Domenica mattina avrei dovuto giocare una partita di campionato, poi pranzare con la squadra e nel pomeriggio mi sarei recato al Mapei Stadium-Città del Tricolore per la gara tra Sassuolo e Brescia. Questo sarebbe stato l’antipasto al big match tra Juventus e Inter che avrei gustato durante il corso della serata.
Vivo a Reggio Emilia, Città parte di quella che il nuovo Decreto Legge emanato ieri dal Consiglio dei Ministri definisce “zona gialla”. Ogni manifestazione sportiva è quindi praticabile soltanto a porte chiuse. E’ vero che 24 ore fa il nuovo atto governativo non era ancora in vigore, ma le restrizioni erano all’incirca simili. In sostanza, il torneo nel quale milita la mia compagine di calcio era sospeso e lo stadio reggiano sarebbe comunque stato chiuso. Allora avrei visto volentieri i 2 citati match di serie A alla televisione.
Prima di andare a letto, venerdì, ho scorso rapidamente i vari siti web sportivi e calcistici. Qui ho percepito la possibilità di un rinvio delle gare prima stabilite a porte chiuse. Il giorno seguente, verso l’ora di pranzo, è giunta l’ufficialità della notizia paventata da qualcuno durante la notte precedente. Incredibile. Tutta la mia grande giornata con il pallone sfuma nel tempo di un amen. Innanzitutto, vorrei precisare che una simile rinuncia è nulla in considerazione della sofferenza a livello di salute o economica che alcune persone stanno patendo a causa di questa terribile emergenza piombata come l’ospite meno gradito possibile. Sarebbe quasi moralmente scorretto sottolineare la mia situazione rispetto a quanto sta accadendo ad altri uomini come, per esempio, chi si trova a vivere nella “zona rossa” ancora più “martoriata” della “mia” Emilia-Romagna. Il preambolo è un semplice invito alle Autorità Calcistiche a valutare la vicenda in modo responsabile e non distruggere ciò che, soprattutto in un momento come questo, potrebbe rappresentare l’attimo di distrazione da una realtà che sta presentando un conto davvero salato. E’ il piacere che può essere utile a sollevare almeno un poco lo spirito.

Una settimana fa sottolineavo la necessità di bilanciare la fondamentale tutela della salute, bene primario pure a livello costituzionale, con quella di salvare anche l’aspetto economico. Sono ancora totalmente convinto della mia opinione.
Mi spiego: se per coprirsi la testa si liberano i piedi, è certo che non si raggiungerà l’obiettivo. Si avrà comunque freddo. Ultimamente sento affermare dappertutto queste 3 parole che ormai hanno perso ogni significato: “Prima la salute”. E’ un chiarimento che ognuno ripete come un mantra nell’istante in cui si accinge a esprimere il proprio parere in relazione a questa “piaga” chiamata coronavirus, ma sta ribadendo inutilmente un concetto scontato. Sarebbe come se il sacerdote prima di iniziare la Messa dicesse: “Dio esiste”. E’ il trionfo di La Palice. E’ assolutamente lampante che le esigenze della sanità pubblica devono essere assistite senza se e senza ma. Ora, però, occorrerebbe entrare nel dettaglio e valutare il vero significato di un aforisma ribadito aprioristicamente tanto da svuotarlo della sua essenza. Sicuramente usciremo da questo momento complicato. Non ci sono dubbi. Proprio per questo, occorre che si arrivi alla liberazione pronti per riprendere una vita normale. L’Italia è giunta in questa emergenza in un periodo economicamente piuttosto complesso. Il rischio è quello di venire fuori in uno stato ancora peggiore. A quel punto si sarebbe sconfitto l’insano ospite, ma ci si troverebbe a dover fronteggiare esigenze lavorative e finanziarie davvero devastanti. Spesso odo dire che “devono decidere gli scienziati”. Consentitemi di dissentire. Mi pare di trovarmi di fronte a un’apoteosi del luogo comune. La realtà è un sistema complesso e in una simile struttura ogni sua componente diventa fondamentale andando a influenzare l’altra. Il brainstorming eseguito tra persone competenti e capaci di bilanciare le esigenze, mi pare sempre la soluzione migliore. Serve una concertazione. I medici e gli economisti forniranno il loro illustre parere. La politica, formata dai rappresentanti scelti democraticamente dal popolo, dovrà avere la capacità di valutare le fondamentali relazioni giunte dalle Autorità Scientifico-Finanziarie. In base a queste, con coraggio, assumerà le decisioni che ritiene opportune. Ognuno ha il suo compito e una confusione di ruoli risulterebbe deleteria perché nessuno è Domine Dio ed è dotato di competenze onniscienti. Se si assumesse responsabilità per le quali non è preparato, rischierebbe di creare un danno immane. Sono piuttosto certo che la concertazione sia ciò che effettivamente accade.

