Mi ricordo che quando alcuni anni fa frequentavo il corso di allenatore di base, vidi entrare in aula una gentile signora, giovane e di bell'aspetto, che si presentò come docente di psicologia. Infatti, la federazione aveva istituito tra le materie del corso allenatori la materia della psicologia nello sport e, nel caso, nel calcio. Alcuni furono un po' scettici, pensando che fosse una perdita di tempo, e non mancavano di rimarcarlo, altri come me, pensavano che finalmente ci si evolveva nella comprensione dei fenomeni che si riscontravano non solo nel nostro sport, ma anche in tutte le altre manifestazioni sportive. Noi sappiamo che in Italia, per mentalità, siamo in ritardo nello studio di alcune scienze, non per incapacità, ma per la resistenza mentale che si incontra ancora oggi nella popolazione italiana. Alcune scienze come il Marketing, ad esempio, per poterle studiare, bisogna consultare grandi studiosi, professori e docenti esteri, soprattutto di lingua anglosassone. Ancora oggi, mentre negli Stati Uniti l'analista psicologo è come un normale medico di famiglia, qui si pensa che sia un'anticamera del manicomio o TSO. E così anche  la scienza della sociologia, così pertinente in un paese molto "creativo" come il nostro, langue in cassetti polverosi, non considerando mai le questioni sociali nel metodo sistemologico nel quale si dovrebbero indagare le ansie e i problemi del tessuto sociale, ed oggi in particolare, alla luce della pandemìa che ci ha messi tutti nell'angolo.   
E nell'osservazione dei presenti al corso, mi accorsi che coloro che non accettavano la nuova materia erano di istruzione inferiore rispetto ai soggetti che avevano un'istruzione superiore. E per istruzione, si doveva considerare non solo chi aveva un titolo di studio, ma anche chi invece di leggere solo quotidiani sportivi, amava la lettura di buoni libri. Il calciatore, e così ogni sportivo, non è solo un "carneade" dedito allo sforzo fisico o all'allenamento di tattiche e strategie, ma soprattutto un essere umano che pone al centro della sua vita interessi di vario tipo, che vanno dalla sfera lavorativa, a quella economica, sociale, spirituale e sentimentale. Questo non vuol dire che ci si debba apprestare ad analisi di tipo pichiatrico (campo medico della psicologia) ma ci si deve muovere tra la scienza sociologica, il comportamento tra gruppi, e psicologica, il tratto distintivo di ognuno.
Sempre durante il corso, ci capitò di seguire uno "stage" tenuto da un noto allenatore di serie A. Quando ci chiese se qualcuno aveva domande, io mi permisi di chiedergli cosa pensasse della psicologia nel calcio, ovvero se avesse avuto aiuto di psicologi durante la sua carriera di allenatore. Mi rispose che se c'era bisogno dello psicologo, l'avrebbe fatto lui, glissando sull'argomento e liquidandolo come una battuta. La sua risposta si prestava sicuramente ad una ragione e due torti. Aveva ragione, perché giustamente il primo destinatario della comprensione delle dinamiche e delle interazioni nello spogliatoio è l'allenatore. Questo perché è lui che deve comprendere i propri calciatori, sapere se sono leader oppure se sono deboli caratterialmente, se ci sono gruppi uniti ed altri in competizione tra loro, se l'approccio alle tensioni ed alle responsabilità è per tutti uguale, oppure per altri è un fattore che inibisce le prestazioni sportive. E' lui che deve sapere motivare ed esercitare la leadership sul gruppo, seguendo la sua esperienza o le sue capacità. Tra i motivi del torto, ci sono alcune considerazioni, emerse in campo psicologico, nelle quali il problema che si presenta è costituito dal comportamento dello stesso allenatore; ovvero la sua perdita di leadership, di motivare i calciatori, di carattere autoritario e di competenze riconosciute da parte dei giocatori. Per ultimo, l'interazione con altri gruppi preminenti nella stessa associazione sportiva, che sono i dirigenti, i tifosi, i famigliari e conoscenti dei calciatori e dirigenti. I famosi "stakeholders", portatori di interessi di vario genere. 

