Palazzo Venezia 1936
Benito Mussolini riceve Leni Riefenstahl.

- Girerebbe un documentario sulla bonifica delle paludi pontine
Duce mi spiace, sono impegnata con Olympia a Berlino
Allora dica al Fuhrer che credo nella sua missione.

Berlino, estate 1939.
I raggi del sole invadono gli ampi e maestosi saloni della Cancelleria. In uno di questi, due uomini e una donna guardano un plastico adagiato su un immenso tavolo. Riproduce la nuova Berlino.
Che alberi potremmo piantare? - domanda Hitler.
Quelli che ho visto sugli Champs-Elysees - risponde prontamente Leni Riefenstahl - credo siano platani.
Che ne dice Speer? - chiede il Fuhrer ad Albert Speer, architetto e ministro per gli armamenti del Reich.
Per me va bene - dice Speer.
Allora vada per i platani.

Meno di un anno dopo le truppe naziste battevano il passo sullo storico viale, sotto lo sguardo attonito dei parigini. Hitler e Speer sfilavano all’ombra di quei platani che tanto piacevano a Leni.
L’episodio serve a chiarire quale fu il ruolo di questa donna nel sistema di potere del nazismo.
Non era una soubrette. Stava nella stanza dei bottoni e qualcuno lo ha anche pigiato.
Albert Speer si occupava della scenografia dei congressi del partito e delle cerimonie olimpiche che Leni immortalò nel suo documentario. Albert e Leni erano grandi amici. Condividevano la venerazione per Hitler, ma, soprattutto, la ricerca della bellezza. Sia nella realizzazione del film Olympia che nell’allestimento delle cerimonie dei giochi, la bellezza aveva punto di riferimento e fonte d’ispirazione, coniugati in un solo nome: l’Ellade. Già nella fase inaugurale se ne potevano cogliere i primi indizi e anche qualche forzatura.
Come ci racconta Oliver Hilmes, ad esempio, riguardo alla Fiamma Olimpica, nel suo Berlino 1936: “Non era una tradizione dell’Antica Grecia, ma l’invenzione di un funzionario sportivo di Wurzburg. Carl Diem, il segretario generale del Comitato organizzativo, riteneva che il tragitto di oltre 3000 chilometri, che va da Olimpia a Berlino, attraversando Atene, Delfi, Salonicco, Sofia, Belgrado, Budapest, Vienna, Praga e Dresda, gettasse un ponte tra il mondo classico e i tempi moderni”. 
Per Diem, ad ogni modo, il fatto che nei Giochi Olimpici dell’antichità non avesse luogo alcuna staffetta della Fiamma Olimpica era del tutto irrilevante. L’unica cosa che contava era conferire solennità ai Giochi berlinesi.
Thomas Mann, il grande scrittore autore di capolavori come I Buddenbrook e La Montagna incantata, dal suo esilio svizzero seguiva alla radio gli eventi sportivi di Berlino. Scriveva un diario al quale affidava sensazioni e pensieri. Si legge a  proposito della vittoria di Owens: ”Registrazione della cronaca della sensazionale dei 100 metri in cui hanno vinto due negri americani. Delizioso!”.

LE PRIME RIPRESE TELEVISIVE
I giochi Olimpici di Berlino sono stati un grande evento mediatico mondiale che ha oscurato tutti gli altri svoltisi in precedenza. Qualche cifra ci darà un’idea più precisa della grandiosità della manifestazione. 1800 giornalisti da 59 paesi raccontarono le gare. 125 fotografi accreditati che, nel corso dei sedici giorni delle Olimpiadi, scattarono ben 16.000 foto.
Hilmes, nel suo libro, dice che non solo la carta stampata, ma anche la radio ha svolto un ruolo importante. La direzione tecnica centrale – si legge ancora in Berlino 1936 – si trovava nello stadio subito sotto il palco del Fuhrer. Su un pannello lungo più di 20 metri si potevano stabilire, contemporaneamente, 18 linee per l’Europa e 10 Oltremare. 
Erano 42 le stazioni radiofoniche impegnate nelle radiocronache. Alcune venivano inviate direttamente nell’etere, altre si registravano per riprodurle su disco e poi venivano diffuse. Solo le radio tedesche effettuarono 500 radiocronache, 3000 i reportage di quelle straniere.
Ma, all’Olympiastadion, la vera, grande innovazione, in fatto di tecnologia legata ai mezzi di comunicazione, fu la Televisione.
Ovviamente si trattava allora di un medium ancora in fase di sperimentazione. Le riprese, in diretta, avvenivano grazie a una telecamera che aveva le sembianze di un cannone: oltre 2 metri e oltre di lunghezza. L’obiettivo da solo pesava 50 chili e la lente aveva un diametro di 40 centimetri. Le tre telecamere, in servizio allo stadio berlinese, erano state costruite dalla Telefunken. Le dirette erano visibili sugli schermi di oltre 20 sale pubbliche TV di Berlino, Postdam e Lipsia.
L'evento, adeguatamente pubblicizzato, venne  descritto come il "coronamento di un sogno" da parte della propaganda del Terzo Reich; i Giochi di Berlino diventarono quindi il primo evento in assoluto trasmesso in tv. Thomas Mann capisce che la profusione di mezzi e di tecnologie, per quel tempo avanzatissime, è, soprattutto, un’esibizione di forza. Non vuole impressionare gli stranieri – annotava nel suo diario – vuole sopraffarli. In pratica, il messaggio subliminale, sotteso alle risorse tecnologiche dispiegate e messe in mostra con malcelata spavalderia, è, più o meno, il seguente: non sottovalutate e non scherzate con una nazione capace di simili prestazioni ingegneristiche. Il mondo capirà il messaggio, drammaticamente, tre anni dopo.