Con queste premesse, vorrei giungere a trattare l’argomento calcistico.
Si arriva da una delle settimane più nere della storia del glorioso pallone italico. Mi pare abbia regnato il caos. Si gioca? Si disputano le sfide a porte chiuse? Si rinvia? Chi ci ha capito qualcosa? Qualche giorno fa pareva praticamente ufficiale che nelle zone in cui il coronavirus scatena più prepotentemente la sua ira, si dovesse scendere in campo senza la presenza del pubblico. Sabato mattina è giunta l’ufficialità che queste gare non si sarebbero disputate affatto. Ne è uscito un vero e proprio putiferio e si è parlato persino di campionato falsato. Nel weekend abbiamo assistito a un “teatro dell’assurdo” e una situazione enigmatica che lentamente ha scoperto il velo nella quale era avvolta. Si è compreso abbastanza precocemente che lo slittamento delle gare inizialmente programmate a porte chiuse non poteva essere direttamente collegato a esigenze di salvaguardia della sanità pubblica anche perché, solo qualche ora dopo l’ufficialità del rinvio, si è disputata, per esempio, a porte chiuse la sfida tra Cittadella e Cremonese. Il “Tomboloto”, impianto della squadra veneta padrone di casa, si trova in Provincia di Padova cioè in uno “degli epicentri” dell’emergenza. Si è affermato che la scelta di spostare i match era dovuta alla volontà di evitare di mostrare un’Italia ferita. In effetti, ieri sera al “Bernabeu” è andato in scena un fastoso “clasico” e probabilmente il confronto con il Derby d’Italia senza tifo avrebbe stonato.

Detto questo, ho letto tanti articoli tra i quali anche uno del Direttore Stefano Agresti. Non posso non concordare con lui che la nostra situazione è ormai palese all’estero. Aggiungerei che pare ci si trovi di fronte al più classico “segreto di Pulcinella”. Non è finita qui. Siamo al paradosso perché lo straniero che ha seguito il nostro calcio avrà osservato il repentino cambiamento d’idea giunto all’ultimo respiro rispetto a una decisione che pareva già assunta. Non è che sia proprio un’immagine positiva. La decisione del rinvio delle gare non è stata accolta con soddisfazione da più parti. Il messaggio è apparso abbastanza chiaro: sarebbe stato opportuno giocare a porte chiuse oppure spostare tutta la giornata di campionato. Marotta, amministratore delegato dell’Inter, è sembrato da subito tra i più delusi per la soluzione adottata dalla Lega Calcio. Davanti alla sede di questo organo sono comparsi striscioni piuttosto espliciti nell’attaccare la Juventus come se fosse protagonista di questa decisione. Non voglio entrate nel merito della questione perché mi pare che non vi siano le basi per gridare allo scandalo e non ritengo opportuno nemmeno trattare delle querelle tra l’amministratore delegato interista e la Lega Calcio che credo debba rientrare il prima possibile onde evitare sterili e dannosi bracci di ferro. Se errore vi è stato, è inutile sommarne altri. Vinca il buon senso.