Alcune società sportive, nel frattempo, avevano già inserito nei loro staff degli psicologi, magari presentandoli come addetti alle relazioni, o consulenti medici. Questo perché l'inserimento nello stesso gruppo sportivo deve essere graduale e non traumatico, alla luce delle diverse considerazioni che un soggetto "psicologico" può avere nella considerazione degli atleti. Infatti il lavoro dello psicologo è sottile, inespressivo, tendente ad integrarsi con l'ambiente fino a farne interamente parte, acquistando la fiducia di ognuno. Se poi nascono tensioni, allora può intervenire, con gradualità e soprattutto con la conoscenza di ogni soggetto e la parte che "recita" nel gruppo. Ricorrere ad uno psicologo solo quando si è in piena crisi interna diventa all'opposto, un fattore negativo e controproducente, fino al rifiuto dello stesso professionista ad ogni contatto con le persone interessate. 

Ma lo psicologo, non è solo un "aggiustatore" di crisi, ma anche un ulteriore motivatore delle prestazioni sportive di ognuno degli atleti con i quali può confrontarsi. Ad esempio, nell'atletica ed in altri sport, c'era una volta quella che chiamavano "la sindrome italiana", ovvero l'ansia di prestazione. E questa si manifestava soprattutto in occasione di gare nelle quali i nostri "azzurri", ad un passo dalla vittoria, crollavano miseramente. Questo si presentava principalmente durante grandi manifestazioni sportive, come olimpiadi, campionati del mondo ecc. Ci si accorse subito che non era un problema fisico, ma mentale, era la paura di vincere. Le federazioni che ricorsero agli psicologi risolsero il problema, ed oggi questa "sindrome" si presenta raramente. E se si pensa che gli atleti che più si prestavano a queste situazioni erano tiratori di pistola, dell'arco e di altre discipline dove la concentrazione era la parte preponderante del successo, si aveva la conferma della diagnosi.

Tornando al calcio, molto spesso si verificano situazioni che impongono una riflessione sugli aspetti psicologici che si rilevano durante le partite di calcio. Mi riferisco ad esempio, ai momenti nei quali una squadra sta vincendo due a zero, gioca bene e domina il gioco ma, anche casualmente, la squadra che è sotto nel punteggio segna una rete. A quel punto capita che chi prima giocava bene, comincia a sbagliare tutto, auella che non vedeva palla, indovina tutto e, magari da 0 a 2 passa a 3 a 2. E' una tipica situazione mentale che implica una debolezza del gruppo come tenuta caratteriale e di capacità di gestire le crisi in campo e soprattutto, l'incapacità di reagire alla  nuova situazione e controbattere all'euforìa degli avversari. I quali invece, hanno saputo trasformare la crisi iniziale in motivazione vincente.

Altra situazione tipica è quando una squadra si trova improvvisamente a subire un'espulsione, e quindi passa all'inferiorità numerica rispetto all'avversario. E qui si verificano diverse situazioni. Spesso la squadra si chiude e subisce il gioco avversario sperando di non subìre reti, oppure in taluni casi la squadra gioca addirittura meglio e, seppure in svantaggio, riesce anche a vincere la partita, giocando meglio di quando era in parità numerica. Anche in questo caso si mettono in moto dinamiche mentali e di gruppo che possono influire positivamente o negativamente sull'andamento della partita. L'allenatore in questi casi può essere l'aspetto dominante, sia nel messaggio che invia agli atleti in campo, sia nell'allenamento delle situazioni  preventive durante le sedute di preparazione. 

