Ed eccoci giunti al secondo appuntamento con “Histories of talent”, una rubrica che si pone come obiettivo quello di raccontare le storie e le carriere dei grandi talenti e promesse, compiute e incompiute, che hanno calcato i campi della nostra Serie A nel periodo a cavallo tra gli anni novanta e il primo decennio del nuovo millennio. Il primo pezzo, non poteva che essere dedicato ad uno dei più grandi talenti della storia del calcio italiano che ha anche rappresentato il movimento calcistico nostrano fuori dai confini nazionali, con grandissime soddisfazioni come il fantasista sardo Gianfranco Zola.
Il secondo editoriale racconterà la storia e la carriera di uno dei più promettenti numeri dieci della nostra serie A che ha avuto anche la soddisfazione, ma evidentemente con poca fortuna, di giocare anche con le maglie di Milan e Inter
. Un calciatore dalla tecnica sopraffina, dotato di un grande dribbling, elevata visione di gioco, un sinistro fatato e soprattutto un’incredibile precisione nei calci piazzati ma nonostante il suo grande talento, egli è stato sin da sempre definito come un calciatore dal carattere difficile da poter gestire soprattutto quando la fiducia nei suoi confronti veniva a mancare da parte dei suoi allenatori, il “Maradonino” d’Abruzzo, ex trequartista dal piede vellutato: Domenico Morfeo.

Mimmo Morfeo nasce in Abruzzo, a San Benedetto dei Marsi (AQ), nel 1976. Dotato di un talento poco comune rispetto ai ragazzini della sua età, a soli 11 anni verrà notato da uno dei più importanti talent scout d’Italia, nonché grande dirigente del settore giovanile dell’Atalanta, Fermo “Mino Favini” che decise subito di inserirlo in pianta stabile nella squadra primavera degli orobici. Domenico sin da adolescente sembrava essere un calciatore predestinato, uno a cui la Natura aveva deciso di concedere uno straordinario talento, fuori dal comune, in grado di dare del tu anche al più semplice dei palloni da calcio. Oltre al suo enorme talento mostrato sul campo, Morfeo, si fece notare anche per altre caratteristiche, che forse lo condizioneranno sin troppo spesso nel corso della sua carriera fino a farlo precipitare negli abissi più profondi delle promesse incompiute. Domenico era il classico ragazzo in cui a scuola, durante il ricevimento, ai genitori i professori dicevano “il ragazzo è bravo ma può fare sicuramente di più”. Un grande talento mischiato alla mancanza di disciplina, all’irrequietezza e soprattutto ad un ego smisurato, ovviamente per un ragazzino appena adolescente nulla che non gli potesse essere perdonato ma le cose non cambieranno molto anche quando diventerà un uomo. Morfeo però ha sempre mostrato un carattere spigoloso, irruento e alle volte anche troppo irriconoscente nei confronti di chi stava al di sopra di lui, dovuto evidentemente alla grande consapevolezza nei suoi enormi mezzi e soprattutto alla sua precocità per l’essere arrivato fin troppo presto nel calcio che contava davvero. Alle volte, il giovane Mimmo, in campo sembrava deridere gli avversari perché non riuscivano a contenerlo, si illudeva di loro perché lui si sentiva nettamente superiore quando aveva il pallone tra i piedi ma non era tipo da limitarsi soltanto a questo e nella sua battaglia personale contro il mondo intero molto spesso, finivano per rientrarci anche i compagni di squadra e soprattutto alcuni allenatori con cui ne ha frantumato i rapporti.

