Inutile girarci attorno, il virus ha modificato totalmente il nostro modo di vivere. Questo maledetto morbo è entrato nella nostra quotidianità e ha fatto di noi ciò che ha voluto, ci ha plasmati a sua immagine e somiglianza quasi come un nuovo dio che in realtà ha più le sembianze di un demonio. Oggi conviviamo con mascherine,” distanziamento sociale”, termine più che mai inappropriato e lontanissimo dalla nostra costituzione di uomini (insegna Aristotele). La nostra natura è fatta di comunità, socialità e aggregazione. 
Quante volte, nell’anno appena terminato, abbiamo sentito la frase “questo virus è peggio di una guerra”? Una guerra avrebbe indubbiamente portato alla morte di un numero di persone maggiore di quello che può aver causato il virus ad oggi (lo insegna la storia), ma inutile nasconderci dietro al fatto che i dati che ogni giorno ci riservano i media destino sempre un certo sgomento. E’ davanti agli occhi di tutti che la sofferenza morale causata dall’avvento del Covid-19 ha colpito anche parti della nostra quotidianità che apparentemente potrebbero sembrare superflue, ovvero,  per usare un termine molto in voga in questi mesi di emergenza sanitaria ed economica “non essenziali”.

Il calcio, come tutti gli altri sport, è una delle vittime del Covid. A Marzo dell’anno scorso tutto si è fermato. Non era mai successo dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale ad oggi. Sembrava che il calcio non trovasse mai ostacoli alla sua prosecuzione, nemmeno in quel maledetto 29 maggio 1985 quando allo stadio Heysel di Bruxelles, dove era in programma la finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool, persero la vita 35 tifosi di cui 32 italiani a causa di una violenza sconsiderata delle tifoserie. Nemmeno davanti alla morte “fresca” il pallone smise di rotolare sul rettangolo verde. Questa volta invece anche il calcio non ha resistito all’onda anomala del Covid-19.  Stop alla Serie A, niente Premier, Liga, Ligue 1, niente calcio in Europa e nel mondo.  Annullamento e rinvio del Campionato Europeo e delle Olimpiadi; persino queste ultime che sin dall’antichità hanno sempre raffigurato un emblema di pace, prosperità, fratellanza e reciproco rispetto tra popoli. Uno scenario mai visto nella storia.  Tutto ciò ha provocato enorme sgomento nel movimento calcistico ad ogni livello. Sul piano sociale e morale la sospensione dello sport, ha reso, in quella enorme e sconfinata massa di giovani appassionati che senza l’odore dell’erba la domenica pomeriggio, senza le urla e i cori dei tifosi, senza lo speaker dello stadio che invoca il nome del loro idolo di cui non aspettano altro che urlare a squarcia gola il cognome, senza l’emozione del gol in rovesciata, senza la sigla inconfondibile di 90° minuto in TV, tutto più scialbo e lontano dalla normalità. Oggi più che mai, il calcio e lo sport hanno assunto un valore ancor più alto perché ci siamo accorti che alla fine nulla va dato per scontato nella nostra vita. Per chi ama e vive di calcio, così come chi vive di musica e di cultura che esse vi siano o meno non è la stessa cosa, non è questione di “essenzialità” o “non essenzialità”, è questione di vita! 
La sospensione di tutti campionati ha comportato risvolti sociali significativi a tutte le parti della comunità. Mi metto nei panni di chi, a mio avviso rappresenta l’essenza della purezza dello sport, il bambino. Quando da bambino uscivi da scuola al pomeriggio, arrivavi a casa carico come una molla perché sapevi che di li a poco saresti andato al campo dove il mister, spesso un ragazzotto qualunque che per te era come un fratello maggiore, ti aspettava con il sorriso divertito di chi è li solo per te e per farti divertire e trasmetterti qualcosa che a sua volta per lui è passione!  Arrivi a casa, la mamma con il suo solito fare preoccupato perché fuori è inverno, piove, fa freddo si raccomanda la calzamaglia, la maglietta termica e tu che le rispondi, sbuffando e alzando gli occhi al cielo con la mano già sulla maniglia della porta un mai rassicurante, bensì rassegnante “si mamma, va bene!” Arrivi nello spogliatoio dove ritrovi i tuoi amici, non compagni, amici, e con loro parli delle gesta eroiche compiute la domenica dall’idolo calcistico del momento: “ma che razza di gol ha fatto?”, “come è possibile riuscire in una cosa del genere?” quando poi... lo sappiamo tutti...si trattava di un semplice gol dal limite dell’area, ma quando si è bambini tutto ti sembra più grande di quello che è! Entri in campo con i tuoi scarpini, il tuo scaldacollo alto come i campioni che si riscaldano a bordo campo, calzettoni lunghi, ma rigorosamente abbassati perché devi essere riconoscibile dal mister in vista della domenica e poi niente...arriva il pallone e si inizia a dare libero sfogo a sé stessi. Ecco, questo excursus di emozioni, forse dovuto ad un briciolo di nostalgia è originato dal fatto che tutto ciò oggi come oggi sembra perduto e destinato a non tornare per i bimbi. Oggi queste sensazioni, questi sentimenti sono surclassati da altri più costringenti e meno piacevoli.  Oramai la voglia di affrontarsi e giocare e l’obbligo della distanza da mantenere, il sogno da inseguire su un campo e la preoccupazione di doversi fermare, il desiderio di libertà e l’incubo di un nuovo lockdown sono intrecci quasi indissolubili. Oggi le linee bianche del rettangolo verde sono diventate linee rosse che ci portiamo addosso e che frenano ogni nostro istinto o aspirazione. Tutto oggi viene prima valutato razionalmente perché ci preoccupiamo solo di fare la scelta giusta che però spesso non è ciò che desideriamo realmente. Un bambino oggi non ha più punti di riferimento, perché l’amore di mamma e papà sono una cosa naturale, che non verrà mai arrestato e che ci sarà sempre nel bene e nel male, ma la fiducia nel mondo e in chi ti sta attorno (e l’ambiente sportivo lo insegna in maniera inequivocabile) quella purtroppo oggi è scomparsa e ha lasciato il posto ad irrequietezza e sfiducia in un futuro sempre più incerto. 
Chi scrive ha una certa domestichezza con i più piccoli e da ex allenatore proprio di giovanotti alle primissime armi (anche se non nell’ambito del calcio) oggi riporterebbe ai suoi ragazzi le parole di un bellissimo articolo letto in questi mesi, ma con qualche elemento personale: “Ragazzi quello che stiamo vivendo non è altro che un contrasto di gioco, una caduta che, si, vi ha comportato una qualche sbucciatura e qualche graffio, ma nonostante ciò non vi impedisce di rialzarvi. Non smettete di sognare il ritorno in campo, le fatiche agli ordini dell’allenatore, il fango sulla maglietta e le mutande bagnate (da ex umile portiere posso affermare che sia fastidioso).
Rialzatevi da quella caduta e continuate a giocare e correre, perché la partita contro il Covid non durerà i soliti 90 minuti, si arriverà ai tempi supplementari, forse ai rigori, ma alla fine vinceremo! Alla fine vincerà il calcio, vincerà lo sport, vincerà la vita. Vincerà il vostro spirito limpido e incosciente!”