Premetto. Questo pezzo è lungo, ma non volevo dividerlo onde evitare di rompere un flusso emotivo che per il sottoscritto è importante ricordando una fase positiva della vita non solo a livello calcistico. Chi mi fa l’onore di leggerlo può decidere di separarlo in più parti.

In questi giorni si discute tanto di pallone. Non voglio annoiarvi. Non intendo ribadire questioni che sono ormai note ai molti e di cui si parla sovente sui media. Basti pensare ai 100mila lavoratori che devono essere preservati da questo mondo e ai 12 settori merceologici che muove. E’ una passione portata in Italia dai Nostri Nonni, resa fenomeno di massa dai Genitori e ora vanta 32milioni di fan. E’ un fatto culturale e sociale. Gravina, uno dei migliori Presidenti che la Figc abbia mai avuto, ha recentemente richiamato una magnifica frase di Jorge Luis Borges: “ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per strada, lì ricomincia la storia del calcio”. La “Fase 1” della tremenda emergenza attuale è stata segnata dalla foto che rimarrà nell’immaginario generale: un fanciullo, con la maglietta del romanista Zaniolo, prendeva a calci la sferra nelle strade di una Milano deserta. Straziante e desolante, ma significativo della forza resistente che tale sport può trasmettere.

E’ stato deciso che la serie A ripartirà ed è una notizia molto positiva per diverse motivazioni. Quella principale riguarda l’ambito finanziario del discorso. L’eventuale completamento del torneo potrebbe essere salvifico per molte società quindi anche per parecchi posti di lavoro. Questi ultimi significano chance di vivere per la maggior parte delle persone operanti nel settore e che non vantano i lauti stipendi di giocatori, tecnici o dirigenti. Non va dimenticata, inoltre, la rilevanza sociale che questi mesi di pallone potranno avere per il Paese. Tante persone hanno “fame di calcio” e la ripartenza consentirà loro di vivere, per quel poco che può valere, un’estate migliore riassaporando un briciolo di normalità con la speranza viva che il progetto riesca a essere portato a termine.

Siccome ho già parlato sovente della straordinaria importanza che la tragedia del covid-19 ha avuto sotto il profilo sociale e calcistico, vorrei ora provare a raccontarvi il punto di vista del tifoso. Per alcuni potrebbe essere il meno importante e quasi infantile ma, dopo mesi in cui ho trattato altri argomenti, mi concedo un ritorno al passato e tematiche meno ingombranti. Questo è anche un modo per salutare virtualmente il ritorno in campo. Ho deciso di narrarvi la mia annata preferita della squadra che amo, la Juventus. Perché? Il motivo è semplice. Se penso al pallone, quella descritta è l’emozione più fantastica che abbia mai provato. Se ricordo quella cavalcata, il cuore sobbalza nel petto e la mente mi gonfia gli occhi come prima di scoppiare in un pianto dovuto a un mix incredibile di emozioni. Vivo il pallone con grande enfasi, ma con ansia positiva. Non provo rabbia o negazione verso il prossimo. Non mi è mai capitato. Proprio perché interpreto in tal modo la mia più immensa passione, vi descrivo il suo momento più elevato.

Ho scelto il 2014-2015. Strano? Vi spiego … Nel 1996, quando la Vecchia Signora conquistò la sua ultima Champions ai rigori contro l’Ajax, avevo soltanto 8 anni. Si tratta della prima partita di calcio di cui ho un nitido ricordo. Ero con mio nonno, grande tifoso bianconero che mi ha trasmesso l’amore per il pallone, e l’abbiamo guardata insieme. Di quel periodo rammento esclusivamente il match con i Lanceri per cui non sarebbe sufficiente. Il 2011-2012? Certo ha rappresentato la rinascita, ma la prima Juve di Allegri è stata qualcosa di speciale che mi ha lasciato un solco nell’anima. Forse avrà giocato un ruolo fondamentale pure la mia storia di vita. Non lo so. Capita spesso e succede a tutti. Quella squadra, e l’anno che ha vissuto, rappresentano qualcosa di magico. Meglio ancora del Mondiale del 2006. Nonostante l’epilogo di Berlino, rimane la mia Vecchia Signora preferita. Ops! Non volevo spoilerare il finale. Vabbè, tanto lo conoscete tutti. Poi le storie perfette esistono solo nelle favole e l’ultimo atto tedesco contro il Barca non può certo cancellare una cavalcata trionfale.

