Avviso: chiedo venia per la lunghezza del racconto, ma non volevo interrompere un flusso di emozioni. Chi mi farà l’onore di leggere, può dividere in 2 parti.

Con la medesima premessa, qualche giorno fa ho voluto “festeggiare” la riapertura del calcio operata dal Governo scrivendo un pezzo che descriveva la mia annata preferita vissuta dalla Juventus, squadra di cui sono tifoso. Elaborare quella narrazione mi è stato davvero utile perché mi ha consentito di rivivere emozioni forti che non sono soltanto legate pallone. L’autrice Helen Keller sosteneva: “Le cose più belle del mondo non possono essere viste e nemmeno toccate. Bisogna sentirle con il cuore”. E’ assolutamente vero. Vorrei, quindi, ripercorrere questo esercizio e ho pensato di eseguirlo con un’altra fantastica stagione bianconera. Il riferimento è al 2016-2017. Si tratta della magnifica annata ribattezata da alcuni giornalisti: "in HD". L’acronimo è chiaramente riferito al duo offensivo composto da Higuain e Dybala. E’ come se fosse un sequel rispetto al 2014-2015. Pur se all’apparenza simili, le 2 avventure sono molto diverse. Rappresentano, infatti, l’alba e il tramonto dell’Allegri juventino. Con il senno del poi, probabilmente, Max avrebbe dovuto salutare la Vecchia Signora proprio a seguito della nefasta finale di Cardiff. Pare che, in Galles, il suo ciclo fosse giunto al capolinea e forse le parti avrebbero dovuto trovare la forza di decretare l’addio. In realtà si è deciso di proseguire, ma proprio in quei momenti ci si avviava verso un lento cambiamento che sta ancora prendendo forma e che alla fine dell’attuale annata potrebbe trovare la definitiva completezza. Si è assistito, infatti, all’arrivo di Ronaldo, al commiato con Marotta e infine proprio a quello con il mister toscano sostituito da Sarri. Questi passaggi sono stati intervallati pure da importanti movimenti tra i giocatori. Si pensi alla partenza di Marchisio o a quella di Mandzukic. E’ plausibile che prossimamente il tecnico di Figline possa avere una compagine che si avvicini maggiormente alle sue idee di calcio definendo così totalmente la mutazione.

A proposito, spero che questo pezzo possa rinvigorire nei tifosi juventini la fame di pallone che manca ormai da 3 mesi. Si auspica che tra poco finalmente potremo rivedere la sfera rotolare contribuendo a garantire un’ulteriore impressione di normalità dopo un periodo funesto. E’ chiaro che la lotta al covid-19 non è definitivamente vinta. Questo è un concetto che dev’essere ribadito costantemente onde evitare che qualcuno abbassi la guardia. L’ormai nota regola della quarantena di 14 giorni per il gruppo-squadra nel caso in cui un suo membro risulti positivo è una Spada di Damocle sulla serie A. La speranza è che possa essere rivista garantendo comunque la sicurezza all’intera nazione. Credo che un punto di equilibrio sia raggiungibile, ma non è certo semplice. Preferisco il risultato del campo a qualsiasi altra iniziativa perché questo può essere influenzato da molteplici fattori che in modo diverso non sono calcolabili. Comprendo perfettamente che gli algoritmi sono essenziali all’interno di parecchie attività della vita, ma non rendono completa giustizia al verdetto del prato verde. Non vado oltre in quanto nel momento in cui il pezzo vedrà la luce potrebbe essere accaduto di tutto persino un arrivederci a settembre. Mi scuso per il lungo prologo, ma in un periodo simile mi sembra necessario. Ora lascio spazio alle emozioni…

LA JUVE IN HD
Euro 2016 stava ancora decretando la sua regina quando uscirono le prime indiscrezioni riguardo un possibile passaggio di Higuain alla Juventus. Il Pipita, l’uomo da 36 gol in una stagione di serie A, avrebbe potuto vestirsi di bianconero. Aveva appena battuto il record di centri appartenuto a Gunner Nordahl e che perdurava da più di 50 anni. Gonzalo era il simbolo vivente della principale antagonista dei Campioni d’Italia, il Napoli di Sarri. Il suo legame con il tecnico toscano pareva assolutamente inscindibile e i 2 volevano portare a compimento “l’attacco al Palazzo”. Marotta e soci, però, versarono la clausola rescissoria e l’attaccante non rifiutò