Juventus - Milan, posticipo serale della trentacinquesima giornata di campionato, inaugura l’ultimo ciclo di partite, finale di Coppa Italia compresa, che nelle prossime due settimane condurranno finalmente il tifoso bianconero ormai stremato alla conclusione di una brutta stagione. La sfida dello Stadium, che tanto somiglia ad uno spareggio per un posto nella prossima Champions League, arriva a chiudere un turno di campionato che ha visto, per quanto riguarda la lotta alle prime quattro posizioni, le agevoli vittorie di Napoli e Atalanta, in trasferta rispettivamente a La Spezia e a Parma, e la sconfitta, netta nel gioco e nel punteggio, della Lazio a Firenze. Per la Juventus quindi si presenta una grande occasione per staccare il Milan e allontanare ulteriormente la Lazio.

Pirlo arriva alla sfida contro i rossoneri al termine di un’intera settimana dedicata al lavoro sul campo di allenamento. L’infermeria, inoltre, gli restituisce finalmente Chiesa e Demiral, gli ultimi due indisponibili in rosa e unici assenti nelle più recenti partite. Con la piena libertà di operare quindi le sue scelte, evento forse mai capitato in stagione, l’allenatore bianconero si affida per l’ennesima volta a quel  442 “liquido” dentro il quale è affondata la rincorsa al decimo scudetto consecutivo. Dunque, Szczesny tra i pali, linea difensiva composta, da destra verso sinistra, da Cuadrado, De Ligt, Chiellini e Alex Sandro. A centrocampo, McKennie si muoverà nella botola nascosta tra la fascia destra e la trequarti, con Bentancur e Rabiot coppia centrale e Chiesa a chiudere la linea sulla fascia sinistra. Ronaldo e Morata, in attacco, compongono quella che nel corso della stagione è apparsa la coppia offensiva meglio assortita. A Pinsoglio e Bonucci, in panchina, è affidato il delicato incarico di non far pesare troppo sulla squadra l’assenza dei quarantamila tifosi che una volta scaldavano le tribune dello Stadium.

Dall’altra parte c’è un Milan che, dopo una brillante prima parte di stagione, ha perso via via forma, convinzione e certezze, accumulando lungo il percorso diverse sconfitte che l’hanno impietosamente retrocesso dalla prima posizione, mantenuta per quasi tutto il girone d’andata, a quel limbo sospeso tra la Champions e l’Europa League. La squadra di Pioli, nella delicata sfida torinese, si presenta in campo con il tradizionale 4231. Davanti alla porta protetta da Donnarumma, l'allenatore dei rossoneri schiera una linea difensiva formata da Calabria, Kjaer, Tomori e Theo Hernandez. Kessie e Bennacer in mezzo al campo, Ibrahimovic riferimento centrale in avanti, supportato dal trio di trequartisti composto da Saelemakers, Diaz e Calhanoglu.

Con una certa fatica, a causa di un ginocchio infortunato in un ridicolo incidente, il tifoso bianconero prende posto davanti alla tv proprio nel momento in cui un Compagnoni decisamente euforico apre il collegamento con lo Stadium. La regia si produce immediatamente in una girandola di primi piani, con lo scopo di dare un tocco di epica alla sfida che sta per cominciare. In tribuna, accanto al Presidente Agnelli, si rivede John Elkann, intervenuto nel momento più delicato della stagione per far sentire alla squadra la presenza solida e rassicurante della proprietà. Con le squadre, vestite nei loro colori tradizionali, allineate a centrocampo, un super spot più lungo del solito taglia gran parte dell’inascoltabile inno della Lega, come sempre diffuso prima del via dall’impianto audio dello stadio, restituendo la linea al campo proprio nel momento in cui le ultime note si disperdono nel bianco dei seggiolini vuoti. Non tutte le pubblicità vengono per nuocere. Espletate quindi le solite formalità del pre partita, l’arbitro Valeri può finalmente fischiare l’inizio della sfida.
