Sono passati anni oramai, ma ancora ricordo in maniera fulgida il mio periodo di apprendistato. Il tutto iniziò dopo un corso molto intenso di economia e finanza aziendale, all’interno del quale ebbi l’occasione di conoscere colui che, di lì a breve, sarebbe diventato il mio principale, nonché mentore. Al tempo vivevo ancora quel periodo dove ambizione e speranza collimano tra loro, si influenzano e, a volte, si ostacolano a vicenda. Un’era che passiamo più o meno tutti, nel corso della nostra esistenza. Dove ci sentiamo in grado di spaccare il mondo, ma non sappiamo mai da dove cominciare. Un periodo stupendo, ma in un certo senso anche pericoloso. Pericoloso perché le energie a disposizione sono tante, così come però sono molte le possibilità di sprecarle. E quando si sprecano, se non si riesce a trovare la carreggiata giusta da percorrere, si rischia di infilarsi in quel sentiero intricato dove i sogni si perdono e non si concretizzano.
Per mia fortuna, così non è stato. Ciò non solo per meriti del sottoscritto, ma anche, e forse soprattutto, per quelli di chi si prese la briga di guidarmi. Per quanto a volte si guardi alle generazioni passate come un qualcosa di arretrato, esse hanno invece dalla loro un tesoro assai prezioso, quello dell’esperienza. Si potrebbe infatti leggere una biblioteca di conoscenze intera, senza mai veramente imparare ciò che l’esperienza è in grado di donare. Per questo i “vecchi” saggi sono persone di poche parole, il più delle volte. Dicono il giusto, eliminando il superfluo. In alcuni casi rasentano il minimalismo informativo, ma questo affinché si possa puntare all’obiettivo, senza troppi fronzoli per la testa. “Non mi serve che tu pensi a dieci cose contemporaneamente. Mi serve che tu ne faccia solo una alla volta, ma fatta bene”. Così mi disse il mio principale, all’inizio del mio percorso di apprendistato, una “scommessa” che decidemmo di giocarci entrambi, in quel giorno di diversi anni fa. Una scommessa che è andata ben oltre ciò che entrambi speravamo di ottenere, sviluppatasi tra momenti di giubilo e di piccole delusioni; pacche sulle spalle e rimbrotti motivati; premi e responsabilità. Un progetto insomma, i cui basamenti solidi poggiano tutt’oggi sull’energia delle nuove leve, la quale viene raffinata e convogliata dall’assennatezza di coloro che le hanno precedute. 

Udire le parole di Ibrahimovic, nella conferenza stampa di presentazione al Milan, mi ha fatto ripensare a tutto ciò. Inutile dire che l’approccio da lui scelto, da come avevo imparato a conoscerlo circa dieci anni fa, mi ha a dir poco sorpreso. Confesso che, sebbene quasi quarantenne, mi aspettavo ancora il leone ruggente di un decennio fa. Uno che parla per slogan, più che concetti razionali. Uno la cui energia sprizza da tutti i pori, al punto che bisogna stargli a debita distanza, se non si vuole finire folgorati. Uno che insomma “io sono il campione e voi non siete nulla”. Tutto questo mi aspettavo e invece, come un vero e proprio fulmine a ciel sereno, ecco che a parlare davanti ai microfoni mi sono trovato un personaggio completamente diverso. Toni pacati, una chiara visione della situazione riguardo sé stesso e riguardo l’attuale clima Milan. Un ragionamento fatto per obiettivi di breve periodo, come si dovrebbe fare sempre quando le cose non girano. E, soprattutto, senso della misura, il che era imprevedibile alla vigilia della conferenza stampa. Ebbene sì, anche Ibra ha sentito gli effetti del tempo, sia sul suo fisico (ben pochi), che sul suo modo di pensare (molti). A dirla tutta, a quel tavolo si faceva fatica a distinguere chi fosse dirigente e chi giocatore. Ed è forse proprio questo di cui aveva bisogno il Milan. Di uno che è stato, e forse è ancora, un campione. Ma soprattutto di uno che ha già capito dove è andato a impegolarsi. Su questo infatti rimangono pochi dubbi: Zlatan Ibrahimovic è l’uomo giusto per il momento del Milan. Unica vera domanda a rimanere ancora senza una chiara risposta è la seguente: Ibra dovrà vestire più le vesti del maestro o più quelle del tiranno?

