Storia - o leggenda - vuole che nel 332 a.C., nel corso delle sue guerre di espansione, Alessandro Magno giunse nella città di Gordio. Se il nome non vi dice niente, sappiate che Gordio era una città che si trovava nell’attuale Turchia e aveva preso il nome dal suo primo re. Costui era un contadinello che, per il semplice fatto di essere entrato attraverso le sue mura con un carro trainato da buoi, fu elevato al trono così come aveva profetizzato l’oracolo. Forse pochi si ricorderanno di lui, ma di sicuro il nome di suo figlio sarà invece noto a molti: Re Mida, che tutto trasformava in oro col semplice tocco. Sempre secondo la leggenda, dato che il carro era stato simbolo e motivo della sua ascesa al trono, Gordio lo fece legare a un palo in bella vista, con un nodo tanto intricato che nessuno doveva essere in grado di sciogliere. Gordio fu accontentato al punto tale che furono molti a cercare di sciogliere il nodo, fallendo miseramente ogni volta. Nacque così il mito del nodo gordiano. Questo sino a quando non giunse appunto Alessandro Magno. Si narra infatti che il grande condottiero macedone, deciso a sbrogliare la matassa, si lambiccò parecchio per riuscirci sino a quando, stanco di riflettere, afferrò la sua daga e con un colpo netto lo tranciò. Da allora, almeno così vuole il mito dietro la storia, si utilizza il concetto di soluzione alessandrina, ovvero una soluzione che non ammette repliche e cerca appunto di dare un taglio a un problema privo di apparente soluzione ragionata

Tralasciando le morali storico-mitiche, di nodi gordiani e relative soluzioni alessandrine ne è pieno il mondo. Ogni settore, ogni dimensione, hanno i loro e il calcio non fa differenza. Se ci soffermassimo poi sulla particolare situazione italiana, di matasse da sbrogliare ne troveremmo parecchie. Problemi datati che si ripetono e si potenziano nel corso delle stagioni, andando a ledere un settore sportivo e di intrattenimento che, anno dopo anno, pare sempre più avvicinarsi all’orlo sull’abisso. Per citarli tutti ci vorrebbe un tomo tanto spesso da far impallidire La Critica della Ragion Pura del buon Immanuel Kant. Se me lo si consente dunque, qui di seguito provvederò a elencare solo i nodi più grossi e attuali. Quelli che secondo il mio modesto parere meriterebbero una soluzione netta quanto quella che decise di prendere il buon Alessandro Magno, millenni or sono. 

NODO n° 1 - COMPETIZIONE: quando il girone all’italiana diviene girone dantesco
Non mi si fraintenda a leggere il titolo. Io sono un grande estimatore del girone all’italiana, tanto che competizioni come Champions League, o gli stessi mondiali, a mio avviso sarebbero più apprezzabili in tale forma. Detto ciò, purtroppo vi sono dei limiti fisici, ma soprattutto motivazionali, di cui è necessario tenere conto se si vuole salvaguardare lo spettacolo e l’agonismo. Diciamocelo: il rischio di avere partite “falsate” al termine della stagione è un problema che ci portiamo dietro da parecchio. Al raggiungimento dei propri obiettivi, e l’impossibilità di perseguirne altri, è normale che una squadra perda motivazione sul campo. Non è un reato né un’accusa, ma un semplice dato di fatto. Questo però porta a creare uno squilibrio. Di recente, per cercare di limare il problema, si è posta la possibilità di creare una fase a playoff e playout. Così facendo si andrebbe però ad aggiungere partite a un calendario già oggi insostenibile, o almeno questo è quello che hanno pensato i detrattori di questa idea. Costoro preferirebbero invece ridurre il numero di squadre all’interno del campionato, diminuendo al contempo il numero di retrocessioni. Non serve spiegare il motivo per cui, così facendo, il problema non si risolverebbe. E così, proprio come i due capi di una corda saldamente intrecciata, che si tiri da una parte, che si tiri dall’altra, il nodo non si scioglie mai, ma anzi si rinforza. Che fare dunque?

SOLUZIONE n° 1: se aggiungere i playoff e ridurre il numero di partecipanti servono a poco, forse bisognerebbe ripensare la struttura stessa del campionato. Da buona soluzione alessandrina si potrebbe dunque tagliare in due il campionato stesso. Una fase, l’attuale girone di andata, in cui le prime dieci in classifica accederebbero a un girone per lo scudetto, mentre le altre andrebbero a comporre quello per la salvezza. Se mi sei segue nel discorso, il numero di partite rimarrebbe pressoché invariato, ma con una differenza focale: nel girone di ritorno si affronterebbero solo le squadre del proprio gruppo, mantenendo così un livello alto in quasi tutte le partite, dall’inizio alla fine. Fantasioso, vero? Forse non così tanto. 

