Un grande applauso ai bambini. Facciamolo tutti. Affacciamoci alla finestra, usciamo in balcone, andiamo sui tetti e rendiamo omaggio ai nostri bimbi. Stanno vivendo le ore più buie del nostro Paese e lo fanno senza paura, senza afflizioni, senza pretendere niente se non attenzioni e magari una palla con cui giocare in salone e un papà che stia in porta.

Noi abbiamo spiegazioni, cerchiamo informazioni, viviamo appesi ai bollettini della Protezione civile, cerchiamo di fare previsioni. Loro no. Loro stanno facendo il più grande sforzo di fiducia che si possa chiedere a un essere umano, accettando tutto. Hanno perso tutto. Gli amici, lo sport, la scuola. Si sono adattati il più possibile alla didattica on line, molti cercano di barcamenarsi senza niente, rimanendo aggrappati alla scuola come ad un sottile filo rosso che li proietti nel futuro. Assistono ai nostri sbalzi d'umore, alle nostre ansie, alle nostre paure nascoste dietro un sorriso che cerchiamo di rendere meno triste. Forse capiscono, forse no. Forse l’incoscienza è un’enorme, provvidenziale bolla di sapone che li tiene lontani dal grigiore di giorni infiniti e tutti uguali. O forse sono consapevoli di quei nostri sospiri e, come spugne colorate, ne assorbono la pesantezza restituendoci sorrisi e smorfie buffe.

Un applauso, sì.
Un applauso prolungato, di quelli che si tributano a un capolavoro di Dio e che sembra non finiscano mai. E che sia ancor più intenso, che superi i decibel di un tamburo battente per quei figli che a casa non hanno niente.
Sono i figli d’una vita stentata che in quarantena degenera in povertà; sono i figli di un papà che lavorava in nero e che adesso non ha niente; sono i figli di famiglie separate dall’egoismo degli adulti; sono i figli di madri piangenti costrette tra muri che trasudano violenza; sono i figli che han perduto i nonni senza poterli salutare per l’ultima volta; sono i figli dell’autismo, del downismo o di qualche altra disabilità, che sconfiggono ogni giorno con la luce dei loro occhi avidi di contentezza; sono i “figli del mai, piccoli eroi in guerra per un sorriso” e per un pallone con cui giocare in salone.

Un applauso sì, ancora. E tutti in piedi, per quei bambini che passano le ultime ore della giornata affacciati alla finestra o con l’orecchio teso verso il citofono, nell’attesa che mamma o papà faccia ritorno. Sono i figli dei medici, delle infermiere e vigili del fuoco e militari e poliziotte e vigili urbani e volontari, che la mattina volano via a fare il mestiere di angeli.

Un applauso sì, a tutti i bambini. Non chiedono nulla e alla fine della giornata il loro sorriso c'è sempre. Soprattutto quando possono calciare la palla verso un muro che ha due pali e una traversa tenuti uniti da mille puntini immaginifici e quando qualcuno, lì tra quei pali e la traversa alta fino su’ il tetto, il pallone se lo fa passare sotto le gambe per arrendersi all’impertinente “Siuuuu” del CR7di casa.
Meriterebbero ore di applausi, questi figli. Sì.
Però dopo rientriamo in casa, spalanchiamo le braccia e stringiamoli forte.