CIAO MISTER CONTE, BENVENUTO “CONTE MAX”
Tutto iniziò in un caldo pomeriggio di luglio del 2014
. Mi scuserete qualche aneddoto personale. E’ elemento primario per far trasparire l’emozione. Era l’orario tipico dell’aperitivo quando, dando un’occhiata al mio cellulare, notai la notizia che covava da qualche giorno. E all’improvviso … Boom … Conte, l’uomo della rinascita juventina, che i bianconeri sempre ringrazieranno, aveva ufficializzato il suo addio. Un fulmine a ciel sereno. Il mondo ci piovve addosso. Ero e sono un fervente sostenitore del salentino. Mi auspicavo che potesse divenire il “Ferguson della Vecchia Signora”, ma mi sono convinto ben presto che fosse un’utopia. Nel calcio moderno, e soprattutto in Italia dove il pallone rappresenta davvero qualcosa di estremamente sentito, diventa difficile resistere a lungo su una medesima panchina con le pressioni dei media e dei tifosi. Vedremo se l’emergenza attuale modificherà la situazione. Ricordo perfettamente l’enfasi comunicativa di quella serata e della notte che ne è seguita. Deschamps, Mancini o Allegri? Questi parevano i nomi più caldi. Caddi pure io nel trappolone. Pensavo che il “Conte Max”, come simpaticamente ribattezzato da alcuni giornalisti, non fosse la scelta migliore. Ero negativamente influenzato dal suo recente trascorso rossonero.
E invece… Marotta scelse il toscano. Già nel primo pomeriggio, il livornese si presentò in conferenza stampa. Furono sufficienti poche parole per modificare il mio pensiero. Il nuovo tecnico fu positivo e sicuro di sé. Sono doti fondamentali per un allenatore. Max disse di disporre di una compagine che avrebbe potuto quantomeno qualificarsi ai quarti di Champions ed è risaputo quanto quel torneo avesse rappresentato il tallone d’Achille della precedente gestione. Mi infastidì molto notare la pessima accoglienza riservatagli dai tifosi che cantavano: “Noi Allegri non lo vogliamo!” Pareva intendessero imporre il loro diktat alla società. E’ corretto rispettare i supporter, fulcro del calcio, ma certe decisioni presuppongono determinate competenze. Mi si sciolse il cuore e lentamente divenni uno dei più fieri sostenitori del “Conte Max”.

IL CALCIOMERCATO
Agnelli, Paratici e Marotta furono chirurgici. Serviva un terzino sinistro che si potesse alternare con Asamoah. Giunse Evra. Si necessitava di un rinforzo a centrocampo per garantire alternanza ai “fab four”: Pirlo, Pogba, Vidal e Marchisio. Ecco Pereyra. L’attacco doveva essere rinvigorito e ringiovanito con uomini di spessore internazionale. Chi meglio di Morata? Peccato che la formula con la quale fu portato a Torino lo riallontanò dopo sole 2 stagioni. A una prima occhiata, il calciomercato appariva piuttosto deludente perché privo del grande guizzo. Dodici mesi prima era arrivato Tevez … In realtà, i pensieri negativi furono un secondo errore di valutazione. La dirigenza aveva soltanto sistemato la squadra come un perfetto mosaico. Così vissi un’estate con grandi dubbi sulla nuova Vecchia Signora.

LA PARTENZA
Max dimostrò subito la sua arguta furbizia. Non modificò di sana pianta la struttura contiana che dominava l’Italia da anni. Decise quindi di affidarsi al classico 3-5-2
. La pensata fu geniale. Funzionò eccome … I bianconeri guadagnarono punti in campionato battendo pure il Milan di Pippo Inzaghi. Il match più importante, però, fu rappresentato dalla vittoria casalinga sulla Roma. Il 3-2 di Bonucci dopo una partita rocambolesca con sorpassi, controsorpassi, polemiche e il violino di Garcia, fu un chiaro segnale che probabilmente aveva mandato la dea bendata. Tra le 2 principali candidate al titolo sarebbe stato giusto un pareggio, ma la Juve vinse. Bene in campionato, male in Champions. Che scatole! Sembrava il solito refrain e una fotocopia della stagione precedente.