Si parte ad un ritmo moderato. Il possesso palla è prevalentemente nei piedi dei giocatori della Juventus che muovono il pallone anche con discreta disinvoltura ma, al momento di concretizzare l’azione nella trequarti avversaria, come al solito si perdono dentro l’unico schema che l’allenatore ha trasmesso alla squadra nel corso della stagione. Palla a Cuadrado e vediamo cosa succede. Complice la giornata negativa dell’ala colombiana, ormai da tempo inspiegabilmente reinventata terzino, non succede niente. La Juventus, nonostante il buon avvio, produce una sola occasione con De Ligt, sugli sviluppi di un calcio di punizione dalla trequarti. Il tiro di prima intenzione del difensore olandese si infrange contro la schiena di Theo Hernandez.
Nonostante un clima di reciproca correttezza da parte delle due squadre e la direzione arbitrale puntuale e sicura di Valeri, la partita subisce fin dai primi minuti, tra scontri fortuiti, contrasti e interventi dei sanitari, diverse interruzioni che le impediscono di salire di ritmo.
Il gioco della Juventus è un copione ormai tristemente conosciuto ai tifosi bianconeri. La ricerca ossessiva della salita sulla destra di Cuadrado condiziona le scelte dei giocatori in campo. La manovra bianconera, e ormai è una questione nota a chiunque, si sviluppa soltanto dalla sua parte. La palla si muove tra i difensori e i centrocampisti che si abbassano a fornire un appoggio in impostazione. Tanti passaggi corti e orizzontali, il pallone che attraversa il campo da destra a sinistra e poi da sinistra a destra per trovare la sua destinazione finale nei piedi di Cuadrado, chiamato a quel punto a interrompere e concretizzare con un cross o uno spunto quella altrimenti infinita trama di piccoli passaggi. La scarsa efficacia dell’azione del colombiano rende fin da subito la ricerca della rete un percorso ricco di difficoltà che paiono insormontabili.   
In un incontro in sostanziale equilibrio, spicca la prova negativa di Ronaldo. Il portoghese si rende fin dai primi minuti di gioco, protagonista di una serie di errori tecnici, in appoggio e nel controllo del pallone, che lo rendono una sorta di buco nero nell’azione della Juventus. Dopo un quarto d’ora il conteggio dei palloni persi è ben oltre il livello di guardia. Sbaglia molto a livello tecnico anche Morata, che però almeno ha il merito di battersi e di impensierire i difensori rossoneri, pur non ricavando nulla di rilevante dalla sua azione. Chiesa inizia ben presto a litigare con quella fascia sinistra che non ama e nella quale il suo gioco risulta eccessivamente depotenziato. Fin dai primi minuti si vede l’ala bianconera, grande protagonista nella sfida di andata a San Siro, cercare pezzi di terra alternativi per sprigionare la sua velocità.
Il Milan, dopo un avvio prevalentemente di attesa e chiusura degli spazi, comincia a prendere confidenza e si presenta al tiro in un paio di occasioni con Diaz senza però creare particolari preoccupazioni a Szczesny. Si accende anche Theo Hernandez. Accortosi che dalla sua parte questa volta non c’è il mostro che lo maltrattò nella gara di andata ma solo un terzino improvvisato e un simpatico giovanotto americano ancora in cerca di una definizione tattica, il terzino francese inizia a presentarsi dalle parti dell’area avversaria con crescente frequenza e regolarità. In una di queste occasioni è Alex Sandro, con un intervento bello, efficace e rischiosissimo a togliere il pallone dalla porta e dalla disponibilità di Ibrahimovic.
L’unica occasione da gol di tutto il primo tempo, per la Juventus, arriva intorno alla mezz’ora, con Chiellini che, sugli sviluppi di un calcio d’angolo, di testa non riesce a centrare la porta lasciata incustodita da un’uscita a vuoto di Donnarumma.