Pare che la sua personalità fosse così difficile da poter gestire a tal punto che gli orobici pensarono bene di affiancargli, addirittura, uno psicologo per controllare i suoi irrefrenabili istinti tipici di chi vuole spaccare il mondo solo contro tutti, con un piccolo pallone di cuoio a strisce come unica e sola speranza di riuscirci. Un talento così grande con un carattere da ribelle, che in genere non rappresenta il binomio vincente per chi vuole arrivare a competere per qualcosa di veramente importante nell’infinito universo del mondo del calcio. Ma detto ciò per sua fortuna, Mimmo, durante il suo “cammino” ha incontrato dei veri e propri maestri, non solo di calcio, ma soprattutto di vita che nonostante i numerosi tentativi non riusciranno purtroppo a fare di lui il campione che tutti si aspettavano di poter finalmente veder sbocciare. Loro per lui hanno rappresentato dei quasi veri padri adottivi, con essi, infatti, si incontrerà tante volte nel corso della sua carriera soprattutto sempre quando si trovava ad un passo dal baratro e ogni volta che doveva ricominciare daccapo. Con loro conserverà un rapporto privilegiato, che andrà ben al di là dei semplici e limitati confini sportivi e saranno soltanto due: Cesare Prandelli e il grande e compianto Maestro, Emiliano Mondonico.
Prandelli lo incontrerà per la prima volta a 14 anni, quando all’epoca il tecnico di Orzinuovi guidava il settore giovanile nerazzurro. Per mimmo, Prandelli, sarà sempre considerato il migliore allenatore che abbia mai avuto durante la sua carriera, una persona talmente speciale da considerarlo come un secondo padre. Con lui comincerà a ottenere i suoi primi successi da giocatore semiprofessionista, infatti riuscirà a vincere il Torneo di Viareggio, da protagonista, un campionato allievi nazionali e soprattutto il campionato Primavera. Sarà proprio Cesare Prandelli a farlo esordire in serie A, durante una partita di campionato della stagione 1993/94, all’epoca da poco subentrato a Francesco Guidolin, nel corso di un’ Atalanta-Genoa. Morfeo aveva soltanto 17 anni e l’Atalanta andava incontro ad una stagione disastrosa e quindi da qui l’intuizione di affidarsi ad uno dei suoi “pupilli” allenati ai tempi delle giovanili, Mimmo ricambiò subito la fiducia concessagli dal Mister, infatti al termine di quella stagione collezionerà altre 8 presenze, coronate da 3 reti alcune di primissimo livello come la sua prima doppietta in Serie A durante un rocambolesco Atalanta – Lecce, finito con il punteggio rotondo di 3-4 per i pugliesi.

Proprio al Lecce, Morfeo mostrerà due dei suoi indelebili “marchi di fabbrica” che lo accompagneranno nel corso della sua carriera: il primo gol fu un gran tiro a giro di sinistro dal limite dell’area di rigore e il secondo un imprendibile calcio di punizione. I suoi colpi non basteranno alla dea per mantenere la categoria, infatti i bergamaschi verranno retrocessi in B, classificandosi al diciassettesimo posto, ma era piuttosto chiaro comunque che a Bergamo era nata una nuova stella nonché un grande talento del calcio italiano: Domenico Morfeo. In Serie B, Domenico aveva la grossa chance di formarsi definitivamente per mostrare tutto il suo reale valore, anche se il rischio di perdersi, in un campionato cosi ostico, era sicuramente altissimo. Ed è proprio in cadetteria che Morfeo incontra il suo secondo “padre” calcistico per eccellenza, infatti la squadra bergamasca verrà affidata, per tentare una rapida risalita a Emiliano Mondonico, il quale subito intuisce che il giovane Mimmo avesse del talento da vendere ma allo stesso tempo ne scorgerà gli enormi limiti caratteriali oltre a considerarlo troppo giovane per accentrare le speranze di risalita in A sulle sue spalle. Così il tecnico cremonese decise dunque di intervenire con fermezza e, ad inizio stagione, nonostante le grandi aspettative su di lui, lo fa giocare col contagocce, infatti per tutto il girone d’andata disputerà solamente un centinaio di minuti. Morfeo non prese per nulla bene la scelta di Mondonico, ma dopo i primi mugugni, capì la lezione tanto da spingerlo a impegnarsi enormemente negli allenamenti e finalmente i suoi sforzi al girone di ritorno verranno ripagati. Morfeo infatti divenne uno dei perni principali della squadra bergamasca oltre ad essere uno dei protagonisti indiscussi della promozione in serie A.