LA PARTITA DELLA SVOLTA
La Vecchia Signora doveva affrontare l’Olympiakos allo Stadium. Era una gara decisiva per il suo futuro nella massima competizione europea per club. I bianconeri avevano 3 punti in altrettanti match del girone. Era giunto il momento del classico: “ora o mai più”. Allegri, mister intelligente e coraggioso, capì che avrebbe dovuto cambiare la sua Vecchia Signora. Via il 3-5-2, perfetto abito nazionale che non riusciva a esaltare il potenziale europeo dei bianconeri, Max si affidò a un modulo che lo aveva condotto a tanti successi con il Milan. Scelse il 4-3-1-2. Buffon; Lichtsteiner, Bonucci, Chiellini, Asamoah; Marchisio, Pirlo, Pogba; Vidal; Tevez, Morata. Nacque la nuova Juve. Più tardi fu eseguito un solo accorgimento. Evra sostituì Kwadwo sulla sinistra. I piemontesi faticarono come non mai, ma conquistarono la vittoria. Ancora un 3-2 con il medesimo andamento già visto qualche settimana prima contro la Roma. I segnali furono chiari. Occorreva proseguire su quella rotta. La Vecchia Signora, infatti, vinse a Malmoe. A proposito, voglio raccontarvi un aneddoto che descrive quale sia l’autentica passione del tifoso per la sua squadra. La sera di quella sfida mi trovavo in Francia. Pensate avrei mai rinunciato a una gara così fondamentale della Vecchia Signora? Riuscii a organizzarmi in modo tale da seguire anche quel match in diretta e a uscire, subito dopo, tutto soddisfatto per il risultato. La Vecchia Signora non si abbandona mai. I bianconeri conclusero l’opera con il pareggio casalingo contro l’Atletico Madrid e volarono agli ottavi.

DOPO LA SOSTA
Poco prima della sosta natalizia, i Campioni d’Italia persero la Supercoppa Italiana contro il Napoli di Higuain. Peccato, inutile negarlo. Conobbero pure il loro avversario di Champions. Si trattava del Borussia Dortmund e la sfida evocava grandi duelli del passato. I tedeschi non erano nella forma straordinaria di qualche anno prima, ma rappresentavano una compagine con una discreta esperienza internazionale. Sicuramente maggiore rispetto a quella ottenuta sino ad allora dalla Juve.
Insomma, serviva grande cautela. Il primo obiettivo del “Conte Max” erano i quarti di Coppa. Fattibili, ma con grande attenzione. Il Natale trascorse piuttosto serenamente in cima alla classifica e con la prospettiva dei gialloneri a lunga gittata. Come sempre, la pausa regalò voli pindarici ai tifosi e li feci pure io. Pochi giorni prima della ripresa guardai vecchie sfide, carico per il nuovo inizio. Ricordo perfettamente di aver rivisto una serie di gare della prima Vecchia Signora di Conte. Quei match, infatti, scatenavano la mia voglia di calcio che sarebbe tornato da lì a poco. Iniziava la fase calda dell’annata e avevo sensazioni positive che poi vennero confermate. Confrontando la Juve del salentino con quella del 2014-2015, compresi che il ciclo avesse raggiunto la maturità per centrare i grandi obiettivi. La ripartenza del campionato tradì leggermente le mie aspettative e l’1-1 casalingo con l’Inter non fu propriamente un successo, ma qualche giorno più tardi Allegri trionfò a Napoli dove i bianconeri non vincevano da tempo immemore. Nemmeno Conte riuscì in una simile impresa. Aver sfatato il tabù del “San Paolo” fu una tappa davvero fondamentale. Fornì grande consapevolezza. I 10 gol in 2 partite rifilati all’Hellas, poi, fecero il resto. I Campioni d’Italia conquistarono i quarti di Coppa Italia. Il calciomercato risultò ancora chirurgico portando Matri e Sturaro all’ombra della Mole. I 2 furono fondamentali nel finale di stagione.