Ronaldo prosegue nella sua brutta prestazione, imitato dall’altra parte da Ibrahimovic. Ormai fermo e pesante, il centravanti svedese è sempre superato da Chiellini e De Ligt che hanno gioco facile nel tenerlo sotto controllo. Quando il primo tempo sembra ormai destinato a concludersi in parità, arriva il gol del Milan. Szczesny respinge, lateralmente ma troppo corto, un lungo e inoffensivo calcio di punizione dalla trequarti. Il pallone raggiunge Diaz che, rapidissimo, rientra verso l’interno, salta secco Cuadrado e con il destro mette il pallone sotto l’incrocio dei pali, facendolo passare nel piccolo spazio disponibile tra la testa di Chiellini e la traversa. Bravissimo Diaz ma anche stavolta la Juventus è riuscita, tra Szczesny e Cuadrado, a regalare una rete ai suoi avversari. Le telecamere offrono un primo piano di Buffon e Pinsoglio  avviliti ed increduli,  la testa bassa e le mani tra i capelli.
Con le squadre già pronte al centro del campo, l’arbitro Valeri tarda ad autorizzare la ripresa del gioco. Il controllo Var sull’azione della rete rossonera si protrae per alcuni secondi. Sotto esame un possibile tocco con il braccio di Diaz nel momento in cui riceve palla e si libera di Cuadrado. Dall’unico replay fornito da Sky, sembra che il tocco irregolare ci sia anche se le immagini non sono chiarissime. Una flebile speranza si accende nel tifoso bianconero davanti alla tv, subito smorzata dalla decisione del Var che convalida il gol. Il Milan va quindi al riposo in vantaggio di una rete.
Nell’intervallo si scatenano, anche più del solito, le chat dei vari gruppi di whatsapp. Il diffuso e ormai cronico nervosismo per un gioco che si avvita costantemente su se stesso, è accompagnato dalla frustrazione nel constatare come un intero anno di partite non sia servito al nostro allenatore per mettere da parte alcune idee rivelatesi fin da subito infruttuose se non addirittura nocive. I messaggi vengono rilanciati dall’app a grande velocità. La delusione e l’insofferenza viaggiano ormai in superficie. Nessuno è disposto a concedere più alcuna attenuante.
“In un anno questo non ha capito niente”
“La partita di andata fu risolta in favore della Juventus grazie a Chiesa che dominò Theo Hernandez. Pirlo questa volta preferisce non correre nemmeno il rischio e dirotta Chiesa dall'altra parte. D'altronde se lo chiamano maestro un motivo ci sarà.”
“Avremo mai un’idea diversa dal cross di Cuadrado?” 

Finito l’intervallo, le squadre tornano in campo per l’avvio del secondo tempo con le stesse formazioni con cui hanno iniziato la partita. Pirlo, nonostante l’opaco primo tempo, non ravvede la necessità di intervenire immediatamente con qualche cambiamento. La partita riprende e subito la Juventus, dopo nemmeno un minuto di gioco, si presenta al tiro con Bentancur che, smarcato in area dalla rifinitura di Morata, a conclusione dell’unica azione verticale prodotta dai bianconeri in tutto l’incontro, trova pronto Donnarumma alla parata a terra. Il tifoso davanti alla tv, pur confortato da un inizio di ripresa che sembra promettere una Juventus diversa, non può fare a meno di notare come le azioni un minimo pericolose nell’area milanista siano state portate da difensori e mediani. Il buon avvio dura però appena il tempo di un'illusione. Dopo il tiro di Bentancur, la Juventus non sarà più in grado di rendersi pericolosa per gran parte del secondo tempo. E’ anzi il Milan ad avere al decimo minuto la grande occasione per raddoppiare. La rapidità di Diaz semina apprensione al limite dell’area di rigore juventina. Il trequartista in prestito dal Real Madrid vince un paio di contrasti e calcia verso la porta. Il suo tiro è respinto da Chiellini tra le proteste di tutti i giocatori milanisti che si trovano nei pressi dell’azione. Il replay toglie ogni dubbio. Il capitano ha toccato il pallone con il braccio sinistro troppo largo. Non ci sono nemmeno margini per sperare in un esito differente dal rigore in favore del Milan. Il Var manda Valeri al monitor. La decisione è inevitabile. Il Milan ha nei piedi di Kessie l’opportunità per chiudere la partita grazie all’ennesimo rigore, il terzo, forse il quarto, regalato da Chiellini in questa stagione.
