I Nomi della Rosa 23/24
(La vera storia della Juventus degli Agnelli)

L’INIZIO DI UN VIAGGIO
Nell'anno 1321, nell'abbazia benedettina di un remoto angolo di quella regione che ancora non poteva dirsi Piemonte, e ancor meno Italia, c'era una strana coppia di frati: fra Allegri da Baskerville, un frate domenicano di origini della terra d’Albione, ma vissuto per troppo tempo a Livorno per poter ancora sperare di non averne subito l'influsso nel parlare. E il giovane apprendista: Lapo da Melk, un ragazzotto goffo e sognatore, con una spiccatissima predisposizione a ficcarsi nei guai.
Una volta, per esempio, quando non aveva ancora intrapreso il suo percorso di novizio, aveva organizzato, con alcuni dei suoi scellerati amici di allora, un finto rapimento per ottenere un po’ di soldi dai suoi genitori, ricchissimi. Solo che la valuta in cui era stata fatta pervenire la richiesta di riscatto, cioè in Fiorini e altri piccoli dettagli, come il timbro dell’ufficio postale della missiva fatta recapitare, tramite cui Lapo e i suoi amici chiesero il riscatto, resero molto semplice il ritrovamento.
Fu così che i genitori di Lapo decisero di affidarlo all'ordine dei benedettini affinché si prendessero cura della sua anima e della sua educazione, la quale fu a sua volta affidata alla saggezza e alla Sapienza di Fra Allegri da Baskerville, appunto.

Un caldo pomeriggio, mentre i protagonisti delle nostre vicende, si godevano una passeggiata nel chiostro, Lapo inciampò su una pietra e cadde a terra rovinosamente. La scena non passò inosservata al frate anglotoscano, così come ad altri frati che si trovavano anch’essi lì a pregare e a godere della frescura della vegetazione. Lo spettacolo del capitombolo di frate Lapo portò tutti a ridere, prima in modo contenuto, poi sempre più deciso, fino ad arrivare ad una vera e propria epidemia di ridarella. Fu così che il Venerabile Giuntoli, fece per la prima volta la sua comparsa, notevolmente infastidito, lui che di solito era sempre immerso nelle letture dei testi sacri conservati nella biblioteca dell'abbazia, biblioteca conosciuta in tutto il mondo cristiano occidentale.
Il Venerabile Giuntoli non sopportava di sentire gente che rideva nell'abbazia, egli infatti era convinto che ridere fosse un atto di superbia nei confronti dell'Altissimo che mai si era permesso durante la sua vita di ridere. Il riso era la via che portava all'eresia, e a quel tempo bastava davvero un nonnulla per essere considerati tali ed essere condannati alla purificazione per mezzo del rogo.
A proposito di questa sua teoria, il Venerabile Giuntoli e fra Allegri ebbero più di una contesa sempre comunque arbitrata da fra Remigio, Florentino Perez, il quale conosceva il cuore del Venerabile, e quindi sapeva prevenirne gli accessi d’ira, ai quali spesso indulgeva.

"Ah ah ah! Lapo, tettù hun te la devi prendere a male, ma tettù sei più goffo di un asino che balla la tarantella!", il Signore, Dio onnipotente, sembra abbia trovato anche per te un talento che deve essere messo a frutto! Esclamò fra Allegri, sforzandosi di rialzarsi, in preda quasi alle convulsioni: quello del clown! Ahahahah: Allegri non riusciva proprio a contenersi
Per farlo smettere di ridere, dovettero dirgli che, se non avesse smesso subito, gli avrebbero fatto mangiare un sorcio morto. Minaccia ancor più terribile per fra Allegri sarebbe stata, se lo avessero messo in guardia da ciò che rischiava lasciandosi andare al riso all'interno dell’abbazia. Se a sentirlo fosse stato il Venerabile Giuntoli la sua ira sarebbe stata terribile, come sempre, ma gli altri frati benedettini per gentilezza d'animo, vollero risparmiare a questo frate così gioviale e allegro la cupezza del pensiero del Venerabile Giuntoli sempre in agguato. Allegri, pensando al sorcio morto, un istante dopo aveva già smesso, e per quel giorno nessuno, precauzionalmente, nonostante motivi per ridere non mancassero, sì arrischiò a ridere o anche solo a sorridere.