In campo, spesso succede che l'allenatore tolga una punta per inserire un difensore, lanciando così un messaggio negativo alla squadra. In altri casi, alcuni allenatori hanno invece inserito un giocatore senza alterare gli equilibri di attacco, permettendo alla squadra di sistemarsi in modo razionale e pragmatico nelle zone di campo dove si potrebbe patire la superiorità numerica, ma riservandosi sempre la possibilità di attaccare e di non chiudersi in area. Ma può succedere che altri allenatori, in superiorità numerica, tolgano un difensore per inserire un attaccante, magari rinforzando qualche "catena" sulle fasce. E qui può capitare che il giocatore in più può intralciare lo smarcamento di altri giocatori, fermandosi staticamente in attacco e  perdendo di vista la fase difensiva. Un giocatore messo in una fase poco partecipativa, diventa un giocatore in meno.  Un buon allenatore deve allenare la fase critica della partita, insistendo sulla fase emozionale, magari facendo partitelle con gruppi disomogenei, ad esempio con un giocatore in meno; oppure mettendo giocatori in ruoli non usuali, allenandoli a fasi difensive o offensive normalmente non di competenza. Infine, riuscire a distribuire ad ognuno competenze di responsabilità, insegnandogli a reagire alle situazioni negative o di difficoltà di gruppo, concentrandoli nello spronare i compagni a vincere i duelli in campo con la semplicità dell'onestà intellettuale di chi si impegna senza avere remore di carattere mentale o paure che  si rilevano negatività nell'approccio alla gara e del risultato finale. E' importante che l'allenatore sappia responsabilizzare e motivare i giocatori, sapendo fare da "parafulmine" dichiarato agli errori dei suoi atleti, mai colpevolizzandoli, sempre proteggendoli da tensioni esterne, creando una leadership autoritaria o democratica (empaticamente) nella quale dirigere il gruppo e rispettando sempre la sfera personale di ognuno. Se poi riesce a fare breccia nella fase di competenza, dimostrando la sua capacità e la sua esperienza nel campo tecnico e tattico, il successo è pieno. Ma, se come già accennato, non riesce più a tenere il gruppo, allora un aiuto professionale da parte di uno psicologo può essere utile, interagendo e studiando insieme le situazioni, condividendo le scelte per riparare alla crisi. E molto spesso la crisi è di risultati, e va gestita sia in chiave tecnica che mentale. Si sa che quando tutto va male, ci si ritrova nella situazione nella quale non c'è limite al peggio, perchè ogni partita nonostante si giochi anche bene, non va nel verso sperato. A volte è solo una questione di scarsa tenuta psicologica, di autostima e divisione tra gruppi. In altre situazioni l'analisi può invece risoversi in crisi tecniche, o di inesperienza. Saper analizzare le questioni è sforzo di intelligenza, ma anche di competenza,  diagnosi e umiltà, che richiede anche consulti con soggetti di varie competenze, non ultimi gli psicologi. 

L'argomento visto in chiave di calcio adulto, presenta le situazioni citate, ma anche a livello giovanile non si può ignorare che molte situazioni cambiano. Qualcuno mi disse che il sogno di ogni allenatore giovanile è allenare una squadra di "orfani". Infatti uno dei problemi più grossi di un allenatore giovanile è la presenza dei genitori. Se tra questi c'è chi ha giocato al calcio, allora tutto è più semplice, ma se si ha a che fare con persone poco avvezze al gioco del calcio, o addirittura madri esagitate che inseguono gli avversari del figlio insultandoli tutte le volte che lo "picchiano", la situazione è difficile. Personalmente ho sempre potuto fare leva sulla mia esperienza di padre, e poi anche di nonno, che ha indotto i genitori a non classificarmi come un inesperto delle situazioni famigliari e di gestione dei bambini. Ma il problema grosso è che spesso lo psicologo ci vorrebbe per molti genitori (se non lo psichiatra), a volte mi arrivavano con problemi di lavoro, con separazioni coniugali in corso, con fasi di menopausa, e altre situazioni incommentabili. Quando andava bene, mi lasciavano i ragazzi lì, e poi se ne andavano a fare shopping, amenità varie e altre situazioni ancora indicibili. Ma il problema è che nel campo dilettantistico, lo staff non esiste quasi, devi farti tutto da solo, compreso le righe del campo. Se va bene ai tuoi giocatori, gli hai spiegato il ruolo in campo, altrimenti ti metti in panchina e urli, ma sai già che più che un allenatore che da consigli, sembri un soggetto da psicanalizzare.
La mancanza di mezzi è più deleteria della mancanza degli psicologi. Ma si sa che c'è sempre un Dio che guarda i bambini e, quache volta, gli allenatori.  
Ad majora.