l’ipotesi piemontese. Così, la Vecchia Signora sostituì Morata visto che il Real Madrid esercitò la recompra. Durante quell’estate, i sabaudi cambiarono decisamente pelle. Al posto di Pogba, infatti, giunse Pjanic. Dopo gli addii di Pirlo e Vidal, la partenza del Polpo determinò lo scioglimento completo dei “fab four”. Restava solo Marchisio. Tevez aveva già abbandonato la Vecchia Signora 365 giorni prima e l’addio del giovane bomber ispanico allontanava ancora di più il ricordo della favolosa coppia d’attacco. Ora era il tempo di Higuain e Dybala. La calda stagione 2016 segnò il definitivo distacco dalla prima versione allegriana dei bianconeri che compì il capolavoro di centrare la finale di Champions di Berlino. Quegli anni rappresentavano ancora un periodo durante il quale il calciomercato sabaudo pareva perfettamente disegnato a tavolino con una programmazione millesimale. Ultimamente, invece, la Vecchia Signora si può concedere il lusso di qualche vezzo particolare. Vedasi, per esempio, l’acquisto di CR7.

E’ SUBITO PIPITA
A dire il vero Higuain non giunse a Torino in forma estremamente smagliante
. Vivo a Reggio Emilia e ricordo che mi recai nella vicina Modena per assistere a un’amichevole dei bianconeri contro l’Espanyol. La gara venne disputata al “Braglia” poco prima del kick off della serie A. Era tra San Lorenzo e Ferragosto. Sotto il sole cocente della Città della Ghirlandina si decise di scendere in campo nell’orario dell’aperitivo tanto che, nel posto partita, mi potei concedere una cena in centro. Durante il match, mi rimase impressa la condizione atletica non propriamente ottimale di un Pipita alle prime apparizioni con la nuova maglia, ma sapevo che l’argentino avrebbe presto raggiunto il top. Riguardo il bomber nutrivo un solo e unico dubbio che ancora mi pare assillare la sua carriera. Il sudamericano sembra quasi assorto in una forte emotività che non gli consente di essere freddo al punto giusto soprattutto nelle grandi serate di Coppa e lo dimostrò pure in quell’annata. Vedasi, per esempio, qualche occasione sprecata nella sfida interna con il Barca o la pessima finale disputata con il Real Madrid. In avvio di campionato, però, Gonzalo fu implacabile. La Vecchia Signora debuttò contro la Fiorentina e un colpo di testa di Kalinic pareggiò il momentaneo vantaggio firmato da Khedira. Allegri buttò nella mischia il suo nuovo centravanti solo nel finale di match e, con una giocata da falco del gol, da autentico rapinatore dell’area di rigore, da aspirapolvere che raccoglie qualsiasi pallone vagante per quelle zone del campo, Higuain regalò 3 punti alla Juve. Quel successo fu importante soprattutto sotto il profilo psicologico perché si assisteva a una compagine con parecchie novità. Queste determinano sempre qualche incertezza. Non va poi dimenticato che i bianconeri dovevano scrollarsi di dosso un pesante fantasma. Nella stagione precedente, infatti, l’avvio di torneo fu infelice e li costrinse a una rimonta che costò energie soprattutto in vista della Champions. Durante la seconda giornata, i piemontesi trionfarono all’Olimpico con la Lazio. Poi vi fu la sosta per le nazionali. Il ritorno in campo rappresentò la prima autentica consacrazione del mercato. Una doppietta del Pipa e un gol di Pjanic, autori di una prestazione magistrale, non lasciarono scampo al Sassuolo battuto 3-1. Ricordo perfettamente la cronaca del noto giornalista Sky, Caressa, che dopo una gemma di Higuain affermò ironicamente: “Così è davvero illegale”. Assistetti a quella gara in albergo perché mi trovavo in Sicilia in viaggio di nozze. Con la scusa dell’aperitivo convinsi mia moglie a guardare il match dopo una giornata trascorsa nella Valle dei Templi. Mai abbandonare la Juve. L’avvio della Champions non fu altrettanto fortunato e lo 0-0 casalingo con il Siviglia non rese merito alla prova degli uomini di Allegri. La prestazione, però, fu incoraggiante in vista degli impegni futuri. La sconfitta di San Siro contro l’Inter, invece, risultò fastidiosa dal punto di vista del tifoso, ma non intaccò minimamente il cammino in campionato e questo apparve da subito piuttosto palese.