Parte la solita lenta e breve rincorsa dello specialista ivoriano che con il piatto destro indirizza il pallone alla sinistra di Szczesny. Il portiere polacco intuisce e respinge in tuffo, riscattando almeno parzialmente l’errore in occasione del gol di Diaz. La Juventus è ancora viva. In panchina esultanza e complimenti da parte di Buffon e Pinsoglio all’indirizzo del loro compagno.
La speranza di una scossa è però frustrata ancora da una manovra ripetitiva che non conduce da nessuna parte. I pericoli, se così possiamo chiamarli, che la Juventus riesce a portare nell’area milanista, si racchiudono in un tiro al volo di Rabiot altissimo e in una conclusione di Ronaldo che termina abbondantemente larga, al termine di un’azione personale. Si moltiplicano gli errori in fase d’impostazione. Ne commette alcuni Bentancur, a breve distanza l’uno dall’altro, che in parte vanificano la prestazione fornita dal centrocampista uruguaiano fino a quel momento. La Juventus si perde nel solito mare di confusione. Saltano le posizioni. Per il tifoso davanti alla tv si ripresenta la solita sensazione di avere a che fare con undici maglie bianconere che vagano a caso per il campo “in cerca di autore”. Chiellini imposta, Alex Sandro entra sempre più spesso in mezzo al campo, McKennie vaga alla ricerca di una via di uscita da quella botola dentro la quale è stato rinchiuso da Pirlo. Chiesa si agita, lotta ma continua a viaggiare ai margini della partita. Ronaldo invece rimane incartato in un’altra delle ormai frequenti brutte prestazioni offerte di recente. Esibizioni che insinuano il dubbio di un percorso in bianconero ormai concluso. Difficile in queste condizioni, con una squadra da ricostruire nel gioco e nell’identità, che alla sua età possa continuare a rappresentare un valore per la Juventus. E’ stato bello averlo ma ormai il percorso insieme si è esaurito.
Le prime sostituzioni, per entrambi i tecnici, arrivano a ridosso del settantesimo minuto. Nel Milan, Rebic prende il posto di un Ibrahimovic che ormai in campo porta una maglia con un nome importante e poco altro, facilmente controllato dalla difesa juventina finchè è rimasto in campo. Pirlo, dal canto suo, inserisce Kulusevski al posto di Bentancur. Lo svedese si colloca come al solito a destra, mentre, in mezzo al campo, le mansioni del centrocampista uruguaiano appena sostituito vengono raccolte da McKennie. Nonostante i troppi errori in appoggio, Bentancur durante l’incontro ha confermato di essere l’unico vero interditore a disposizione di Pirlo. Uscito lui, nella zona centrale del campo si aprono varchi sempre più minacciosi. Pioli, in situazione di vantaggio nel punteggio e nel gioco, decide di dare maggiore solidità alla sua squadra e inserisce anche Krunic al posto dell’imprendibile ma stanco Diaz.