Ritengo sia pressoché vano ricordare tutti gli avvenimenti di uno dei finesettimana più tristi ed enigmatici della storia del pallone. Sono, infatti, molto freschi e ben noti a tutti. Ha regnato il caos più totale e trovo francamente errato nelle tempistiche il fatto che si debba attendere sino alla giornata di mercoledì per assumere una decisione riguardante il futuro del calendario di serie A. Penso che, già oggi, la Lega Calcio avrebbe dovuto riunirsi e come nel conclave uscire soltanto dopo una fumata bianca. Invece ci si trova di fronte ad altri 2 giorni di confusione che certo non agevolano né l’immagine del pallone italiano all’estero, né i tifosi spesso assunti come bene primario da tutelare, ma in realtà vittime di una situazione quasi grottesca. Questi hanno rinunciato a una succulenta portata durante il weekend trascorso e sono ora nella necessità di conoscere cosa accadrà. Non si può navigare a vista per troppo tempo. Vorrei poi che i vertici dello sport più popolare d’Italia riuscissero a comprendere, in una situazione di estrema necessità, che la soluzione di disputare le gare a porte chiuse potrebbe essere il male minore. Sarei assolutamente incoerente se dopo il mio preambolo affermassi che l’aspetto economico non deve avere un valore rilevante. Non so se la necessità di giocare un match con il pubblico sia anche legata a scelte di questo genere, ma penso che non vi sia materialmente il tempo per altri rinvii. A questo punto è meglio scendere in campo in uno stadio vuoto che mandare in bag il sistema.

Visto che ultimamente i luoghi comuni paiono essere parecchio apprezzati affermo che “non tutto il male viene per nuocere”. Mi spiego. Nella serata di ieri, si è paventata una soluzione che sembra poter salvare la situazione. Mercoledì e giovedì prossimo si disputeranno regolarmente le semifinali di ritorno di Coppa Italia. Questo è assodato e indipendente da tutto il resto. Le gare saranno a porte aperte con le sole limitazioni per il pubblico proveniente dalle zone stabilite ieri dal nuovo Decreto Legge. Per quanto riguarda la serie A, invece, i tifosi potrebbero trovarsi di fronte all’ultimo finesettimana di sacrificio che rappresenterebbe però rappresentare “l’attesa del piacere”. Sì, perché la proposta sarebbe quella di giocare le 6 gare rinviate durante lo scorso weekend nelle giornate del 7-8 e 9 marzo prossimi. Il Derby D’Italia andrebbe in scena nell’ultimo delle 3 date e questo significherebbe che la normativa relativa alle varie restrizioni stabilite attualmente dal Governo sarebbe ormai decaduta, quindi, la partita risulterebbe a porte aperte per tutti. Evviva. E’ chiaro, poi, che a cascata anche Milan-Genoa, Sassuolo-Brescia e Parma-Spal potrebbero (e sottolineo il condizionale) vedere il loro fischio d’inizio proprio nello stesso giorno allo scopo di consentire anche a loro di vivere la sfida a porte aperte. Restano più dubbi relativi a Sampdoria-Verona e Udinese-Fiorentina. Queste gare, infatti, non si disputano nei territori “vittime” delle limitazioni governative quindi, seguendo la detta normativa, sarebbero giocabili con il pubblico. Ammesso ciò, resterebbero le impossibilità di trasferta da parte di alcuni tifosi. Tali sfide, quindi, si giocherebbero comunque sabato o domenica prossimi? In ogni caso, ritengo che l’ultima proposta rappresenti la soluzione migliore di tutte. In questo modo si potrebbe proseguire nel torneo avendo una classifica dotata del minor numero possibile di asterischi e le gare verrebbero giocate a porte aperte. Paradossalmente risulterebbe pure migliore dello scenario che avrebbe portato ad alcuni match senza pubblico tra ieri e sabato scorso. L’intero prossimo turno di campionato slitterebbe, invece, al 13 maggio o si rispetterebbe il calendario, ma spostato avanti di un weekend. Non a caso, durante un’intervista a Radio Rai riportata da Calciomercato.com, Marotta ha definito questa ipotesi come “soluzione di buon senso”. Allo stesso tempo, però, ha affermato che verrà valutata in assemblea.

Se questa dovesse essere la linea vincente e l’appianamento di ogni problema, è chiaro che, nel caso di ulteriore prolungamento delle limitazioni da parte del Consiglio dei Ministri, il calcio dovrà scendere a compromessi evitando un braccio di ferro e il default del sistema. L’unica via percorribile sarebbe quella delle porte chiuse sarebbe necessario adattarvisi senza alcun altro tipo di discorso.