L’anno successivo (95/96) sarà quello della definitiva consacrazione, Mondonico lo farà giocare da trequartista a ridosso dei due attaccanti e gli lascerà la giusta libertà di spaziare tra le linee, affinché si esprima al massimo delle sue grandi potenzialità. Al ritorno in serie A, non soltanto farà il titolare fisso, ma sarà anche il miglior marcatore della squadra orobica con ben 11 gol realizzati, un record personale che non riuscirà mai più nemmeno a eguagliare, trasformandosi in un vero e proprio assistman per i grandissimi bomber che avrà come compagni di squadra. Quell’anno infatti il suo compagno d’attacco sarà ancora un giovanissimo e acerbo, Christian Vieri, che però giocherà pochissimo per i ripetuti e continui infortunî.

Intanto Morfeo era passato per tutte le nazionali giovanili, e proprio in quell’estate, all’Europeo Under-21 giocato in Spagna nel ‘96, con Cesare Maldini come allenatore, si ritrovava ad alternarsi con grandi futuri campioni del calibro di Alessandro Del Piero e Francesco Totti. Giocò da vero fantasista alle spalle del suo compagno di squadra Christian Vieri ed è proprio in quell’ europeo vinto, con una finale tiratissima prolungatasi fino ai calci di rigore contro le furie rosse, che sarà proprio lui ad assumersi la responsabilità di tirare e segnare l’ultimo rigore che consegnerà di fatto il titolo iridato all’Italia. Da fresco campione d’europa, la stagione immediatamente successiva, 96 – 97, con l’ultima di Mondonico all’Atalanta segnerà poco, solo cinque reti, ma si renderà comunque grande protagonista grazie ai tantissimi preziosi assist che fornirà a Filippo Inzaghi aiutandolo a vincere la classifica di capocannoniere della serie A con 24 marcature realizzate. Il piccolo “maradonino” era ormai diventato grande e a ventun anni arrivò la grande occasione: infatti è lambiziosa Fiorentina di Vittorio Cecchi Gori che se lo aggiudicò dallAtalanta per una cifra di circa 8.5 miliardi di lire. Inizialmente acquistato come vice Rui Costa era relegato ad un ruolo da semplice comprimario a scapito del fantasista portoghese. M
a Alberto Malesani, all’epoca allenatore della Fiorentina, dopo tre sconfitte consecutive decise di cambiare modulo passando dal 3-5-2 al 3-4-3 ed è li che Morfeo troverà il suo spazio diventando un rifinitore, insieme a Luis Airton Oliveira per il grande Gabriel Omar Batistuta.
Dopo 18 presenze di fila da titolare, Morfeo uscirà per un leggero infortunio e sarà costretto a saltare soltanto una partita, ma purtroppo per lui proprio in quella gara esordisce il fantasista brasiliano, acquistato per tredici miliardi e mezzo dal Vasco da Gaga, O Animal, Edmundo, che in quel periodo dimostrerà comunque di essere un grandissimo fuoriclasse. Da lì in poi Morfeo farà solo panchina, giocando appena 62 minuti in 9 partite ed è forse da quel momento in poi, anche se aveva soltanto 21 anni, che cominciò a perdersi il grande talento del fantasista abruzzese. Con l’arrivo di Giovanni Trapattoni intatti, nel 1998, Morfeo non verrà quasi mai utilizzato e farà soltanto cinque presenze ed è per questo motivo che verrà ceduto in prestito al Milan del neo tecnico Alberto Zaccheroni. I rossoneri, reduci dalla disastrosa stagione con Fabio Capello, decisero di affidarsi al tecnico emiliano – che ha condotto l’Udinese fino al terzo posto in classifica – per il difficile compito di riportare la squadra rossonera nelle posizioni che le competono.
Da Udine, Zaccheroni portò con sé qualche suo “fedelissimo”giocatore, come il terzino Thomas Helveg e soprattutto il capocannoniere dei bianconeri Oliver Bierhoff.Il modulo impiegato nel nuovo Milan di Zaccheroni sarà il 3-4-3, di cui il tecnico è un fedelissimo fautore.

