Ieri mattina ho letto l’articolo riguardante i pugni chiusi di Ibrahimovic dopo il rigore sbagliato e poi fatto ripetere sabato contro l’Udinese.
Furio Zara, in quelle righe, descrive Zlatan come un uomo se si crede un supereroe, in realtà lo slavo nato e cresciuto in Svezia si è più volte autodefinito Dio.

Per un agnostico come me, che ha consciamente deciso per la sospensione del giudizio in merito all'esistenza di Dio, in quanto a mio avviso non può essere razionalmente o materialmente verificato fino al passaggio a quella che retoricamente chiamiamo miglior vita, la presenza sul nostro pianeta dell’allenatore in campo del Milan dovrebbe dunque fugare, a sua detta, ogni dubbio che mi attanaglia dai tempi del catechismo.

La Treccani, la più famosa enciclopedia in lingua italiana, definisce Dio «un Dio unico in tre persone», ossia afferma un’unica natura o essenza della divinità, la quale sussiste in tre persone divine: Padre, Figlio (generato dal Padre) e Spirito Santo (che procede dalle altre due persone come da un unico principio). A tutte e tre le persone, ben distinte, competono allo stesso modo tutti gli attributi divini essenziali.
Io mi affido spesso alla Treccani quando non conosco qualcosa, ma cercandovi Dio non ho trovato nulla di esplicito su Zlatan, però, avendo l’umanità duemila anni fa toccato con mano solo il figlio, immagino che il calciatore di sangue balcanico sia l’incarnazione del Padre o dello Spirito Santo.

Ovviamente la mia è una provocazione, probabilmente anche di cattivo gusto che sicuramente starà indisponendo i più credenti. Un argomento serio come Dio non andrebbe avvicinato al calcio neanche per scherzo. Chiedo perdono anche se in tutta sincerità non volevo offendere nessuno e la mia vera intenzione era in realtà di allontanare il più possibile un’entità superiore da un tira calci ad un pallone.

Ibrahimovic, parlando di football, si crede il più forte di tutti, dice di non avere rivali, di essere l’unico in grado di far vincere qualsiasi squadra e di esserci sempre riuscito.
Andando velocemente a sfogliare il suo curriculum su Wikipedia compaiono diverse vittorie di titoli nazionali con quelle che in quel momento erano per distacco le più forti squadre del campionato a cui partecipavano.
Zlatan ha vinto scudetti con Ajax, Juve (poi revocato), Inter, Barcellona, Milan e Paris Saint Germain, mentre in Europa e nel Mondo, sia con i club che con la nazionale, ha vinto zero, e a volte, quando se ne è andato, è arrivata la vittoria per il club da lui lasciato.
Paragonarlo a Messi e Cristiano Ronaldo sarebbe ridicolo, sarebbe come rubare le caramelle dalle mani di un bambino. I due hanno vinto più o meno una decina di Champions League, un Europeo, una Coppa America e un Mondiale. Allora mi sono venuti in mente tre nomi, tre numeri 9 della sua generazione a cui confrontarlo: Eto’o, Lewandowski e Benzema.

Il loro palmares recita:

  • Eto’o 426 goal, 4 campionati nazionali, 3 Champions League, 1 oro alle Olimpiadi e 2 Coppe d’Africa.
  • Lewandowski 643 goal, 11 campionati nazionali (a breve arriverà il 12mo) e 1 Champions League
  • Benzema 460 goal, 8 campionati nazionali e 5 Champions League

Sono sempre stato contrario a giudicare un calciatore dal numero di trofei vinti, anche il criterio con il quale viene annualmente assegnato il Pallone d’Oro non mi è mai piaciuto. Un giocatore è forte, è il più forte a prescindere dalle vittorie del suo club e/o della sua nazionale, però il fuoriclasse, il numero Uno che gioca nella squadra numero Uno non può sempre perdere, e Zlatan ha sempre vinto con i deboli e perso con i forti, quindi numero Uno oggettivamente non lo è MAI stato.
A me ricorda un altro grande talento, un attaccante fantasioso capace di vincere nella sua Francia e nell’Inghilterra che lo adottò calcisticamente: Eric Cantona.
I due non hanno solo in comune, l’estro calcistico, la tecnica, la fisicità, la presunzione di essere i più bravi, hanno anche in comune la passione per le arti marziali sfoggiata durante sedute di allenamento o nel caso estremo del francese addirittura attentando alla vita di un poco educato ma non per questo condannabile a morte tifoso avversario che lo insultò da bordo campo.

Mentre Ibrahimovic continua nei suoi deliri, la stampa sportiva italiana lo glorifica per un rigore segnato dopo averne sbagliato uno trenta secondi prima. Se questo è il calcio che vogliamo in Italia non lamentiamoci dello scarso spettacolo che vediamo ogni domenica e della pochezza a disposizione del Commissario Tecnico Mancini. Non è contando gli inutili e facili goal di un quasi quarantaduenne che torneremo a vincere i Mondiali.
Arrivederci alla prossima autoproclamazione, alla prossima adorazione, al prossimo rigore trasformato, magari dopo essere stato sbagliato.