Qualunque locandina prima del match avrebbe raffigurato quei due giganti. Ibrahimovic e Lukaku, leader tecnici in campo di due squadre alla ricerca della vittoria scaccia crisi. I riflettori di uno stadio senza pubblico sono pronti a indugiare su di loro, esaltandone le gesta e stigmatizzando ogni comportamento fuori dalle righe. E così è stato. Ibra si riprende il trono con un gol che ricorda molto quello di ottobre (anche in quel caso aveva di fronte Kolarov), Lukaku batte Tatarusanu su rigore e dice quattro timbri su quattro derby giocati. 

1 a 1. Finisce qui? Nemmeno per sogno. È un derby fuori controllo. Succede di tutto e per non perdere di vista l'obiettivo e restare concentrati serve uno sforzo ulteriore. Come ogni derby che si rispetti, non esiste una favorita. Uno dei protagonisti più attesi lascia la sua squadra in dieci, la stessa che non l'aveva supportato nella debacle interna di qualche giorno fa contro l'Atalanta. L'Inter, ormai a proprio agio con le difficoltà di un gioco fluido e convincente, affronta i suoi fantasmi. È la svolta. 

La teoria dice che la rosa nerazzurra è più profonda e con maggiore qualità. Tradotto, maggiori risorse da cui attingere anche a partita in corso. I rossoneri, forti di un percorso oltre ogni aspettativa, recriminano per alcune assenze importanti e si affidano allo spirito di gruppo. È proprio qui che cambia la partita. Nessuna Ibra - Lukaku dipendenza. Il segreto è il gruppo. Il mercato di gennaio sta permettendo agli uomini di Pioli di inserire forze fresche e tappare lacune in organico, a patto che questo processo venga completato in tempo. L'Inter è pronta. Uomini come Vidal e Sanchez possono fare da subito la differenza e sembrano già inseriti nel meccanismo tattico di Conte.

La forza del gruppo. Mentre Ibra e Lukaku sono impegnati a litigare, Barella e Tomori, con caratteristiche diverse, provano a suonare la carica. Sono i gregari a rispettare gli ordini e a provare ad alzare l'asticella delle prestazioni. Sono loro i simboli della rinascita. A dieci minuti dalla fine, ecco il momento del calciatore simbolo del cambiamento: quel Christian Eriksen osannato solo 12 mesi fa e tuttora oggetto misterioso. Ma il calcio sa darti nuove chance quando sembra tutto finito. La sua punizione è una perla, ma soprattutto un ringraziamento a un gruppo che non ha smesso di volergli bene.

Sorride amaramente Pioli, questa volta non ce l'ha fatta. Resta l'orgoglio, resta un girone di andata fantastico ma ora è tempo di riflessioni. Le recenti sconfitte rossonere sono state considerate delle semplici battute d'arresto, i passi falsi nerazzurri delle vere e proprie cadute. Punti di vista. Cosa resta? Un gruppo di giocatori che festeggia saltellando a centrocampo e uno che deve rimettere insieme i cocci per non compromettere questa seconda parte di stagione. Il segreto sta nel gruppo. Meno idoli più convinzione e voglia di stupire.

Le prossime partite ci diranno quanto ha pesato nella testa e nelle gambe questo sorpasso cittadino. Pioli guarda al futuro con ottimismo dall'alto della classifica, Conte sa che la strada è ancora lunga e che i suoi uomini devono migliorare. Sullo sfondo la Juventus, ancora vero e proprio riferimento in una stagione senza padrone e che ci ha abituati ai colpi di scena.