L’EDITORIALE DELLA DOMENICA - CALCIO O MONOPOLI?
IL GIOCO AL TEMPO DEL VAR
JUVENTUS - ATALANTA, UN ALTRO PICCOLO, FATICOSISSIMO PASSO VERSO LO SCUDETTO

In questo afoso fine settimana di metà luglio, il calendario prevede una giornata che potrebbe rivelarsi decisiva, o comunque importante, per l’assegnazione dello scudetto. Nel turno infrasettimanale le sconfitte di Juventus (clamorosa per quello che era stato l’andamento della partita) e Lazio e il pareggio dell’Inter a Verona, lasciano quasi invariata la situazione in vetta. Ad approfittare dei passi falsi delle prime tre, l’Atalanta che, grazie alla vittoria contro la Sampdoria, scavalca l’Inter al terzo posto, mette nel mirino la Lazio e si presenta a Torino per la sfida del sabato sera con l’opportunità di accorciare a sei punti il distacco dalla capolista. La Juventus contro i bergamaschi è chiamata a cancellare la sconfitta di Milano. Per meglio dire, è chiamata a cancellare il black out dell’ultima mezz'ora. Un blackout inspiegabile e ingiustificabile che di fatto ha prima riaperto e poi consegnato ai rossoneri una partita che sembrava ormai segnata, tanto evidente era stato sul campo, fino a quel momento, lo strapotere tecnico e fisico della Juventus, andata avanti di due reti grazie ai gol di Rabiot, che ha scelto di regalarsi un capolavoro per la sua prima marcatura italiana, e di Cristiano Ronaldo. Una Juventus che sembrava in pieno controllo del gioco, è stata annichilita dall’ennesimo rigore a sfavore subito in questo campionato. Esattamente come la carta degli imprevisti che si pesca al gioco del Monopoli, ormai il rigore può arrivare da un momento all’altro, quando meno te lo aspetti, anche quando le dinamiche dell’azione di gioco non lasciano neppure ipotizzare che stia per abbattersi di nuovo il temporale. Va in scena il solito siparietto stucchevole che vediamo sui campi ormai da tre anni. Da quando il Var ha fatto la sua funesta apparizione sulle scene di questo mondo. Le squadre si apprestano a riprendere il gioco dopo un contrasto Rebic - Bonucci, risolto dall’arbitro con un giallo, per tocco di mano, al bravo attaccante croato che accetta il verdetto senza accennare ad alcuna forma di protesta. Di solito, in un’epoca segnata da ogni tipo di plateale lamentela ed intemperanza, vedere un giocatore accettare la decisione arbitrale senza nemmeno una parola di disappunto, tranquillizza il sempre apprensivo tifoso, scottato più volte in questi anni dai richiami del Var. Il pericolo sembra ormai scongiurato quando, nel momento in cui Szczesny si appresta a rimettere in gioco il pallone, il braccio alzato del Signor Guida intima al nostro portiere di attendere perchè è in corso il famigerato e temuto check del Var. “Ci risiamo!” penso. In quel momento l’entusiasmo per una prestazione fino a quel punto eccellente svanisce. Pjanic, scuro in volto, si avvicina all’arbitro, il suo labiale è evidente: “adesso cosa c’è?”. Anche lui, come il tifoso davanti alla tv, che nel frattempo sta scagliando strali e insulti terrificanti contro la tecnologia, arrivando ad offendere pesantemente tutta la dinastia dei computer, in un percorso a ritroso nel tempo che raggiunge e colpisce persino il trisavolo del Commodore 64, defunto ormai da un pezzo, è perfettamente consapevole di quello che sta per accadere.

E’ dalla prima stagione disputata con il supporto Var, quella del 2017/18, il campionato che secondo qualcuno sarebbe stato deciso da un presunto secondo cartellino giallo non dato a Pjanic in quel famoso Inter - Juventus risolto nel finale in favore dei bianconeri, che se ne vedono di tutti i colori. Addirittura a Genova, nella seconda giornata di quel campionato che vide l’introduzione della moviola in campo, tutti eccitati dalla possibilità di assegnare un rigore contro una Juventus già sotto di un gol, gli addetti Var non si accorsero che l’azione che avrebbe portato al rigore, era viziata da un fuorigioco evidente. La Juve alla fine vinse quella partita 4-2 e come al solito si trovò modo di vedere episodi arbitrali a noi favorevoli anche in quell’occasione. Vi risparmio la lista dettagliata di tutti gli episodi grotteschi ai quali abbiamo assistito in questi anni. Gol annullati per fuorigioco di millimetri, rigori dati al minimo contatto (dimenticando sempre più spesso che il calcio è un gioco che prevede il contatto fisico e che con questo metro arbitrale vengono spesso premiati i simulatori, alla faccia di tutti i noiosi discorsi sull’etica dello sport che si fanno oggi ai bambini), espulsioni decretate per falli da ultimo uomo a 40 metri dalla porta, più vicini alla linea laterale che al centro del campo.