Lapo, già rosso di pelo, e di carnagione, arrossendo per l'imbarazzo, rispose: "Scusate, frate Allegri, credo di essere stato momentaneamente colto da una qualche stregoneria, dovremmo forse indagare sui riti che si celebrano nelle stanze segrete di questo monastero! Dev’esserci per forza qualcosa: ogni passo che faccio sembra sempre così incerto e periglioso…".
Allegri scosse la testa con una smorfia divertita. "Ma no, amico mio, tettù sei solo ‘n po' impacciato, ma è questo che ti rende simpatiho! La vita sarebbe noiosa senza i tu' pasticci!".

IL CALCIO ARRIVA IN ABBAZIA
Un giorno, mentre curiosava tra i polverosi scaffali della biblioteca dell'abbazia, Lapo scoprì un antico manoscritto che parlava di un gioco misterioso e affascinante chiamato "calcio". Fu rapito dalle parole e dai disegni che spiegavano le regole del giuoco.
In preda all'euforia, Lapo corse subito da frate Allegri per condividere la scoperta.
"Frate Allegri, ho trovato un libro che parla di un gioco misterioso che richiede una palla fatta di stracci o con del cuoio, di 11 giocatori appartenenti ad una squadra, contro altri 11 di un'altra squadra. Entrambe hanno il compito di fare in modo che la palla passi dentro una porta protetta dal portiere. Chi riesce a far entrare la palla nella porta dell'avversario più volte di quante l'avversario l’abbia fatta entrare nella propria vince!
La tua scoperta è molto interessante caro frate Lapo, ma prima di parlarne troppo in giro forse dovremmo chiedere il permesso al frate Remigio, Florentino Perez. Non possiamo sapere che tipo di reazione potrebbero avere i frati, soprattutto quelli più anziani!
Se frate Remigio, Florentino Perez ci permetterà di sperimentare questo gioco potremmo provare a metterlo in pratica, anche se secondo me, se vuoi far arrivare la palla tua dentro la porta dell'avversario, forse è meglio se i giocatori della tua squadra si piazzino tutti davanti alla porta (il famoso schema dell’autobus) per evitare di prendere gol, e poi una volta rubata la palla all'avversario tettù la devi passàlpiùfforte, e lui sa quello che deveffare.
L’è tutto molto semplice. Tettù c’hai la palla? Tettù la passi a quello più bravo, chè lui sa quello che deveffare.

Quasi inconsapevole dell'essere al contempo spettatore e partecipante di qualcosa di più grande di quanto avrebbe mai potuto immaginare, frate Allegri stava cominciando, per mezzo di tattiche e tatticismi difficilmente comprensibili da parte di chi ne era completamente digiuno, a spiegare ad ognuno dei giocatori quale fosse la posizione migliore a seconda che si difendesse o attaccasse l'avversario. Egli, senza rendersene conto, stava inventando quelli che sarebbero stati chiamati, nel corso dei secoli, a venire moduli di gioco.

Frate Allegri! Non me lo sarei mai aspettato da lei, all'apparenza così giocoso e spensierato, che lei sposasse un gioco così poco spettacolare! D'accordo che l'importante è vincere, ma se gli spettatori si addormentano, la volta successiva, che nessuno si lamenti, se poi non viene più nessuno a vederle, partite giocate in codesto modo!
A parlare era frate Guardiola, egli si chiamava così perché per sua stessa predilezione adorava passare il suo tempo in Guardiola, a leggere libri e pergamene su ogni tipo di giuoco basato sullo scatto e la coordinazione motoria, come la pallacorda, che a differenza del giuoco del calcio, a quel tempo pochissimo diffuso, era molto molto più noto e praticato.

Come per ogni novità, anche per provare a giocare a calcio si doveva vincere la normale ritrosia da parte dei frati più anziani. Allegri che aveva grande potere di persuasione, dovette farne e dirne di cotte e di crude per convincere frate Remigio Florentino Perez a sfidare il Venerabile Giuntoli che in fatto di severità non aveva rivali. Al suo cospetto Girolamo Savonarola sarebbe stato considerato poco più di un bimbo giocherellone.
Le regole del gioco erano presto dette: bisognava correre e segnare.
Nel caso in cui non si riuscisse a vincere, anche il pareggio poteva essere ritenuto quasi come una vittoria.
Questi i dettami di fra Allegri, e in piu ribadiva; “rihordatevi che nell'ippica, quando si fanno le gare, vince il cavallo che riesce a mettere il musetto davanti al muso degli altri.
Non c’è bisogno, per vincere, di arrivare primi con un metro di scarto, basta hun musetto, e basta! Ciò che conta è vincere. Di una lunghezza o di hortomuso l’è la stessa hosa!