In realtà anche Dybala si scalda già da diversi minuti. Il tifoso bianconero davanti alla tv si aspetta l’immediato l’ingresso dell’argentino, immaginando che possa cambiare le sorti di una partita che appare segnata con un’invenzione. Il tempo passa. L’incontro prende una piega sempre più minacciosa. Dybala continua a scaldarsi ma non entra. Pirlo lo guarda e pensa “adesso lo metto”. Poi guarda Ronaldo e pensa che dovrebbe togliere il portoghese, autore di una prova completamente negativa. Guarda anche Morata e pensa che alla fine, tutto sommato, togliere lui sarebbe la scelta più comoda. Dovesse sostituire Ronaldo, sai a quante domande sarebbe poi costretto a rispondere? Alla sola idea rabbrividisce e riprende a osservare i suoi tre giocatori, incerto sul da farsi. I pensieri scivolano, placidi e tranquilli, tra le varie idee liquide che si rincorrono nella testa del nostro Mister mentre la partita fugge via. In fondo stiamo perdendo solo per uno a zero e le nostre migliori occasioni sono arrivate dai due difensori centrali. Non va così male. Ha tempo per riflettere bene. E così, in attesa di arrivare alla migliore decisione, lascia trascorrere troppo tempo e permette al Milan di mettere le mani sulla partita in maniera definitiva.
In quella voragine che si è creata a centrocampo dopo la sostituzione di Bentancur, i rossoneri si propongono con sempre maggiore frequenza. Il primo campanello d’allarme suona poco dopo il settantesimo minuto, quando una combinazione in velocità tra Bennacer, Rebic e Calhanoglu lancia il turco verso la porta, anticipato solo dalla tempestiva uscita di Szczesny. Pirlo continua a navigare placido nei suoi pensieri “liquidi” fino a quando, a meno di un quarto d’ora dal termine, i rossoneri sigillano la partita. Lo fanno con Rebic che, liberissimo all’interno della nota voragine, riceve una verticalizzazione di Bennacer, controlla e con il destro trova l’incrocio dei pali lasciando immobile Szczesny.
Nella testa dello sconfortato tifoso bianconero, da un angolo ormai remoto e decisamente impolverato, dove sono conservati gli antichi ricordi di scuola, torna proprio in quel momento alla memoria la storia dell’asino di Buridano. Come il nobile esemplare equino che morì di fame per non essere riuscito a scegliere da quale balla di fieno nutrirsi, il nostro mister, incapace di decidere quale giocatore sostituire, ha tirato la questione tanto per le lunghe da arrivare a subire il secondo gol che compromette definitivamente la partita. A quel punto, l’unica soluzione rimasta a disposizione è quella di aggiungere Dybala agli altri due attaccanti e sperare in un episodio, in una giocata che possa riaprire la sfida. Esce Chiesa ma non succede nulla. Anzi, in verità qualcosa accade. Segna ancora il Milan. Va in rete Tomori, che, da un calcio di punizione di Calhanoglu, di testa anticipa Chiellini e batte Szczesny.

Il disastro è compiuto. La Juventus non ha più nulla da dire e non ha più nulla da mettere in campo in questa sfida e, purtroppo, anche nel prosieguo della stagione. Un tiro terminato di poco a lato da parte di Dybala, a conclusione di un’iniziativa personale, chiude una notte buia. La Juventus cade ancora allo Stadium. Di nuovo per tre a zero, come in quella notte di Dicembre contro la Fiorentina, quando l’allarme iniziò a suonare fortissimo, dopo un girone di andata costellato da tante più o meno piccole avvisaglie che, fin dalle prime partite, avrebbero dovuto far riflettere la società riguardo l’opportunità di insistere su un progetto che nemmeno avrebbe mai dovuto vedere la luce. Si è andati avanti, praticamente ad oltranza, nonostante i tanti punti persi sin dall’inizio e le tante prestazioni poco convincenti, intervallate da rari sprazzi di buon calcio o quantomeno da risultati positivi. L’allenatore, nel corso dell’intera stagione, non ha mai dato l’impressione di trarre particolari indicazioni da quanto accadeva in campo. In qualunque modo, ritornava a proporre sempre la sua idea di “calcio liquido”, ignorando ad esempio i buoni risultati ottenuti