Comunque, il rigore come previsto arriva. Il signor Guida, raggiante in viso, indica il dischetto. Ibrahimovic trasforma sicuro. La Juventus, esattamente come nel derby di pochi giorni prima, accusa il colpo. Questa volta però non c’è un intervallo di quindici minuti in cui sfogare la frustrazione e la rabbia a salvarla. La partita cambia. La Juve non c’è più. Segna Kessie, lasciato libero di fare tutto quello che ha voluto dentro l’area, segna Leao e infine chiude Rebic. Mentre in campo si materializza il disastro, il tifoso davanti alla tv scava ancora con la memoria nella storia della tecnologia, alla ricerca di qualche piccola calcolatrice scampata poco prima alle precedenti terribili ingiurie.
Parlando seriamente, faccio sempre più fatica a sopportare questa applicazione del regolamento che ha trasformato quella che era la massima punizione in un colpo di fortuna, casuale e completamente slegato dalla partita. Quello che lascia veramente perplesso chi al tempo spese qualche preziosa ora a leggere e tentare di comprendere il funzionamento del Var e come la nuova tecnologia avrebbe inciso sul gioco, è la palese inosservanza di quella che è la disposizione chiave su cui si fonda il protocollo. “Chiaro ed evidente errore”, è questo il caso in cui la tecnologia è chiamata a raddrizzare la decisione presa in campo dall’arbitro. Chiaro ed evidente vuol dire qualcosa di molto vicino all’oggettività (il rigore negato a Douglas Costa a Wembley contro il Tottenham due anni fa, ad esempio), una cosa tanto evidente che quasi non dovrebbe servire neppure mandare l’arbitro al monitor per rivedere l’episodio incriminato. In Inghilterra si comportano esattamente in questa maniera. L’errore viene segnalato e corretto direttamente dagli arbitri Var. Sarà un caso che, nonostante quattro giornate di campionato in più fin qui disputate, il numero di rigori concessi in Premier League sia all’incirca la metà di quanti ne abbiamo visti fischiare in Serie A? Nel massimo campionato italiano, in ogni partita invece, e qui non si tratta più solo della Juventus ma della salvaguardia del calcio, va in scena una ridicola caccia alla minuzia e al pettegolezzo. L’area di rigore viene ormai scandagliata in lungo e in largo alla ricerca di una minima infrazione da punire con la massima punizione (a questo punto però vorrei anche capire come mai sia passata in cavalleria la scarpata di Ibra sulla testa di Ronaldo oppure il placcaggio chiaro ed evidente di Lautaro ai danni di Toloi in un Inter - Atalanta dello scorso gennaio). Siamo arrivati quasi al ridicolo. Praticamente la stessa partita si gioca ormai con due regolamenti differenti: uno si applica in area, l’altro nel resto del campo, dove spesso si vedono trattenute vistose e scarpate grossolane correre via impunite. Il grido di gioia che aveva accompagnato l’introduzione del Var era unanime: finalmente la Juventus non vincerà più. Le cose sono andate diversamente. Il Var tanto invocato non ha cambiato la storia del campionato. Sarebbe forse il caso di ricalibrare il sistema di utilizzo, per la salvaguardia e la credibilità di questo nostro amato gioco. 