UN AUTUNNO SENZA SUSSULTI
L’autunno della Vecchia Signora fu piuttosto strano. Era una fase di studio
. D’altronde è pure logico. La squadra aveva subito importanti modifiche e necessitava di un rodaggio. Credo che l’errore dell’attuale versione bianconera sia stato proprio quello di non avere la forza di cambiare. Come sostenuto nell’introduzione, dopo Cardiff, forse sarebbero state necessarie modifiche più radicali. Un anno di passaggio poteva anche essere plausibile onde evitare il rischio di una distruzione totale della struttura, ma l’impressione è quella che la metamorfosi debba ancora compiersi in toto e ormai sono trascorse 2 stagioni e mezzo. Un ragionamento simile non esclude chiaramente la possibilità di vivere un finale d’annata da capogiro. Riallacciando il filo del discorso, Allegri valutò varie soluzioni e la Vecchia Signora dovette far fronte pure al grave infortunio occorso a Dani Alves. Il brasiliano parve il flop del calciomercato. In realtà fu fondamentale nell’ultima fase di quel magnifico 2016-2017. Non senza qualche fatica, la Juve mantenne la vetta del campionato sconfiggendo pure il Napoli a Torino. Chi decise le sorti di quel match? Secondo voi… Non poteva che essere Gonzalo. Ricordo ancora la cronaca del noto tifoso partenopeo Auriemma. Quando vide il Pipita avventarsi sul pallone che trasformò poi nel 2-1 finale comprese immediatamente la gravità della situazione ed esclamò soltanto: “Nooooo…”. Al suo grido fece seguito il boato dello Stadium e la mancata esultanza dell’argentino che non dimenticava i trascorsi azzurri. La Vecchia Signora soffrì pure in Champions, ma riuscì a conquistare il passaggio agli ottavi con un turno d’anticipo e da prima del girone. Bene così.

COME NEL 2014-2015
La fase di studio autunnale è una caratteristica che rende simili le 2 versioni della Juventus di Allegri, ma non è l’unica. Quelle compagini ebbero altri punti in comune. Uno di questi fu una brutta prestazione nella Supercoppa Italiana prenatalizia che costò cocenti delusioni. Lo si ammetta. Nonostante tale trofeo non rappresenti proprio il primo obiettivo stagionale, rinunciarvi fa sempre male. Così accadde. Se nel 2014-2015 la batosta fu contro il Napoli ai calci di rigore, 2 stagioni più tardi avvenne con il Milan e sempre tramite le medesime modalità. Questa volta la delusione fu peggiore in quanto la Vecchia Signora perse con una compagine che non viveva certo il miglior periodo della sua storia. I partenopei condotti da Benitez erano sicuramente avversario più forte. Il secondo motivo è piuttosto personale. Nel luogo in cui vivo vi sono molti tifosi del Diavolo e non fu semplice subire un’altra “legnata” in finale dopo quella tremenda del 2003. Il Natale, comunque, trascorse in maniera piuttosto serena. La Juve, infatti, aveva vinto il derby, superato la Roma, guidava la graduatoria e aveva pescato il Porto agli ottavi di Champions. Mica male come sosta.

