morire per me, il calcio, non è umanamente accettabile. 

Desidero troppo? Forse, ma spero che queste mie parole non cadano nel vuoto: probabilmente le autorità mi ascolteranno, ripeto, sono il calcio, tutti mi guardano, tutti vogliono vivermi, perché non dovrebbero accogliere il mio grido d'aiuto? Sono forse io più sensibile di tutti voi? Io che sono un pallone di cuoio senza anima e senza cuore?  Vi prego, leggete attentamente questo mio grido d'aiuto, non possiamo più tollerare tutto questo: io voglio farvi semplicemente gioire e piangere di felicità. 

Cara famiglia "Cox", perdonatemi.