Se vi dicessi che durante una partita di calcio c’è una punizione dal limite dell’area a favore di una squadra e un componente della barriera si sgancia all’improvviso per calciare via con forza il pallone ancora prima che venga battuto, quale sarebbe la vostra prima reazione?
Immagino che sia di stupore e ilarità, in quanto una situazione simile mai si è vista su un campo da football.
E se dietro quel folle gesto, veniste a sapere che c’è qualcosa di ben più drammatico, la reazione cambierebbe? Immagino di sì.
Il mondo intero, solo dopo 28 anni da quell’avvenimento, ha cambiato espressione. Anche quelli che erano presenti quel 22 Giugno 1974, a Gelsenkirchen.
Si stavano disputendo i Mondiali in Germania. Quel pomeriggio, mentre tutti attendevano la storica partita serale tra la Germania Est e la Germania Ovest, si giocò un match dal pronostico scontato: Brasile-Zaire. Facile prevedere una goleada a senso unico da parte dei campioni del mondo in carica. Per la prima volta senza il grande Pelè. Sopratutto dopo che la squadra africana aveva subito una vendemmiata di gol nella partita precedente dalla Jugoslavia.

Mi fermo un attimo. Se voi giocaste nello Zaire, la prima partita del girone la perdete 2-0 e la seconda 9-0, come affrontereste la terza partita, sapendo che ovviamente il giorno dopo siete già sull’aereo di ritorno? Probabilmente giochereste con la mente sgombra, senza aver nulla da perdere. Gol più, gol meno, non fa differenza. Ecco, in questa occasione, invece, i giocatori dello Zaire stavano giocando con la morte nel cuore. E non era un modo di dire. Il loro dittatore Mobutu, che prima della partenza per i Mondiali in terra teutonica aveva promesso laute ricompense ai giocatori, dopo la prima partita persa contro la Scozia si era già rimangiato la parola e non voleva più pagare nessuno. E se questa è una cosa grave, dopo la partita contro la Jugoslavia si trasforma in tragedia. Mobutu, che vedeva nel calcio un’ottima propaganda per l’immagine del Paese e sopratutto la sua, dopo la batosta subìta contro gli slavi, vide la sua immagine derisa e sbeffeggiata. Un’onta, un’umiliazione troppo grande, un disonore bello e grosso. In fretta e furia mandò direttamente le guardie presidenziali dai giocatori, con un minaccioso messaggio da recapitare: “Se subirete più di tre gol dal Brasile nessuno di voi tornerà a casa vivo!

Dopo queste premesse, ritorniamo a quel 22 Giugno. L’angoscia dei calciatori in maglia verde con un leopardo raffigurato al centro salì dopo soli 12 minuti, quando Jairzinho portò in vantaggio i suoi con un destro in diagonale.
Il primo tempo si concluse con questo punteggio. I calciatori africani dovevano tenere botta per altri 45 minuti e poi l’incubo sarebbe finito. Purtroppo, a 24 minuti dalla fine, arrivò il raddoppio brasiliano con Rivelino: tiro imparabile da fuori area. Di tutt’altro genere rispetto allo sciagurato terzo gol, con il portiere Kazadi che “liscia” una clamorosa conclusione sul proprio palo. Gol arrivato come una mannaia al 79esimo minuto. I leopardi sapevano che quelli sarebbero stati i dieci minuti più lunghi della loro vita, in cui si sarebbe deciso il loro destino.
Al minuto 85', l’arbitro fischiò una punizione dal limite dell’area. Quella punizione che ho citato all’inizio di questa storia. Punizione: termine più azzeccato non poteva essere in quel frangente. Quella che il dittatore avrebbe inferto, se avessero subìto più di tre reti. La tensione è inimmaginabile nella testa e nel cuore dei zairesi. Di fronte si trovavano fisicamente dei giocatori in maglia gialla, ma con i volti di Mobutu e dei suoi soldati. Quel maledetto pallone non doveva essere lì. “E allora perché non sferrarlo lontano, così non lo vediamo più?” Detto fatto. Dalla barriera si sganciò Ilunga Mwepu, che a grandi falcate corse verso la sfera di cuoio, spendendola di punta fuori dal campo con un mix di potenza, rabbia e disperazione. La palla sfiorò di un nulla il volto di Rivelino, colui che doveva eseguire “la loro condanna”. Era come se nel fantasista verdeoro, Mwepu vedesse il viso del loro carnefice e volesse colpirlo.
L’arbitro non ci pensò un secondo e ammonì il difensore, che sembrò quasi sorpreso di quel cartellino giallo. Lo stupore dei giocatori brasiliani e quello del pubblico, viene presto sostituito da risate in sottofondo. Il momento terribile è passato, ma c’erano ancora quattro minuti più recupero da giocare. Per fortuna, in quegli interminabili 240 secondi, il risultato non si schiodò. I calciatori africani poterono così tornare a casa e riabbracciare le loro amate famiglie.

Lo Zaire, prima squadra dell’Africa cosiddetta nera, che si era qualificata per la fase finale di un Mondiale, avrebbe voluto ricordare a lungo questa competizione. Invece, il primo pensiero, fu quello di dimenticarsela il più in fretta possibile.