Questione di feeling 
L’esultanza al goal di Biraghi, nella sfida contro la Polonia, sembra aver portato un periodo di serenità in casa azzurri. La quiete dopo la tempesta è dunque giunta. Dubbi e critiche, riguardanti la nostra nazionale, se ne sono sentiti un po’ ovunque ed a ragion veduta. Resta particolarmente difficile stabilire in quanto tempo, allenatore e squadra, riescano a raggiungere il giusto feeling; anche se risulta innegabile come, la storia calcistica recente, ci abbia mostrato la possibile creazione di “feeling immediati” (Sarri - Chelsea).

Il dolce ricordo 
Sembra siano passati secoli da quel 9 Luglio 2006, Italia sul tetto del mondo ed italiani in ogni angolo ad esultare.  Eppure, i dodici anni che intercorrono fra oggi e quella data, narrano un percorso destinato a sfociare in un fallimento calcistico. Perché sì, ammettiamolo, non qualificarci ai Mondiali di Russia 2018 è stato un fallimento! In tutto ciò, interpretare lo stupore di molti italiani alla mancata qualificazione alla fase finale ci rimane difficile, per diversi motivi.

Storia di un fallimento annunciato
Nel lasso di tempo sopra indicato, i buoni percorsi della nazionale si materializzano solo ad Euro 2012 ed Euro 2016. I primi scricchiolii iniziano a sentirsi ad Euro 2008, gli azzurri fuori ai quarti di finale contro la Spagna, con Turchia e Russia in semifinale (non proprio due corazzate). D’accordo, l’eliminazione fu per mano della Spagna che poi vinse l’europeo. Puntando, invece, lo sguardo verso i due Mondiali che non abbiamo ancora analizzato, Mondiale 2010 e 2014, ricordiamo due disastri colmati dal mancato superamento dei gironi; in questo caso trovare alibi è veramente complicato. Quindi? Come si fa ad essere sorpresi?

Attribuzioni di colpe
Un’analisi sensata deve, obbligatoriamente, tenere in considerazione ogni elemento rilevante. Siamo del parere che grosse colpe possano essere attribuite ai vivai italiani, colpevoli di non valorizzare il talento in età infantile. Tuttavia ci rendiamo conto di come non sia possibile escludere dal banco degli imputati presidenti, scout ed allenatori (in misura meno rilevante): troppe volte è stato preferito il calciatore “straniero” a quello italiano. Manca ora un’ultima componente, lasciata alla fine di proposito così da provocare alcune riflessioni nei lettori. I mancati successi dell’Italia sono anche frutto di un blocco assente, stiamo parlando di calciatori nati fra il 1987 ed il 1992. Questi cinque anni, con le dovute eccezioni, non saranno mai ricordati per la nascita di grandi calciatori. La colpa di questo fenomeno non può di sicuro essere attribuita al sistema, ai vivai o ai club, in quei cinque anni i grandi calciatori non sono proprio nati! Ricordate cari lettori che la componente fortuna è sempre presente.