Ricordo che anni fa, in quell’arena virtuale che sono le trasmissioni sportive, si chiedeva a gran voce che le partite chiave del campionato venissero affidate ad arbitri stranieri. Garanzia di imparzialità contro la sudditanza psicologica che da sempre, nonostante la farsa di quattordici anni fa, vede, a detta di qualcuno, gli arbitri italiani sottomessi alla Juventus. Ci credevano pure mentre dicevano queste cose. La stagione 2013/14, quella dei 102 punti, nella sua campagna europea, vide in tabellone un ottavo di ritorno di coppa Uefa al Franchi, Fiorentina - Juventus, arbitrato dall’inglese Webb (arbitro eccellente e di grande personalità). Il popolo viola era in fermento. Il pareggio per 1-1 allo Stadium e la garanzia di un arbitro straniero contro le “presunte malefatte” bianconere, regalavano sogni di gloria ai tifosi fiorentini, compreso l’allora nuovo capo del Governo Matteo Renzi che seguì la partita direttamente in Parlamento grazie ad un tablet. Lo stadio viola all'ingresso in campo delle squadre per il riscaldamento, regalò ad uno stupito Webb un boato degno di Batistuta. La partita però la vinse la Juventus. Punizione di Pirlo quando mancavano circa dieci minuti al termine dell’incontro, 0-1 e fine dei sogni (illusioni) di una città. Per aggiungere ulteriore ironia a tutta la faccenda, la Fiorentina chiuse quell’incontro in dieci uomini per l’espulsione di Rodriguez. Un duro colpo per chi per anni ha urlato “Ladri! Ladri!” per ogni rimessa laterale dubbia e credeva davvero che la differenza tra la Juventus e le altre la facessero i signori con il fischietto.

Detto tutto questo e perdonate uno sfogo che mi tengo dentro ormai da troppi anni (almeno 22), quello che è successo a Milano dopo il rigore non ha giustificazioni. La squadra si è sciolta. Totalmente stordita dal colpo ricevuto, non ha avuto nemmeno la lucidità di provare a guadagnare tempo con un cambio o con un intervento dello staff sanitario. La sconfitta lascia aperto un campionato che, con la vittoria bianconera, sarebbe stato chiuso anche per il più pessimista dei tifosi (che probabilmente sono io) e rilancia una forte tensione che accompagna la marcia di avvicinamento alla partita di sabato sera contro l’Atalanta. I motivi di conforto che in questi giorni giungono in soccorso del tifoso ansioso sono che, al di là del black out, la Juventus a Milano è sembrata in buona condizione atletica, anche se è sempre necessario considerare come, in questa fase di partite così ravvicinate, quello che si vede il martedì potrebbe non essere necessariamente indicativo di ciò che si vedrà alcuni giorni dopo, recupera De Ligt e Dybala, esclusi dalla partita di Milano per una squalifica rimediata per somma di ammonizioni, e poi, ma qui siamo più che altro nel campo della scaramanzia, prima o poi l’Atalanta una partita la perderà. La sconfitta della Lazio nella pomeridiana contro il Sassuolo, regala al tifoso apprensivo ulteriori motivi per prendere respiro. Nonostante sensazioni non particolarmente buone, la tensione dell’attesa si allenta, anche se solo in minima parte.
Quando manca mezz’ora al fischio d’inizio, cominciano ad andare in scena tutti quei riti che, anche involontariamente, accompagnano un tifoso verso la partita. Conforta il pensiero che in caso di vittoria si potrà andare a dormire tranquilli, con lo scudetto praticamente in tasca. La notifica, ricevuta sul telefonino dalla nuova bellissima app della Juventus, annuncia la formazione. Rispetto a Milano, l’undici di partenza ritrova come detto De Ligt e Dybala, che rientrano dalla squalifica e prendono il posto rispettivamente di Rugani ed Higuain (il guadagno tecnico pare evidente). Manca inoltre Pjanic e al suo posto Sarri schiera Matuidi, in mezzo al campo assieme a Rabiot e Bentancur. Scelta probabilmente dettata dalla necessità di fronteggiare la fisicità atalantina.

Il solito brutto spot dello sponsor del campionato introduce la partita (ma brutto veramente!). La solita orribile coreografia digitale accoglie l’ingresso delle squadre in campo. L’Atalanta indossa una discutibile maglia verde. L’inizio è preoccupante. La palla ce l’hanno sempre loro. Non riusciamo a pressare, non riusciamo a recuperare palla, non riusciamo a gestire il possesso le poche volte che abbiamo il pallone. Il gol di Zapata, in condizione fisica straripante, è il suggello di un primo quarto d’ora di gioco completamente in mano all’Atalanta. La Juventus fatica, soffre il pressing incessante degli avversari e soprattutto soffre in maniera spropositata nei contrasti. Sembra quasi che i giocatori della Juventus rimbalzino contro gli avversari senza impensiserirli minimamente. La mossa Matuidi non da i frutti sperati, Rabiot, pur non crollando, non sembra a suo agio nella zona destra del campo. Mostrano serie difficoltà anche Cuadrado e Danilo sulle due fasce, dove l’Atalanta trova sempre uno sfogo al suo possesso palla per poi puntare l’area. La partita si mette male, al tifoso a casa non rimane altro da fare se non cercare di mantenersi il più tranquillo possibile e sperare che la partita cambi in qualche modo. L’Atalanta continua a controllare il gioco ma ha la colpa di non produrre palle gol e azioni pericolose. La Juventus si affida a qualche spunto di Dybala, lasciato troppo solo in avanti. Ronaldo si vede poco ma è tutta la Juventus in generale a non aver trovato le contromisure necessarie. 