Per merito dei buoni uffici di fra Remigio, Florentino Perez, ma senza spargere troppo la voce, i due frati si prepararono a sperimentare il gioco del calcio nell'abbazia stessa. Sapevano però, che avrebbero dovuto essere molto discreti, e trattenere l'inevitabile entusiasmo, altrimenti i frati più anziani avrebbero sicuramente disapprovato. Per cui anche dopo un gol non era possibile esultare, Ma al contrario era possibile, piuttosto recitare delle giaculatorie per ottenere l'approvazione dei frati più rigidi.

GIUOCO DEL CALCIO, PASSIONE INARRESTABILE
La passione per il gioco del calcio era ormai inarrestabile. Fu così quindi che Allegri e Lapo riunirono i giovani frati dell'abbazia e formarono una squadra con gli elementi migliori, iscrivendola per partecipare al campionato a cui partecipavano tutte le migliori squadre italiane ed europee. Naturalmente quando si parlava a quel tempo di Europa lo si faceva in termini astratti in quanto un’Europa a quel tempo, ufficialmente, ancora non esisteva
Le partite iniziarono con grande entusiasmo, E furono in tanti a distinguersi per il talento che dimostravano, ma era la comicità involontaria di Lapo ad essere l'elemento della partita più divertente, e destinato ad ogni gara a strappare le migliori risate! Ogni volta che cercava di calciare il pallone, finiva per perdere l'equilibrio e cadere rovinosamente a terra.

"Ah ah ah! Guardate, amici, Lapo è caduto di nuovo! Dovremmo chiamarlo frate gravità!", esclamò uno dei frati, scatenando l'ilarità generale.
Fra Lapo, da non confondersi con l’eugubino fratello lupo al quale Francesco d’Assisi parlò. Lo stesso Francesco che a quel tempo nessuno sapeva bene se ritenere eretico o santo. Lapo era certamente un puro di cuore, ne sapevano ben qualcosa i suoi “amici”, che approfittavano della sua generosità e dabbenaggine in tutti i modi. Quando veniva apostrofato, arrossiva per l'imbarazzo e rispondeva con un sorriso, disarmante per la semplicità e la purezza d'animo che denotava.

Allegri, d'altro canto, pur essendo un frate con grande esperienza e vissuto di livello europeo, non mancava di urlare e di guidare i giocatori come un condottiero in battaglia, a volte strappandosi il saio di dosso per la foga. A volte costringendo l'arbitro a cacciarlo via per via delle continue intemperanze di cui si rendeva protagonista, e che poco si confacevano ad una persona del suo spessore, sia da un punto di vista religioso che umano. Spesso, tra l’altro, proprio per la foga che si impossessava di lui, i suoi ordini finivano per essere contraddittori, confondendo ulteriormente i frati in campo.
"Attacca, fratello! Ferma l'avversario! No, no, aspetta! Retrocedi e difendi! Ma cosa state facendo, ragazzi?! Siete più honfusi di un branco di pecorelle smarrite!", gridava Allegri con fervore salvifico.
Allegri a volte perdeva completamente la testa al punto da essere diventato famoso per questo, e quindi di suscitare anche lui ilarità (come Lapo) tra coloro che venivano ad assistere da tutte le parti d’Europa alla partita, che alla fine si trasformava in una grande baraonda, e più frate Allegri si imbestialiva, più i frati non riuscivano a trattenere le risate. In una spirale di inimmaginabile inconsapevole comicità!

Con il passare del tempo, il calcio divenne una tradizione duratura nell'abbazia. Le partite coinvolgevano non solo i giovani frati, ma anche i più anziani, creando un senso di unione e di spensieratezza che era difficile trovare altrove.