UN GENNAIO GLACIALE
Il gennaio 2017 non fu stupendo
. Risultò freddo dal punto di vista climatico e glaciale sotto il profilo delle prestazioni. I bianconeri iniziarono sconfiggendo il Bologna, ma poi vi fu la batosta di Firenze. La notte toscana risultò nefasta, ma non gravò troppo sulla classifica e soprattutto fu utile a trovare la strada maestra per un finale glorioso nonostante Cardiff. Nella Terra dei Medici, la Juve fu sconfitta 2-1 con una prestazione davvero negativa. Ricordo ancora l’esultanza sfrenata del “Franchi”, ma rimembro pure uno stato personale di positività. Era comprensibile che quella partita non potesse provocare la caduta della Vecchia Signora quantomeno in Italia. Le ansie erano associate all’Europa, ma la Champions era ancora lontana e si aveva tutto il tempo per recuperare la retta via. In realtà fu sufficiente una settimana. Era una domenica a pranzo e mi recai di mia madre. Guardai la gara, programmata per le 12-30, proprio durante il pasto. Contro la Lazio, Allegri stupì tutti e scelse il 4-2-3-1. Si trattava di un modulo super offensivo con Cuadrado, Dybala, Mandzukic e Higuain contemporaneamente in campo. Un’autentica mina vagante, ma ero fiducioso. Il mio sentimento non derivava da una sfera di cristallo o da particolari conoscenza calcistiche. Semplicemente, ormai, la stima per il tecnico era talmente solida da fornirmi le adeguate garanzie. Max prese la corretta decisione e lì nacque la sua seconda, grande Juventus. Se quella del 2014-2015 emerse già in autunno durante la gara con l’Olympiakos, per la versione successiva fu necessario attendere l’inverno inoltrato. Il risultato, però, non cambia. L’HD bianconera demolì i capitolini guidati da Inzaghi, attuali maggiori rivali italici dei piemontesi, e si lanciò verso un finale di stagione da urlo. In quel periodo la Vecchia Signora conquistò pure la semifinale di Coppa Italia superando Atalanta e Milan. In questo modo “vendicò” la botta di Supercoppa. Il calciomercato, invece, regalò El General Rincon. Un acquisto che tanto assomigliava a quello di Sturaro nel 2015.

LO SGABELLO DI BONUCCI
Si giunse quindi al tramonto dell’inverno. Iniziavano i mesi di febbraio e marzo, quelli che solitamente sono fondamentali per indirizzare la stagione. La Vecchia Signora aveva ormai trovato se stessa, ma ogni tanto si complicava la vita dall’interno. In un 4-1 casalingo contro il Palermo, Bonucci e Allegri non parsero in sintonia e si ebbe l’impressione di assistere a qualche screzio. Ne nacque un caso mediatico. La gara si disputò di venerdì sera perché nella settimana successiva la Juve sarebbe volata a Oporto per giocare l’ottavo di Champions. Durante la vigilia della gara di Coppa si apprese che Bonucci fu escluso dai convocati. La scelta rappresentò una sanzione che il difensore accettò senza polemica. Si direbbe: ci vuole coraggio. Non è certamente semplice escludere un calciatore di quella importanza in una sfida fondamentale per l’intera annata. Questo, però, fu un chiaro segnale. La società stava con il suo tecnico. Il toscano compiva le scelte e dovevano essere rispettate perché tale è il compito di un allenatore che si assume le responsabilità delle decisioni. Fatti come quello accaduto nella gara contro i siciliani non erano ammessi. Leo assistette alla partita in tribuna insieme all’alta dirigenza bianconera. Lo fece seduto su uno sgabello al di fuori di un box di lusso dello stadio. Sembrava un bambino in punizione. Qualcuno vide tale immagine come un ulteriore messaggio indirizzato alla squadra. La posizione da cui il giocatore osservò il match non era della più comode. Credo, invece, che il tutto fosse frutto del caso. Bonucci si trovò in quella zona e decise di seguire così le ostilità. Anzi, ritengo che essere vicino ai principali esponenti della società rappresentasse un forte segnale distensivo e di apprezzamento nei confronti dell’atleta. Non è un caso se quest’ultimo parve molto teso