Dall’intervallo entrambe le squadre rientrano con le stesse formazioni con cui hanno iniziato la partita. Il ritmo dell’Atalanta cala rispetto al primo tempo. Non un calo netto ma quel tanto che basta per fargli trovare maggiori difficoltà nel possesso veloce, nel pressing e nel recupero palla. Sempre più spesso i centrocampisti atalantini sono costretti a ricorrere al fallo. La Juventus, pur non creando palle gol, riesce ad occupare con maggiore stabilità la metà campo avversaria. Stavolta l’imprevisto giusto lo peschiamo noi. Il cross di Dybala dal vertice sinistro dell’area è intercettato dal braccio di De Roon, largo quel tanto che basta per provocare il rigore. Giacomelli fischia sicuro, Irrati al Var conferma. Pardo e Guidolin in telecronaca sembrano delusi. Comunque dopo i due rigori subiti dalla Juventus contro Torino e Milan, diventa difficile anche per loro accennare ad una polemica. Sul dischetto naturalmente va Ronaldo che, con tutta la pazienza che evidentemente gli appartiene, sopporta per l’ennesima volta la mia fastidiosa implorazione. Questo rigore è uno di quei regali del cielo che non vanno assolutamente sprecati. La sensazione è che difficilmente avremmo trovato la via del gol. Al solito, ricordo a Ronaldo quel missile sparato all’incrocio due stagioni fa al Bernabeu, che vanificò l’impresa bianconera sul più bello. “Me lo devi”, gli ricordo. Ne è consapevole e non mi delude. La botta è forte, leggermente incrociata. La Juventus pareggia. Sospiro di sollievo ma manca ancora tantissimo, troppo. L’Atalanta sta meglio di noi. Sono troppe lunghe le partite in alcuni momenti. Il caldo afoso di Luglio, nonostante il condizionatore in funzione dal primo pomeriggio, si fa sentire. Sarri suda, io appresso a lui.
Arrivano i primi cambi. Sarri toglie Danilo, in evidente difficoltà da terzino sinistro, e Bernardeschi, in difficoltà e basta, sia in copertura che nelle scelte palla al piede, per inserire Sandro e Costa. Dall’altra parte esce Ilicic rilevato da Pasalic. I due brasiliani hanno un buon impatto sulla partita e il gioco della Juventus sembra salire di livello. Bentancur e Rabiot prendono possesso del centrocampo vincendo praticamente tutti i contrasti. La partita scorre veloce e piacevole (almeno per il tifoso neutrale), favorita da un arbitro che fischia poco e ammonisce il giusto. Gasperini toglie Zapata, che fin lì aveva dominato con il fisico, e Gomez per inserire Malinovsky e Muriel. Si parla tanto della panchina lunga della Juventus ma questi operati dai bergamaschi mi sembrano tre cambi di livello. Esce Dybala ed entra Higuain, un cambio da cui oramai non possiamo attenderci molto. Rispetto al primo tempo la situazione sembra comunque almeno in parte riequilibrata. Nessuna delle due squadre produce particolari palle gol. L’Atalanta prova con il nuovo entrato Malinovsky, il cui diagonale sinistro termina la sua corsa di poco a lato mentre l’occasione migliore della Juventus è per Ronaldo che, su lancio da dietro di Cuadrado, si libera con il controllo dalla marcatura e calcia verso la porta impegnando Gollini ad una difficile parata. La sensazione che questa partita non la vinceremo è sempre più forte. Inizio a giocare per il pareggio. Provo a convincere  il cronometro a scorrere più veloce ma quello, implacabile, non mi da ascolto. Smetto di guardarlo, lanciandogli occhiate fugaci di tanto in tanto, sperando di vederlo indicare un numero vicino a 90. Niente, sembra scorrere sempre più lento. Mi pare quasi di essere tornato indietro nel tempo, all’epoca del Liceo, quando l’ora di inglese sembrava non finire mai. Ogni tre minuti ne passava uno. Così è stasera. Fino all’ottantesimo, quando l’Atalanta recupera palla a centrocampo, lancia Muriel sulla sinistra che serve verso il centro Malinovsky al limite dell’area. Il