Bentornati al sedicesimo appuntamento de 'I venti portieri più forti della storia'. Oggi restiamo in Italia, dove troviamo il portiere che aveva un dualismo, per il soprannome che portava, con quel portierone russo che in pochi anni alzò quel pallone d'oro (Jasin), mentre in Italia c'era un portiere che seguiva allo stesso tempo un percorso simile, ma non ebbe la stessa sorte del primo, anche vincendo di più: Fabio Cudicini.

Fabio Cudicini nasce il 20 ottobre 1935 a Trieste. Figlio di Guglielmo, ex difensore degli anni 20 che giocò in Serie A con la maglia della Triestina, e padre di Carlo, ex portiere degli anni 2000 che giocò anche a livello internazionale. Fabio cresce a Trieste e fin da bambino ha la passione per il calcio, trasmessa dal papà; gioca spesso in parrocchia, dove si organizzano tornei tra i bambini del capoluogo friulano, si disimpegna spesso come mezzala o ala, gli piace scorazzare dietro al pallone. Tutta la sua adolescenza la passa tra i campi della parrocchia, fino ai 15 anni quando entra prima nella squadra di quartiere Ponziana, dove per una pura casualità, coincisa con l'infortunio del portiere della squadra, viene messo in porta, e a gran richiesta resta fin quando non venne osservato dai dirigenti dell'Udinese, che lo porta nelle sue giovanili, ma la somma da sborsare non fu poca, 550 fogli da mille (lire), per strapparlo alla squadra di quartiere. Intanto si disimpegna anche nei campi da tennis, altro sport che gli piaceva seguiere, tanto che quando ha 16 anni si classificò terzo alla Coppa Lambertenghi. Al termine del quale dovette decidere quale sport seguire: difficile continuare a fare entrambe, ma per riuscì ancora per qualche tempo a fare entrambe gli sport, con il calcio come scelta primaria. Così appena dopo un anno di Primavera Udinese, e una maglia nazionale di tennis, dove partecipò a Riva del Garda come doppista (era davvero molto forte), ecco che arriva a staccarsi in modo definitivo dal tennis e iniziare a tutti gli effetti la carriera da calciatore. Nel 1956, dopo aver impressionato l'allenatore della Primavera e la società, Cudicini passa in prima squadra a 18 anni compiuti, con l'Udinese che risale dalla Serie B, e con la quale gioca ben 13 partite, alternandosi con il portiere Primo Sentimenti. Però sembrava ancora in discussione la sua carriera calcistica; già perchè Cudicini voleva giocare a calcio, poi sentiva il richiamo del tennis, senza dimenticare che era un appassionato della scuola, quindi anche l'Udinese era appesa ad un filo, con il pericolo che di punto in bianco il portiere potesse dire stop alla sua carriera, preferendo il tennis, e la perdita di tale cifra sborsata sarebbe stato soltanto un grande bluff. Così dopo essersi confrontato con i genitori, alla fine Cudicini sceglie la carriera da calciatore in modo definitivo. Nel 1958 arriva la prima grande chiamata, quella della Roma, dopo un quarto e un nono posto con la maglia friulana, ma non prima di diplomarsi.

Inizialmente fù il secondo portiere dietro Luciano Panetti, per due anni vide il campo spesso dalla panchina. A Roma fu subito ribattezzato 'Pennellone' (persona altissima) per la sua altezza 1,91 centimetri. Divenne titolare nella stagione 1960-1961, esordendo con una maglia verde scura sopra i calzoncini neri, e si porta a casa il Premio Combi, come miglior portiere in Italia, poi conquista subito una Coppa Delle Fiere, nello stesso anno, dove la squadra giallorossa, battendo all'Olimpico di Roma, il Birmingham City 2-0, si portò il titolo a casa. Nel 1964 alzò la Coppa Italia 1964 in finale contro il Torino. In campionato solo tre quinti posti, ma diventa un beniamino dei tifosi giallorossi. Nel 1963 venne chiamato dalla Nazionale B, mentre la Nazionale A non lo convocava mai, continuando a preferirgli Sarti. Cudicini sta bene a Roma, tanto da pensare di chiudere la sua carriera in giallorosso, ma non aveva fatto i conti con un allenatore...