per l’andamento della partita. Ci teneva eccome alla sua Juve. I bianconeri vinsero 2-0 con le reti di Pjaca e del redivivo Dani Alves. Poco più tardi, i Campioni d’Italia ospitarono il Milan e “chi di rigore ferisce, di rigore perisce. Si trattava della partita che faceva da prologo al ritorno contro il Porto. Ricordo bene che ero in compagnia di alcuni supporter rossoneri quando, a tempo scaduto, la sfera carambolò sul braccio di De Sciglio, allora giocatore dei lombardi, nell’area della porta difesa da Donnarumma. L’arbitro concesse il penalty. Il risultato era sull’1-1. Esultai scatenando le polemiche dei miei commensali che fecero da eco a quelle dello Stadium. In effetti, relativamente a tale episodio permane qualche dubbio. Fatto sta che Dybala si recò sul dischetto e spedì in porta l’ultima palla della gara. Game, set and match. Dopo le proteste al mio urlo di giubilo per il decretato rigore, riuscii a mantenere un aplomb tipicamente inglese e non ebbi la minima reazione anche se probabilmente il linguaggio non verbale manifestava tutta la mia gioia. Questa fu confermata dal passaggio del turno in Champions, ma si trasformò in ansia quando l’urna regalò il Barcellona nei quarti di finale. Decisi, quindi, di scrivere un messaggio ad alcuni miei amici bianconeri tramite una nota app per cellulari. Ricordai loro che “l’avversario era improbo, ma saremmo andati al ‘Camp Nou’ a testa alta perché noi siamo la Juve e non ‘moriamo’ mai”. Conclusi con una frase tipo: “forza vecchio cuore bianconero”. Peccato che i vari cambi di telefonino hanno decretato la perdita di quella missiva, ma ricordo che riscosse parecchio successo.

UNA GRANDE JOYA
Così, dopo la sosta per le Nazionali, i bianconeri si prepararono alla doppia super sfida con i blaugrana. Ammetto che non credevo tanto nel passaggio del turno. La squadra di Luis Enrique aveva appena rimontato un 4-0 di Coppa patito a Parigi con un incredibile 6-1. Lo spettro del Tempio Catalano era troppo ingombrante. La gara di andata si disputò nella settimana che precedeva la Pasqua. Fu il martedì che consacrò la Joya al calcio mondiale. L’argentino realizzò una doppietta favolosa mostrando la “Dybala Mask” a tutta l’Europa. Chiellini completò l’opera. Tre a zero e il Barca tornò in Spagna con un peso non indifferente sullo stomaco. Si assistette a una super Juve e una sfida senza storia, ma con i rossoblù non si può mai essere tranquilli e il fantasma della remuntada appena patita dal Psg aleggiò come un incubo nei giorni di festa. Con il massimo rispetto per un campionato già indirizzato e per un Pescara che si mostrò degno rivale, la trasferta abruzzese del Sabato Santo assomigliò a una seccante formalità. La testa doveva essere sulla Coppa perché, qualche giorno dopo, la Juve sarebbe finita nella tana avversaria. Così, il mercoledì successivo i bianconeri furono sgraditi ospiti degli uomini di Luis Enrique. Che sofferenza! La partita sembrava non concludersi mai. Ricordo che vivevo ogni attacco di Messi, Neymar e Suarez con il cuore in gola. Pensavo che sarebbe stata sufficiente una rete per sfondare la diga e inondarci di gol. Che fatica! La tensione si allentò soltanto nei minuti di recupero della ripresa quando vidi i miei beniamini abbracciati davanti alla panchina e pronti a balzare in campo dopo il triplice fischio. In quel momento compresi che ce l’avevamo fatta. Che gioia! L’impressione era proprio di una compagine che non avrebbe mai subito un centro. In effetti, i bianconeri non pativano una marcatura internazionale da ben 5 gare. Un dato pazzesco che oggi pare distante anni luce. Cosa mancava a quella squadra per essere perfetta? La tranquillità in Coppa. Il patema con cui sembrava affrontare certi impegni europei era addirittura sproporzionato. Nonostante il dominio catalano, al “Camp Nou”, gli uomini di Allegri avrebbero avuto persino la chance di fare bottino pieno. A tratti, però, mostravano il braccino del tennista.