a Barcellona e a Parma giocando con tre centrocampisti, oppure il passaggio del turno in coppa Italia contro l’Inter e la vittoria sulla Roma, risultati conseguiti mantenendo un atteggiamento più prudente ed equilibrato. Nemmeno la buona prova fornita dalla squadra contro il Napoli, nel recente recupero, giocato con il più classico e lineare dei 442, ha minimamente scalfito le convinzioni di questo allenatore. Da circa cinquanta partite, qualunque cosa accada in campo, nella sua testa rimane il “calcio liquido”. Al massimo cambia qualche interprete, a cominciare dagli sventurati Ramsey, McKennie e Kulusevski, che più di tutti si sono persi dentro quella maledetta botola che caratterizza questo tipo di gioco. Un ruolo cervellotico e, alla fine dei conti, inesistente. Una complicazione inutile, messa in atto al solo scopo di utilizzare Cuadrado da terzino a tutta fascia, sbilanciando quindi la squadra sia in fase difensiva, sia nel momento di proporre l’azione offensiva. Per tutta la stagione si sono rincorsi giocatori fuori ruolo. Schierati più o meno tutti in ogni zona di campo possibile, eccetto quelle più consone alle loro caratteristiche. Il paradosso più evidente in questo senso è rappresentato da Danilo. Probabilmente uno dei migliori giocatori in questa grigia stagione, sballottato attraverso ogni tipo di mansione, per ritrovarsi inspiegabilmente escluso nel momento decisivo. 

La Juventus ha buttato completamente via una stagione e la situazione è, se possibile, addirittura peggiorata dopo l'eliminazione dalla Champions League per opera del Porto. Nonostante la possibilità di avere finalmente a disposizione quelle settimane piene tanto invocate per lavorare sulle sue idee, Mister Pirlo non è stato in grado di proporre una squadra capace battere il Torino e, addirittura, è riuscito nell’impresa di perdere in casa contro un Benevento che in tutto il girone di ritorno ha raccolto soltanto quattro miseri punti. Segnali chiari, forti e rumorosi, rilanciati ulteriormente dal triste pareggio di Firenze, che sono stati colpevolmente ignorati dalla società, la cui colpa è stata quella di ostinarsi a proseguire con un progetto evidentemente fallimentare. 
La zona Champions è scappata. L’occasione offerta dal calendario è stata colta dal Milan. A questo punto per la Juventus diventa complicato immaginare un recupero. Si tratta di ricostruire e sarà molto difficile per i dirigenti lavorare senza avere nessun tipo di riferimento sul reale valore della rosa a disposizione. Il più grande capo di imputazione che pende su Mister Pirlo, è infatti quello di avere completamente svalutato il patrimonio giocatori, non riuscendo a valorizzare nessuno dei nuovi acquisti e innescando gravi processi involutivi negli elementi già presenti in rosa. In questo momento, dopo un’intera stagione, ad esempio ancora non conosciamo il valore di Kulusevski, non sappiamo quale sia il ruolo di McKennie, non abbiamo ancora capito che tipo di giocatore sia Arthur. Il vero disastro è questo.   

L’ultima inquadratura della serata è dedicata ad Andrea Agnelli e John Elkann, seduti uno accanto all’altro in tribuna. I loro sguardi tradiscono la stessa delusione che accomuna l’intero popolo juventino. Il claudicante tifoso bianconero si alza dalla sua postazione e faticosamente si allontana. E’ stanco, triste, spera fin da subito di non avere mai più a che fare con Pirlo e il suo “calcio liquido”, però trae anche motivo di conforto da quell’ultima immagine colta un attimo prima di allontanarsi. E’ l’immagine della storia della Juventus e di una Famiglia che l’ha sempre condotta con passione e sapienza attraverso i vari momenti, felici e meno felici, della sua infinita storia. E’ l’immagine da cui ripartire. L’immagine di una proprietà forte, che ha a cuore le sorti della società ben oltre il mero interesse economico e che mai la costringerà a ridursi a mendicare prestiti ponte, a tassi di interesse elevatissimi, per portare a termine una stagione. Cosa che, a quanto si racconta, sta invece accadendo da qualche altra parte.