LA CONSAPEVOLEZZA
Nel 2013-2014 le speranze bianconere di trionfare nella “seconda competizione italica” si fermarono proprio a 3 turni dalla fine. La “decima” non poteva che essere un obiettivo. Per raggiungerlo occorreva sbancare il “Tardini”, stadio solitamente ostile alla Vecchia Signora. Mi recai a Parma per assistere dal vivo alla partita. Abito a Reggio Emilia e non mi feci sfuggire l’occasione. Era una gelida notte del gennaio padano, ma sugli spalti il clima risultava piuttosto bollente. Fortunatamente mi trovavo in un settore tranquillo. I ducali affrontavano un anno di grande difficoltà che li condusse al fallimento e alla discesa in serie D, ma diedero un gran filo da torcere agli uomini di Allegri che risolsero la situazione soltanto allo scadere. Ricordo piuttosto indistintamente la mia esultanza contenuta insieme a quella dell’amico che mi accompagnava nella breve trasferta. La prospettiva non era delle migliori, ma riuscimmo ad assistere di sbieco al gol di Morata che segnò proprio sotto la curva bianconera. Quel match fornì un’altra enorme dose di consapevolezza. La Juve centrò la semifinale con il minimo sforzo e giocando un pessimo match. Alzando ritmi e qualità non si poteva che migliorare.

UNA JUVE FANTASTICA
Il riferimento chiaramente è alla doppia sfida contro il Dortmund
. In quel duello, la Vecchia Signora si impose al calcio europeo. Della serie: “siamo tornati”. E in effetti … La gara di andata si giocò a Torino e terminò 2-1 per i bianconeri. Il vero capolavoro, però, fu quello del “Signal Iduna Park” forse più noto come “Westfalenstadion”. Sotto il Muro Giallo, gli uomini di Allegri demolirono la squadra di Klopp segnando la conclusione del suo magnifico ciclo. Ricordo la tensione di quel giorno. Sinceramente non credevo che la Vecchia Signora potesse passare il turno. Il gol realizzato da Reus in Piemonte pesava come un macigno. E invece … La rete iniziale di Tevez pose subito la gara in discesa. I bianconeri dominarono l’incontro chiuso poi dal secondo centro dell’Apache e dal solito Morata che stava iniziando la sua ascesa a Re di Coppa. I mesi di febbraio e marzo contribuirono a scacciare pure le avversarie in campionato e la Vecchia Signora era ormai lanciata verso il quarto Scudetto consecutivo. L’unica nota stonata di quel periodo fu rappresentata dalla sconfitta nella semifinale di andata di Coppa Italia.

UNA PASQUA PARTICOLARE
Si avvicinava il mese di aprile. Dopo la gloriosa quaresima bianconera, la Pasqua non fu da meno anche se con qualche difficoltà inaspettata. In Champions, la Juve pescò il Monaco. Dopo quanto accaduto con il Borussia, pareva una passeggiata. La Coppa, però, nasconde sempre enormi insidie e non è mai da sottovalutare. Infatti … I piemontesi persero al “Tardini” in un match di campionato piuttosto ininfluente. La Vecchia Signora sconfisse 1-0 i monegaschi a Torino. Ma che fatica! Se l’inciampo emiliano pareva archiviato come calo di tensione in vista dell’Europa, il match con i biancorossi lasciò qualche ansia. Una settimana più tardi, i Campioni d’Italia volarono al “Louis II”. Ci arrivarono in condizioni improponibili. Un virus gastrointestinale colpì la squadra. Ricordo che all’uscita dal campo dopo la sostituzione, Morata diede vita a una scena disgustosa in panchina. Solo per forti di stomaco. Il ragazzo naturalmente non ne ebbe alcuna colpa, ma la sua vomitata immane fu l’immagine che rese noto il problema agli occhi del mondo. Un sofferto 0-0 risultò sufficiente per accedere alle semifinali, traguardo che mancava da 12 lunghi anni. Non è finita qui perché in quei giorni la Juve compì anche il miracolo del “Franchi”. Con un Mitra Matri da urlo, la Vecchia Signora superò 3-0 la Fiorentina ribaltando il 2-1 dell’andata. I sabaudi avevano gettato le basi per un finale trionfale …