UN FINALE TRILLING
Come nel 2014-2015, il finale non è da favola
. D’altronde, la realtà è spesso molto più cruda delle fiabe. Ci sta. Come Berlino non distrusse l’immagine della prima Juve di Allegri, Cardiff non può rovinare la versione in HD. De Gregori canta: “Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore. Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore”. Una partita non può modificare il valore di una compagine. I bianconeri erano stanchi. La stagione era stata lunga e complicata. La Juve conquistò pure la finale di Coppa Italia battendo il Napoli. Avrebbe potuto vincere lo Scudetto sul campo della Roma, ma i piemontesi erano ormai cotti e i giallorossi li sconfissero 3-1. Tutto rimandato di una settimana. Quella sfida, però, spedì segnali significativi. Contro alcuni avversari, la fatica avrebbe potuto giocare un ruolo determinante. Pochi giorni dopo, i sabaudi furono ancora protagonisti nella Capitale dove batterono 2-0 la Lazio conquistando il primo trofeo stagionale. Si trattava della seconda competizione italiana per club e rappresentò il primo tassello di un sogno mai realizzato: il triplete. La domenica successiva, gli uomini di Allegri misero un ulteriore mattoncino. Battendo il Crotone trionfarono anche in campionato. Fu una vittoria importante perché il rischio era quello di doversi giocare ogni chance di gloria tricolore in casa del Bologna nell’ultimo turno. Non sarebbe davvero stato semplice e la Roma avrebbe potuto completare un’incredibile rimonta. Restava solo la Champions e il Galles… I bianconeri guadagnarono la chance di giocarsi l’ultimo atto battendo il Monaco. La compagine del Principato non era proprio un’incredibile armata, ma Mbappé e compagni non potevano essere sottovalutati. La Juve non corse il rischio vincendo 2-0 al “Louis II” grazie a un super Higuain in formato europeo e sconfiggendo i biancorossi pure nel match di ritorno. Durante l’intervallo della partita piemontese, i Campioni d’Italia avevano già ipotecato il passaggio del turno portandosi sul 2-0. Ricordo indistintamente il coro dello Stadium che gridava: “Ce ne andiamo a Cardiff”. Questo ritornello continuò per tutta la ripresa tanto che alla fine della partita iniziai a pronunciarlo fischiettando pure io. Un simile comportamento provocò lo stupore attonito di mia moglie che ormai si stava abituando a vivere con un patito del calcio.
Purtroppo, la terra britannica non fu clemente. Quel triste 3 giugno costò soprattutto la vita di una persona rimasta uccisa nella folle notte di Piazza San Carlo.
Ronaldo, Casemiro e Asensio demolirono i sogni di gloria bianconeri. Dopo un buon primo tempo, la Vecchia Signora spense la luce e il Real camminò sulle sue ceneri. Nella sua autobiografia, Chiellini ha recentemente chiarito che nell’intervallo di quella gara non capitò nulla di particolare. Ho sempre creduto a una simile teoria. I media parlarono di litigi o di vari screzi. La squadra mi apparve semplicemente stremata, acciaccata e con il solito mal d’Europa che emerse ancora più forte, ma quella gara non può cancellare l’ultima, grande Juventus di Allegri.