Per rispondere rapidamente, sia le une che le altre. Da anni infatti il Milan paventa questo fantomatico “progetto giovani”, il quale è però più parso come una chimera, che invece come un qualcosa di solidamente costruito. Questo perché, e mi rifaccio quanto detto in principio di articolo, non esiste progetto giovani che sia efficiente, senza la guida di personaggi esperti. Dove sarei io ora, se non avessi avuto un valido mentore a indicarmi una direzione, a valutare le mie capacità, a raffinare le mie conoscenze e competenze? Se è vero che gli “anziani” dovrebbero avere un po’ più fiducia nelle nuove generazioni, è altrettanto vero che tali nuove leve dovrebbero riscoprire la ricchezza di quelle passate. Il tempo non usura solamente, ma nobilita anche. Il tutto sta nell’atteggiamento, da una parte e dall’altra. Da questo punto di vista, Ibrahimovic potrebbe essere un ottimo maestro. Perché il maestro, quello vero, pretende dall’allievo il massimo che può dare, e non oltre. Kata metron dicevano gli antichi Greci, “secondo misura”. Nulla di più, nulla di meno. Esattamente quello che il maestro pretende da sé stesso. Oltrepassare i propri limiti è infatti azione da folli, non cercare di raggiungerli è da pavidi. E Ibra non è un folle, tanto meno un pavido. Coloro che sapranno seguirlo su questo sentiero, vedasi gli Hernadez, i Bennacer, i Romagnoli, i Krunic, non potranno che fare bene. 

Un vero maestro però, non deve essere di manica larga. Deve saper capire quando l’allievo meriti o meno il suo insegnamento. E, purtroppo, in questo Milan di allievi svogliati ce ne sono diversi. Giocatori che, chi scrive ne è quasi certo, ben presto potrebbero non trovare più posto all’interno della formazione. Una scelta che in realtà dovrebbe spettare all’allenatore, mister Pioli, e non a un giocatore, seppur molto esperto. Ed è qui che Ibra potrebbe tramutarsi nel tiranno, che tutti credono sia. A deciderlo sarà lo stesso Pioli, il quale dovrà valutare con estrema chiarezza le prossime mosse. Lo dovrà fare, al fine che le redini rimangano sempre nella morsa delle sue mani. Se così sarà, il saggio Ibrahimovic sarà suo primo ufficiale sul campo. Se invece ciò non dovesse accadere, è possibile credere che qualcosa potrebbe succedere in tema di gerarchie, sebbene pur sempre nell’intimità dello spogliatoio. Ma di questo, solo il tempo potrà dirci qualcosa in più, nel bene e nel male. Sino ad allora, Ibra dovrà fare quello per cui è sempre stato portato: ispirare coloro che lo seguiranno. E chi lo seguirà, lo farà per scelta. Il vero maestro non è lui a scegliere i propri allievi, ma è lui a essere scelto.

Spero che saranno in molti a scegliere Ibrahimovic come loro maestro, anche se per poco. Nelle sue parole ho visto un uomo che, dal tempo, si è lasciato raffinare. E solo i veri maestri sono disposti a cambiare, a non rimanere mai gli stessi.
Se sapranno seguirlo, forse troveranno finalmente la loro via, quella giusta per loro. A dirlo è uno che ha svestito i panni dell’allievo a tempo pieno, sebbene non si smetta mai di imparare.

Oggi è il sottoscritto a insegnare, sul lavoro e nelle aule, qualche cosina della sua piccola esperienza alle nuove leve. Un onore di cui spero sempre di essere all’altezza. Perché se amo ciò che faccio, se ogni mattina mi alzo col sorriso per un nuovo giorno di lavoro che comincia, lo devo ai miei maestri.