UN FINALE DA FANTASCIENZA CHE BERLINO NON PUO’ ROVINARE
Il 2 maggio
la Juve conquistò lo Scudetto sul campo della Sampdoria. Mi trovavo in vacanza ad Assisi con la mia attuale moglie. Pensate che mi sarei mai perso l’evento? Era un sabato alle 18.00 e, con qualche remora da parte della mia accompagnatrice, mi chiusi nella camera d’albergo per seguire il match su una nota App di un’emittente televisiva che vanta i diritti per la serie A. Un gol di Vidal risolse la situazione e, per sottolineare ancora una volta il valore del pallone in Italia, la quiete estasiante di una delle località più rilassanti del Paese fu clamorosamente interrotta dalle trombe squillanti dei caroselli. Ricordo che quando ci recammo a cena, vedemmo bambini con le magliette bianconere e adulti con sciarpe al collo. Anche Assisi festeggiò la Juve. Mia moglie, che iniziava solo allora ad appassionarsi a questo straordinario gioco, comprese veramente il suo valore e si lasciò sfuggire un mamma mia” tra l’ironia e lo stupore. Le celebrazioni, però, furono piuttosto sobrie perché molto era ancora da guadagnare. Qualche giorno più tardi la Vecchia Signora impartì un’altra lezione di calcio. Questa volta il “Conte Max” volle esagerare e impose il suo credo sui Galacticos. Sì, le vittime furono proprio i Re d’Europa, i Campioni in carica. Il Real Madrid giunse a Torino e, nonostante l’assenza di Pogba, Allegri non volle rinunciare al suo rombo in mediana. Al toscano non manca certo il coraggio tanto che, a tratti, sembra spavalderia. Non è così. Il mister lanciò nella mischia Stefano Sturaro, 20enne che praticamente non aveva mai giocato sino a quel momento. Ricordo che solo le mie folli sensazioni e la fiducia cieca che ormai nutrivo verso il condottiero livornese mi fornivano entusiasmo per la scelta. Non mi sbagliavo: Morata e Tevez stesero i Blancos. Due a uno per noi e arrivederci al “Bernabeu”. Quelli che divisero le 2 sfide furono 7 giorni d’ansia positiva. Attendevo una finale che sognavo dal 2003 quando il Milan ci sconfisse a Manchester, o dagli anni di Calciopoli, e dall’istante in cui, dalla serie B, assistetti al trionfo rossonero di Atene. Ammetto che un po’ rosicai. La trasferta ispanica iniziò con un rigore del solito cecchino CR7 che mi raggelò il sangue. La vedevo davvero male. Serviva un gol e segnare a Madrid pareva pressoché impossibile finché non si palesò una sfera vagante nell’area blanca e Morata si fiondò su di essa come un falco sulla preda. Tiro – gooolll!!! La gioia fu incontenibile. Gli ultimi minuti di quel match condussero al cardiopalma. Roba che si asciugava la bocca e si faticava a deglutire. Per citare il noto commentatore del Moto GP, Guido Meda, ricordo piuttosto bene che vissi i minuti di recupero letteralmente in piedi sul divano per poi festeggiare nuovamente come dopo la rete di Alvaro. Questo fu l’apice della stagione che si concluse con la vittoria della decima Coppa Italia ottenuta grazie al sigillo di Matri e la sconfitta di Berlino. La batosta teutonica, però, non cancella il ritorno della Juventus tra le grandi d’Europa. Se Conte fece il primo passo, Max ci condusse nel gotha del calcio. Quei mister rimarranno per sempre nella storia bianconera.

Questo è il calcio in Italia e non può che rappresentare le emozioni positive di una parte del popolo.