Anche i marziani smettono. Andrea Pirlo, un altro dei campioni del mondo del 2006, dice basta. Nella notte ha disputato l'ultima partita della sua carriera con il suo New York City contro i Columbus Crew. Le parole per Andrea da Brescia si sprecano. Sei campionati, tre supercoppe italiane, due coppe Italia, due Champions League, due Supercoppe Europee, un Mondiale per Club e infine la gioia più grande, il Mondiale del 2006 in Germania. Calmo, pacato. Spesso imperscrutabile fuori dal campo, ma incredibilmente riconoscibile nel rettangolo verde. La storia del calcio italiano degli ultimi venti anni è legata, inevitabilmente, al piede di Andrea Pirlo. Il più grande cultore della bellezza che l'Italia abbia mai visto. Con la sua corsa lenta e distinta sembrava quasi passeggiasse per il campo, ma quando gli arrivava il pallone tra i piedi dipingeva su tela e scriveva poesie d'amore. Quando questo ragazzo di diciannove anniarrivò all'Inter, Simoni lo paragonò a Gianni Rivera. "E' un pazzo" pensarono tutti. Beh, Gigi.. avevi ragione, eccome. Il Brescia, quell'amore mai nato coi colori nerazzurri dell'Inter, il Milan, Ancelotti e quella straordinaria intuizione di piazzarlo davanti alla difesa nei panni di regista di una sceneggiatura meravigliosa. Poi la Juve, gli ultimi successi da protagonista assoluta. La sagace esperienza di chi sapeva di poter sare ancor tanto ad altissimi livelli. La maglia azzurra cucita sulla pelle, quel rigore a Barthez e le lacrime sulle spalle di Cannavaro prima del rigore di Grosso:"Fabio.. Fabio.." prima di esplodere di gioia. Pirlo è tutto questo. E' la testa in moto perpetuo, quando il gioco è lontano. Uno sguardo a destra, uno al centro, uno a sinistra, per tenere d'occhio compagni e avversari. Per sapere prima di tutti cosa accadrà: non è preveggenza, non è istinto. E' pura e semplice intelligenza. Grazie al Maestro bresciano. Grazie, Andrea Pirlo.