Siamo nella sala della Trattoria San Galdino. Un locale storico della Bassa Padana dove si mangiano i "ravioloni burro e salvia" e nelle stagioni fredde, quando la nebbia stordisce e l'umidità ti entra nelle ossa, puoi consolarti con i bolliti e la cassoeula servita insieme alla regina della tradizione culinaria lombarda: la polenta gialla. Oggi però è una bella giornata di primavera. Il sole tiepido, i ciliegi in fiore e il profumo della prima erba tagliata fanno da anticamera alla stazione di sosta che un tempo accoglieva chi, con il proprio ronzino, desiderava fermarsi a pranzo. A testimoniarlo gli anelli arrugginiti ancora infissi al muro, dove i cavalli venivano imbrigliati. All'ingresso saluto "il Gianni", il proprietario della trattoria, che mi accompagna al tavolo dove tutto è apparecchiato per me e mia zia, la mia compagna di pranzo. Lei è anziana, conosce "il Gianni" dai tempi in cui lavorava in paese come impiegata del Municipio e l'unico telefono era proprio lì, al San Galdino. "Si ricorda, signorina Carla, quando venivo a chiamarla? E' la Prefettura al telefono! Facevo sempre confusione tra la Prefettura e la Pretura! E lei arrivava di corsa…" dice il Gianni con il suo vocione cordiale. Ricordi di altri tempi, quando le persone si aiutavano e "si faceva squadra". Poi arrivò il telefono anche in Municipio, le strade furono illuminate e asfaltate, i cavalli lasciarono il posto alle automobili e le persone diventarono via via sempre più sole. C'è tanta gente, è domenica. Nel brusio della sala, in fondo, mi colpisce il profilo di un uomo anziano che mi sembra di conoscere. Guardo meglio… impossibile! Aspetto che il Gianni passi vicino al nostro tavolo e gli chiedo: "Ma Gianni, quello là in fondo….?" lascio volutamente sospesa la domanda. "Ma sì - grida lui compiaciuto, e io un po' mi imbarazzo perché temo che senta - è il Bearzot! Viene qui spesso, la domenica, con sua moglie. Abita a Milano, gli piace venire da queste parti e fermarsi qui a mangiare!" Ma pensa! Enzo Bearzot a due passi da me, sta mangiando i ravioloni burro e salvia del Gianni! E' anziano, magro magro, ma gli occhi brillano come in quell'estate del 1982.  Passo tutto il pranzo con un occhio a quel tavolo, dove è appoggiata la mitica pipa. Chissà se è la stessa che aveva in mano al Bernabeu, quando l'arbitrò fischiò la fine e Nando Martellini gridò al mondo la sua gioia incontenibile: "Campioni del Mondo, Campioni del Mondo, Campioni del Mondo! L’Italia è per la terza volta Campione del Mondo!". L'istinto sarebbe quello di alzarsi e andare a stringergli la mano. Poi lo guardo, così sereno e felice di gustarsi la quotidianità di quel pranzo nel più totale anonimato, e mi rassegno a starmene lì, seduto a pensare e a ragionare con mia zia di quello straordinario Mondiale che mi introdusse al mondo del calcio.

A un certo punto, lui si alza, prende la pipa, passa accanto al mio tavolo ed esce a fumare. Dico tra me: l'occasione non ti ricapita. Senza troppo pensarci, mi alzo ed esco anch'io: "Mister, posso salutarla?" "Ma certo!" risponde lui con un sorriso schietto e gioviale. "Io ho iniziato a seguire il calcio grazie alle partite della sua Italia. Quel Mondiale, ne abbiamo vinto un altro tre anni fa, ma non è stata la stessa cosa!" I suoi occhi si illuminano e mi dice: "Nessuno se lo aspettava… è stato bello perché avevamo contro tutti i giornali, la critica. Paolo Rossi usciva dallo scandalo scommesse, ma come facevo a rinunciare a uno come lui!" e due sbuffi di fumo accompagnano le sue parole. Inizia così a raccontarmi di quel gruppo di ragazzi che "era soprattutto un gruppo di grandi uomini" che "viveva il calcio come il gioco più bello del mondo". Le sere prima delle partite, Tardelli che non riusciva mai a prender sonno. Era il giocatore che sentiva di più le partite. "La sera prima della finale, alle due di notte erano ancora tutti in camera di Cabrini a parlare di cosa sarebbe stato il giorno dopo. Allora li raggiunsi e dissi: andiamo a letto ragazzi, se no non ci arriviamo nemmeno alla partita!" Mi sembra un sogno. Sto raccogliendo le confidenze del grande Enzo Bearzot! Sembra gli piaccia raccontare, ricordare quei momenti. Forse era un po' che non ne parlava con qualcuno ed è così semplice e piacevole quella conversazione, che mi permetto di insistere e chiedere di Scirea, il giocatore a cui più sono affezionato e per cui piansi, quando se ne andò per sempre in quel tragico incidente in Polonia. "Tutti erano grandi persone, ma Scirea era unico. Un ragazzo d'oro. Ora in tanti dicono che lui era il capitano di quell'Italia campione del Mondo. In realtà era Zoff. Lui fu capitano nel Mondiale 1986, dove uscimmo subito dopo i gironi, contro la Francia" "Mister, ma chi vinse a carte, quella mitica partita in aereo, al ritorno dai Mondiali? Lei e Causio o Zoff e Pertini?" "Vincemmo io e Causio - ride di gusto - perché Pertini sbagliò a scartare un sette di picche e davanti alle telecamere diede anche la colpa a Zoff, che da gran signore non disse niente!" Aveva appena alzato la coppa del Mondo, per Zoff perdere una partita a carte dev'essere stato in quel momento il problema minore.

La pipa ha finito di sbuffare e probabilmente il caffè lo attende al suo tavolo. E' ormai mezz'ora che stiamo ricordando quegli anni epici, quell'impresa fantastica. "E' stato davvero bello poterle parlare, la ringrazio" gli dico con un sorriso. "Sono io che ringrazio lei. E' giovane eppure si ricorda così tante cose. Mi ha fatto davvero piacere". E in quelle parole, pronunciate mentre torniamo ognuno al nostro tavolo, c'è tutta la grandezza di un uomo semplice e concreto, a cui la gloria non ha mai montato la testa e ha regalato ricordi da vertigine. Gli stringo la mano e penso: questa mano ha stretto la Coppa del Mondo!