LA NUOVA ESTETICA DEL CINEMA
E’ stato scritto che le “Olimpiadi tedesche furono il momento in cui dalla preistoria del cinema olimpico, fatta primariamente da dilettanti e sperimentatori, si passò alla storia moderna”.
Piaccia o meno le cose sono andate proprio così. Il giudizio prosegue evidenziando che il puntoessenziale e fondante di questa rottura, valida anche per la storia del cinema in genere, è rappresentato dal film Olympia di Leni Riefenstahl, la regista dell'epoca nazista, scomparsa all'età di 102 anni nel settembre del 2003. Con la sua opera, Riefenstahl codificò e canonizzò un'estetica del linguaggio filmico cui, ancora oggi, ogni documentario e film sportivo, implicitamente e spesso involontariamente, fanno riferimento”. 
Nel 1935, Leni ricevette da Hitler, come abbiamo visto, l’incarico della realizzazione del film ufficiale delle Olimpiadi. C’è da dire, anche, per la verità, che il Fuhrer adempiva a una precisa richiesta del CIO, secondo cui il paese ospitante deve immortalare l’evento su celluloide.
Al di là di questo aspetto, però, è altrettanto vero che il capo del Terzo Reich provasse, per la Riefenstahl, qualcosa di molto più profondo di una semplice amicizia. Un episodio, accaduto qualche tempo prima, aiuterà a comprendere meglio cosa intendiamo dire.
Hitler e Leni, un mattino, si ritrovano a passeggiare sulla spiaggia di Horumersiel, un villaggio di pescatori, nel Mare del Nord. Passeggiano in silenzio. Improvvisamente il Fuhrer la trae a sé. Si guardano negli occhi a lungo. Poi Hitler scioglie l’abbraccio, solleva le braccia al cielo ed esclama: “Come posso amare una donna, se prima non ho compiuto la mia missione?”.

LENI AL LAVORO
Ha già girato tre documentari sui raduni di Norimberga del Partito NazionalSocialista. Hitler li ha trovati eccellenti. Non è difficile capire il perché. La regista, che, oltre all’abilità professionale, era dotata di una buona conoscenza delle debolezze maschili, aveva rappresentato Hitler, nei documentari, come qualcosa di molto simile a un Dio in terra.
Ma, se con le riprese dei raduni si soddisfaceva l’esigenza propagandistica del nuovo regime, con Olympia occorreva una certa cautela. Si dovevano contemperare le finalità di propaganda, ma senza farle notare eccessivamente, con l’esigenza di una narrazione obiettiva...
Il film non era a uso interno. Sarebbe andato all’estero e il CIO, sull’oggettività del documentario non transigeva. Hitler, in quella fase storica, non voleva incidenti diplomatici. Il documentario doveva far percepire al mondo l’immagine di una Germania aperta e pacifica. Allora Leni, che nella sua lunghissima vita, non ha mai perso una mano di poker chiese carta bianca e, soprattutto, chiese e ottenne, nessuna interferenza da parte di Joseph Goebbels, ministro della Propaganda che non la prese affatto bene e da allora la guardò con sospetto.
Ma, anche in questo caso c’era un antefatto che merita di essere raccontato perché ci aiuta a capire perché Leni non desiderava ritrovarsi tra i piedi Goebbels.
"Un giorno venne convocata dal Ministro della Propaganda nel suo ufficio. A un certo punto la spinse contro un muro, cercò di baciarla e di palparla. Leni si salvò schiacciando con la schiena il campanello della servitù.”

UN BUDGET ENORME
2, 8 milioni di Reichsmark!
Una somma immensa, per quei tempi, che la regista volle per realizzare il documentario. Il suo onorario, inizialmente, era stato fissato a 240.000 mila Reichsmark, ma lievitò, in corso d’opera, fino a 400.000.
Per non far apparire direttamente il Governo del Reich come committente e finanziatore dell’opera, si trovò una copertura all’italiana (su certe cose a noi italiani bisogna lasciarci stare ndr). Insomma, si creò una società di copertura Olympiade Film GmbH. Due soli soci: Leni e suo fratello.
Con tutti quei soldi la regista fece ricorso a tutti i mezzi e le risorse immaginabili e reperibili. Cominciò con l’assumere 200 lavoratori, tra cui 45 operatori di cinepresa, i quali, nel corso dei sedici giorni di gare, girarono 400.000 metri di pellicola.
Per aver prospettive, fuori dai soliti cliché, Leni fece costruire torri, binari, in parallelo ai corridori, dove fece scorrere una cinepresa a fionda, progettata da lei, che consentì riprese mai viste prima. Fissò cineprese anche su palloni aerostatici per avere immagini dall’alto. Infine, telecamere subacquee in piscina e, per la prima volta, vengono effettuate riprese in slow motion. Diciamo, in ralentì.
Ma, per capirci ancora meglio, diciamo che effettuò i primi esperimenti con la moviola.

(P.S) Il frame del filmato che accompagna il post è a colori. Un fatto storico allora.

(SEGUE )