LE ACCUSE DI ERESIA. LA PRIMA CALCIOPOLI
Come spesso capita, quando c'è qualcosa che riesce a fare breccia tra la gente, essa spesso arriva anche a solleticare la bramosia di ricchezza e l'avidità di denaro, personaggi biechi, fintamente interessati alla liceità di ciò che il calcio era, e dei valori che promuoveva, essi volevano in realtà impossessarsene per distruggerlo o per farne strumento di ricchezza personale.
Fu così che Bernardo Gui Ceferin, membro della Santa Inquisizione, famigerato personaggio noto a tutti per la sua spietatezza e nel suo attribuire patenti di eresia o di santità agli altri senza che gli altri potessero in qualche modo scagionarsi, oppure anche solo difendersi da accuse che volavano ad altezza d'uomo, quasi in modo indiscriminato.
Personaggi sospetti su cui Gui Ceferin aveva cominciato a concentrare le proprie attenzioni era proprio frate Remigio Florentino Perez che tanto aveva aiutato Allegri e Lapo all'inizio, incoraggiandoli e cercando di introdurre il calcio nella vita della comunità, affinché questo diventasse un momento in cui la gente, dimenticando le proprie rivalità, si sentisse fratello dell'altro, fosse anche solo per i 90 minuti di durata della partita. A frate Remigio Florentino Perez si contestava la sua precedente appartenenza all'ordine dei Dolciniani capeggiati da frate Dolcino e a cui sembrava che oltre frate Remigio Florentino Perez avesse partecipato anche frate La Porta altro frate illuminato. oltre ai frati appena citati, Bernardo Gui Ceferin provò anche a includere fra i sospettati frate Allegri, per via della sua comunanza di pensiero con Remigio Florentino Perez, ma nessuno riuscì a trovare modo di dimostrare la sua appartenenza precedente all'ordine dei dolciniani, e fu per questo che venne subito scagionato, e si salvò. A differenza di frate Remigio Florentino Perez che venne messo al rogo ma che si salvò grazie ad un vero e proprio intervento divino: un acquazzone quanto mai provvidenziale.
Furono a questo punto considerate anche le posizioni della madre di uno dei giocatori del monastero, un certo Lukaku, che spesso veniva trovata a maneggiare gatti o Galli neri, che erano da tutti riconosciuti come simboli della stregoneria. Oltre alla madre di Lukaku, venne accusata di stregoneria anche la madre di Cassano, ma essa fu subito prosciolta da ogni accusa, in quanto era stata sì sorpresa con in mano un Gallo, ma era intenta a spiumarlo, per mangiarselo, una volta cotto in forno.

LA NASCITA DELLA JUVENTUS DEGLI AGNELLI
Con il passare del tempo, la popolarità delle partite di calcio nell'abbazia cresceva sempre più. Allegri e Lapo si accorsero che il gioco aveva il potenziale per unire non solo i frati dell'abbazia, ma anche le comunità circostanti. Ci voleva qualcuno che dimostrasse di credere in loro e nel loro modo di coinvolgere le popolazioni vicine, e creare un clima di fratellanza. Fu così che si fece avanti Edoardo Agnelli figlio di signorotti, assidui frequentatori dell'abbazia e che si sarebbero volentieri fatti carico di sostenere un'attività così evidentemente vicina ai valori della cristianità.
Lapo, che in queste circostanze non riusciva mai a stare fermo, entusiasta, si mise a saltellare sulla panchina. "Abbiamo bisogno di un nome per la nostra nuova squadra! Che ne dite di chiamarci la 'Juventus degli Agnelli', in onore dell’eterna gioventù del nostro amico e sostenitore Edoardo Agnelli?"
Tutti acconsentirono, e così nacque la Juventus degli Agnelli, una squadra formata da giovani frati e ragazzi del villaggio. Da quel giorno in poi, le partite di calcio divennero ancora più emozionanti e coinvolgenti, con la Juventus degli Agnelli che si scontrava con squadre di altre abbazie e villaggi circostanti.

JUVENTUS: VINCERE CON AUTOIRONIA
La notizia della Juventus degli Agnelli si diffuse rapidamente nelle terre circostanti, attirando sempre più persone agli incontri. Le partite divennero eventi molto attesi, con un pubblico entusiasta e rumoroso che affollava lo stadio improvvisato nell'abbazia.
Lapo, con il suo spirito sognatore e un po' ingenuo, era diventato un idolo per i più giovani, che ammiravano la sua capacità di ridere di sé stesso, di rialzarsi sempre, nonostante le tante cadute e i tanti errori, e di lottare senza arrendersi mai, fino alla fine.

Con il passare dei secoli, la leggenda della Juventus degli Agnelli si diffuse sempre più, giungendo in ogni angolo del pianeta, divenendo una storia tramandata di generazione in generazione. E fu così che una coppia di frati, un po’ eccentrici e un po' comici, trasformò l'abbazia benedettina in un luogo di gioia, risate e calcio, lasciando un'eredità indelebile nel cuore di tutti coloro che avevano avuto la fortuna di conoscere e vivere questa straordinaria avventura.

 

P.S.
I nomi della rosa della Juventus degli Agnelli del 2023 – 2024 sono: Pogba, Vlahovic, Chiesa, Szczesny, Rabiot, Perin, Pinsoglio, Bremer, Danilo, Gatti, De Winter, Cambiaso, De Sciglio, Locatelli, Rovella, Barrenechea, Fagioli, Miretti, Nicolussi Caviglia, Ranocchia, Kostic, Iling Jr, Akè, Weah, Soulè, Kean, Milik, Jorge.