Nella stagione 1964-1965 la società giallorossa decide di affidarsi al tecnico Oronzo Pugliese, che non vedeva di buon occhio il portiere perchè stava troppo sulle sue, non sorrideva mai, e aveva una altezza non conforme con il peso. La prima stagione Cudicini restiste al tecnico, ma la situazione degenera nella stagione seguente, quando il giocatore viene a sapere che è stato ceduto al Brescia per 40 milioni di lire, dai giornali della Capitale. Così Cudicini passa una stagione al Brescia, riuscendo a salvarsi al termine della stagione. A 32 anni, Cudicini pensa che la grande opportunità sia svanita, ma non aveva pensato bene, perchè proprio in quell'estate 1967-1968, viene acquistato dal Milan, grazie all'intuizione del suo concittadino Nereo Rocco, tecnico di quel Milan che decise di strapparlo al Napoli, che sembrava in vantaggio e che alla fine scelse di puntare su Dino Zoff.

Cudicini si trasferisce a Milano, dove si trasforma nel 'ragno nero'. Il suo soprannome era per l'indossare un completo completamente nero, dove le braccia e le gambe sembravano le zampe. Cudicini si scopre a 32 anni un portiere che non solo aveva ancora da dare, ma soprattutto fece mangiare i gomiti alla società Roma, che decise di cederlo. Ecco che al Milan, oltre ad entrare nella storia per le sue gesta, alza i più importanti trofei nazionali e internazionali: Scudetto e Coppa delle Coppe vinta contro l'Amburgo per 2-0. Nella stessa astagione è convocato in Nazionale, dove partecipa all'Europeo 1968, dove però non mette mai piede in campo, restando come vice di Zoff. Nella stagione 1968-1969 vince la Coppa Dei Campioni, dove il Milan stende l'Ajax di Johan Crujiff per 4-1, e l'Intercontinentale dove il Milan s'impone per 3-0 a Milano, perdendo il ritorno 2-1 in casa dell'Estudiantes. Nel 1972 conquista la Coppa Italia contro il Napoli, e sarà il suo ultimo trofeo della carriera. Si ritira al 37 anni, nel 1972.

Dopo il ritiro raccontò di come non prese bene la cessione della Roma al Brescia: "A Roma mi trovavo benissimo ed ero convinto di chiudere la carriera in maglia giallorossa. Invece per la prima volta in vita mia litigai con un allenatore, Oronzo Pugliese, e mi trovai trasferito al Brescia per una manciata di milioni. Il motivo del litigio: avevo una contusione ad un fianco per la quale, anche secondo il medico, avrei dovuto star fermo. Pugliese, però, non si fidava di Matteucci, il secondo portiere, e per sei domeniche mi convinse pregandomi e supplicandomi a giocare in quelle condizioni. Ovviamente così facendo non guarivo mai e rischiavo sempre di fare brutte figure. Alla fine, quindi, mi rifiutai di scendere ancora in campo. Pugliese s’infuriò, considerando il rifiuto, avallato dal medico naturalmente, come un’offesa personale e mi tolse il saluto. Quando guarii non mi fece rientrare. Il bello è che il presidente, che evidentemente aveva fiducia in me, mi aveva incaricato di visionare qualche giovane portiere che avrebbe dovuto sostituirmi a distanza di 2-3 anni. Io avevo consigliato Boranga e Bardin. La conclusione fu che mentre ero in Australia in tournée post-campionato (Pugliese era rimasto in Italia per condurre la campagna-acquisti) ricevetti da mia moglie un telegramma molto significativo che dicevi tutto in due parole: Comperato Pizzaballa. Pochi giorni dopo un giornalista romano al seguito mi disse che ero stato ceduto al Brescia".