NODO n°2 - EQUILIBRIO ECONOMICO: il calcio è pur sempre un’industria
Credere che il Covid abbia squilibrato conti e gestioni delle società sportive professionistiche sarebbe una chiara ammissione di ipocrisia. Il calcio non era sostenibile già da tempo e la pandemia non ha fatto altro che palesarne le criticità. Nella rincorsa a una competitività sempre più smodata, incapaci di autofinanziarsi le società hanno scelto la via dell’indebitamento smodato, il che porta a due effetti collaterali importanti. Da una parte lo slivellamento tra le varie società, che si palesa poi a chiare lettere nei risultati di campo; non tutti infatti possono indebitarsi come Juventus, Inter e Milan. Dall’altra, l’indebolimento progressivo e irreversibile delle medesime strutture societarie, incapaci di investire seriamente e in maniera programmatica. Con un costo della rosa in costante ascesa, campioni - o spacciati come tale - e fuoriclasse con richieste sempre più onerose, questo appare essere l’unico modo per rimanere competitivi. Ma ciò non fa altro che rendere le cosiddette grandi dei giganti dai piedi d’argilla che, prima o poi, non riusciranno più a sostenere tanto peso. 

SOLUZIONE n°2: in tale frangente, un Salary Cap all’americana potrebbe essere una buona soluzione, ma tale dovrebbe partire quanto meno dalla UEFA, se non direttamente dalla FIFA. Un tetto al monte ingaggi fisso per tutte le società, sebbene non risolverebbe il problema, costringerebbe almeno molti giocatori a rivedere le proprie richieste se vogliono continuare a giocare nelle squadre più blasonate. Inoltre, i club si dividerebbero meglio quel poco di talento che circola e che oggi si ritrova patrimonio di un’elité molto ristretta.  

NODO n° 3 - TECNOLOGIA: questa (indigesta) sconosciuta
Tempo fa, un mio amico arbitro (serie C) mi disse: la VAR sminuisce la nostra professionalità. Sebbene abbia molta stima di lui, ancora oggi non mi trovo d’accordo con questa sua affermazione. Il vero punto di forza di un arbitro è l’equilibrio. E all’interno dell’equilibrio passa anche l’errore e la sua accettazione. La VAR è solo uno strumento. Sta all’arbitro decidere se essa sia utile o meno. A essere completamente sinceri però, il mio caro amico un po’ di ragione ce l’ha. La VAR sminuisce la professionalità degli arbitri… ma quando decidono di farsela nemica; quando decidono di non tenerne conto, nonostante l’errore sia palese; quando preferiscono l’orgoglio, a un semplice “scusate, mi sono sbagliato”. Sbagliare è umano, ci mancherebbe. Non c’è bisogno che chiedano scusa di fronte all’errore, fa parte del gioco. La loro professionalità è dettata invece dalla serietà che mettono in quello che fanno. Quando si sbaglia, lo si accetta e si agisce di conseguenza. Se c’è uno strumento in grado di farlo notare, va usato e usato bene. Purtroppo, dopo le prime stagioni di efficace utilizzo, le cose hanno poi preso una piega diversa.  

SOLUZIONE n° 3: dall’avvento della norma ammazza VAR, il famigerato “palese errore dell’arbitro”, l’utilità della VAR si è eclissata. Nata per eliminare l'errore, e polemiche conseguenti, se usata male la VAR non fa altro che aumentare la polemica e la dietrologia. A seguito di ciò, vi sono solo due possibili strade: eliminarla e lasciare che l’errore umano, per lo meno, sia frutto della spontaneità - e non della permalosaggine -; promuovere la VAR a vero giudice di gara. Delle due, l’una.

Detto ciò, credo che ben poco cambierà. Troppe teste pensanti, troppe bocche urlatrici, troppi interessi in conflitto. Il calcio d’altronde E’ territorio di conflitto, dentro e fuori il terreno erboso. Difficile unire gli intenti, perché spesso simili decisioni comportano dei sacrifici, delle rinunce che ben pochi sono disposti ad accettare. Eppure, appare palese come con l’andare delle cose ben presto i vari problemi che lo angustiano andranno a sommarsi, diventando un unico grande nodo gordiano che nessuna decisione, nemmeno la più macchiavellica e alessandrina, riusciranno a recidere. E quando finalmente qualcuno ai piani alti si accorgerà di ciò, sarà tardi. 
Come al solito, spero di sbagliarmi. 

Un abbraccio

Igor