L'aspetto più vergognoso, indecente, ma anche quello più veritiero, che sta venendo fuori dal mondo del calcio è che il primo interesse che va tutelato è quello economico. Dagli stipendi dei giocatori, ai diritti televisivi, dalle perdite economiche, alla questione dei rimborsi, tra chi minaccia causa e chi non aspetta altro che speculare. Come se il calcio fosse tutto questo.

Roba di soldi, roba di business, e basta. Eppure i cosiddetti signori del calcio, padroni del calcio, dovrebbero ben sapere che senza l'anima, senza lo spirito e senza il dodicesimo uomo in campo, il calcio, è il nulla, il niente.

Si può anche giocare a porte chiuse, si può anche giocar sul pianeta Marte, o in qualche altra galassia, ma se il calcio perde il suo spirito, è destinato all'estinzione. 

In una fase di assoluta emergenza come questa è assolutamente vero che ci sono cose più importanti a cui pensare, dalla sanità, all'istruzione, dalla giustizia, alla democrazia che sta saltando in aria in Italia e in buona parte del mondo, con un quarto della popolazione mondiale soggetta a restrizioni pesanti. 

Ma la normalità della quotidianità, la speranza, il voler andare avanti, passa anche dal calcio che fa parte della nostra vita. Ma ai padroni del calcio sembra interessare solo la questione economica. Si pongono il problema di giocare, non tanto per restituire un minimo di normalità all'Italia, una speranza ai cittadini, qualche emozione in più. No. Si deve giocare per non far saltare la cassa
Il calcio azienda senza i suoi operai, senza lo spirito dei suoi operai non va da nessuna parte. Si ferma, va in decadenza. Collassa.

Bisognerebbe iniziare ad avere rispetto del popolo del calcio, ricordarsi che il calcio senza il suo popolo è come Napoli senza il Vesuvio, Milano senza la sua Madonnina, Roma senza il Colosseo. 




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