destro del centrocampista ucraino (che ogni volta che lo guardo giocare mi sembra uno bravo, ma bravo veramente) non lascia scampo a Szczesny che, per la verità, in questa fase della stagione non sembra trasmettere grande sicurezza. Ho l’impressione che ogni tiro finisca in porta. L’Atalanta è di nuovo in vantaggio e mancano solo dieci minuti alla conclusione della partita. Stavolta è finita. Non so più a quali santi votarmi. L’imprevisto lo abbiamo già pescato, rimane da sperare in un miracolo. Nel dubbio, ricordando sempre il rimprovero che mia sorella mi rivolge in queste situazioni: “Carlo! Fai qualcosa!”, provo a giocarmi la carta dell’inversione dei telecomandi e dello spostamento di qualche cianfrusaglia sul tavolino davanti alla televisione. Il miracolo arriva. Non per merito mio ma arriva. Una punizione di Ronaldo, deviata dalla barriera, termina la sua corsa in calcio d’angolo, scivolando molto vicina al palo. Sugli sviluppi del corner, un tocco all’indietro di Higuain viene deviato con il braccio larghissimo da Muriel. Il rigore è evidente. Tocca ancora a Ronaldo presentarsi sul dischetto. La tensione è ancora più alta rispetto a prima. Siamo ad un soffio dal novantesimo e questo gol potrebbe avere un’importanza fondamentale per le sorti del campionato. Due rigori nella stessa partita creano la difficoltà di trovare un’altra volta qualcosa di efficace da dire al fuoriclasse con il numero 7. Quando finalmente decido di fargli pesare i due gol segnati a Cardiff con la maglia sbagliata, mi vedo anticipare da lui che, con la tranquillità dei grandissimi, mi dice: “lo so già… te lo devo…”.
Calcia di nuovo incrociando, con ancora più sicurezza di prima. Arriva il gol di un pareggio a quel punto quasi insperato. Un punto che potrebbe pesare moltissimo in questo finale di campionato. Mancano sei partite, ne dobbiamo vincere quattro. Gli ostacoli che abbiamo di fronte non sono insormontabili ma la sensazione, al termine della partita contro l’Atalanta, è che ci sarà da soffrire e sudare parecchio e non solo per il caldo afoso che caratterizza questi giorni di Luglio. Conforta constatare che, esclusa l’Atalanta, comunque distante nove punti, le altre contendenti per lo scudetto non mostrano un momento di forma particolarmente brillante.

Questa volta la conclusione dell’articolo non è dedicata all’analisi tecnica della partita. Vorrei piuttosto evidenziare il continuo malessere del tifoso juventino da social contro quella che dovrebbe essere la sua squadra e i suoi giocatori. Dall’inizio della stagione noto un inspiegabile astio contro la squadra, contro Sarri, contro alcuni giocatori, soprattutto i nuovi acquisti. Una frustrazione derivante forse dal non aver visto realizzati alcuni sogni di mercato e magari dal desiderio di ottenere una personale affermazione per chi da un decennio, come una Cassandra, va vaticinando stagioni di magra. Dopo la partita contro il Milan, è riemerso in tutta la sua ferocia l’antico malessere nei confronti di Bonucci, autore anche lui come il resto della squadra di una brutta prova nella mezz’ora finale di Milano ma tuttavia fin qui protagonista di una delle sue migliori stagioni da quando veste il bianconero. Detto che non sono mai stato un grande sostenitore di Bonucci, detto che non mi sono disperato quando è andato al Milan e non ho fatto i salti di gioia quando è rientrato l’anno successivo, detto che in generale il mito della BBC su di me non ha mai esercitato suggestione alcuna (anzi…), bisogna riconoscere al nostro centrale di aver vinto, sempre da titolare, sette scudetti sugli otto campionati disputati con la maglia della Juventus. Aggettivi come “indegno” e “inadeguato” con i quali è stato attaccato in questi giorni, magari descriverebbero meglio chi ne fa uso per offendere i nostri giocatori.