L’attaccante è quel giocatore col compito di trasformare le occasioni che gli capitano in una partita in gol per la squadra. Questo compito, però, si è arricchito negli ultimi anni di una componente altamente richiesta dagli allenatori: riuscire a far giocar bene la squadra. Questo trend si è sviluppato talmente tanto da portare alcuni allenatori a preferire attaccanti che realizzassero meno gol, ma con più qualità tecniche tali da poter aiutare la squadra in fase di uscita con sponde o cambi di campo e che fornissero anche più assist ai compagni in fase offensiva. La logica conseguenza di ciò è il boom che si è registrato nel nuovo millennio di squadre che hanno iniziato a giocare con il “falso nueve”, più abile nell’ultimo passaggio e nella tecnica individuale piuttosto che nella cattiveria sotto porta, come il Barcellona con Messi, il Napoli con Mertens o la stessa Roma con Totti per fare degli esempi. E la caratteristica principale di questo tipo di attaccanti è che non vivono in area di rigore, ma agiscono principalmente al limite di essa. Con questo accorgimento, infatti, si utilizza come attaccante lo spazio creato dai movimenti della punta stessa, non dando punti di riferimento agli avversari e favorendo così gli inserimenti dei centrocampisti prontamente mandati in gol.

Nonostante ciò, è sempre rimasta viva la corrente di pensiero che non può prescindere dall’avere lì davanti un attaccante capace di segnare gol a raffica, trasformando in oro ogni pallone che tocca. Ed è proprio questo il profilo che porta a Mauro Icardi. Grazie alla sua abilità nel prevedere in anticipo dove possa finire il pallone, riesce sempre a guadagnare quel piccolo, ma sufficiente vantaggio sul difensore in aera di rigore che gli permette di concludere senza opposizione verso la porta. E grazie alla sua qualità di cecchino, una volta trovatosi davanti al portiere, raramente fallisce l’obiettivo. Il suo terreno di caccia è puramente l’area di rigore, zona in cui si muove alla perfezione con movimenti e contro movimenti da far vedere e rivedere nelle scuole calcio. Gioca spesso spalle alla porta e con il primo controllo riesce quasi sempre a spostarsi la palla quel tanto che basta da poter calciare verso la rete. Come i grandi attaccanti, infatti, sente la porta, sa sempre dove si trova, non ha bisogno di guardarla.

Maurito è un attaccante che vive per il gol, ne ha bisogno, è nel suo DNA: non si accontenta di mandare in porta i compagni anche se questo, certo, lo gratifica. Ha bisogno di segnare, lo si vede da come si atteggia quando rimane a secco per qualche partita di seguito: testa bassa dopo uno stop sbagliato, qualche rimprovero di troppo ai compagni, qualche corsa in meno per la squadra. Sente che il suo compito non si può limitare a giocare bene e a far giocare bene la squadra: deve segnare. E una volta che ha spedito la palla in rete, questo non diventa più sufficiente: come un leone affamato, vuole ancora mangiare. E ancora. E ancora. E soprattutto è uno di quei giocatori che sembra non cercare mai la palla, ma che per un qualche gioco misterioso, sia proprio lei a finire da lui. Riesce a catalizzare su di sé l’attenzione di tutta la difesa, ma allo stesso tempo riesce a ritagliarsi sempre uno spazio in cui essere da solo, immarcato, pronto a colpire indisturbato. Un giocatore così è l’incubo dei difensori poiché non possono distrarsi un solo secondo senza essere puniti.
Ed è anche la gioia di compagni e tifosi perché sanno che fino all’ultimo secondo possono sperare che quel pallone che è stato buttato in area possa finire in rete.

È l’arte del “nove”, del grande attaccante, che vive per il gol. Ed è per questo che non ci si può non innamorare di Icardi, il professore del “nove” di oggi.