Nel frattempo Morfeo arrivato a Milano senza la pretesa di essere considerato un titolare fisso, in realtà avrà ancora meno spazio rispetto a Firenze. I rossoneri infatti trovarono sin da subito l’equilibrio tattico perfetto, con il tridente d’attacco, composto da Leonardo – Bierhoff – Weah, mantenendosi ai primissimi posti della classifica di campionato. Anche quando Zaccheroni deciderà di optare per l’utilizzo di un modulo, 3-4-1-2, che prevedesse l’inserimento di un trequartista, anziché utilizzare Morfeo Il tecnico emiliano gli preferì giocatori con maggiore esperienza come Zvominir Boban. Morfeo giocherà infatti poco o nulla e molto spesso da attaccante esterno, un ruolo a lui non proprio congeniale, ma che comunque per un certo periodo aveva ricoperto anche a Firenze. Solo che Zaccheroni non gli permise di esprimersi con la massima libertà che gli dava Malesani e le sue prestazioni ne risentiranno parecchio: giocherà solo spezzoni di partita e quei pochi attimi saranno, peraltro, molto deludenti e al di sotto delle aspettative. Come se non bastasse, si ripetè, l’incubo brasiliano, infatti questa volta a fargli da diretto concorrente non ci sarà Edmundo ma il campione del mondo Leonardo, che disputerà, tra l’altro, una delle sue migliori stagioni in rossonero, e infatti Mimmo dovrà accontentarsi di sole 11 sporadiche apparizioni. Col Milan riuscirà comunque a togliersi la soddisfazione di vincere il suo unico trofeo della carriera, lo scudetto 1998/1999, ma, per il resto, nulla di memorabile rimane della sua esperienza rossonera, se non il suo, involontario, contributo ad una fondamentale vittoria per il Milan alla prima giornata di ritorno, quando proprio da un suo tiro-cross deviato in porta da Mangone alle spalle di Antonioli, nella partita vinta dal Milan 3 a 2 contro il Bologna, i rossoneri si spianeranno la strada per vincere il campionato.

Il Milan come era prevedibile non eserciterà il riscatto e così “Mimmo” farà ritorno nuovamente a Firenze. Che qualcosa si sia irrimediabilmente rotto nell’animo di Domenico non è difficile capirlo e forse il primo a carpirlo è proprio lui, che vide riaffiorare nuovamente quei demoni che, da giovanissimo, a fatica era riuscito a scacciare: infatti ritornarono all’improvviso quella leziosità, quell’indolenza, quella mancanza di disciplina che, evidentemente, non l’hanno mai abbandonato del tutto. Purtroppo sembrava essersi smarrito e cominciò a serpeggiare nell'aria il pensiero che non fosse affatto il predestinato che tutti si aspettavano ma soltanto un buon giocatore, con molte potenzialità destinate a rimanere tali, insomma uno da squadre di medio bassa classifica. Con questo spirito ripartì in cerca di riscatto, ancora in prestito, questa volta con destinazione Cagliari. Nella squadra allenata da Oscar Tabárez, avrebbe dovuto fare la differenza, ma anche in Sardegna vivrà mesi difficilissimi, fatti di tante panchine e infortuni e durante i quali non riuscirà mai ad incidere veramente finendo ai margini della squadra. Così a Gennaio di quella stessa stagione, nel 2000 è l’Hellas Verona ad aggiudicarselo, ancora una volta in prestito, e a volerlo fortemente con se è un allenatore che ha sempre creduto in lui: Claudio Cesare Prandelli. Gli scaligeri se la passavano persino peggio dei rossoblù infatti, erano ultimi in classifica e con una squadra che stentava a mostrare un gioco decente. A Verona, Morfeo con il suo primo maestro, Prandelli, ritrovo i mezzi e la fiducia che aveva perso negli ultimi anni, dopotutto aveva ancora solo 24 anni. Per Mimmo è un nuovo inizio: tornò improvvisamente a giocare benissimo, come se le ultime stagioni non ci fossero mai state. Il Verona trascinato, letteralmente, da Morfeo (con 5 reti in 10 presenze), risalì incredibilmente la classifica, inanellando ben quindici risultati utili consecutivi, raggiungendo il nono posto finale in campionato e di conseguenza una salvezza a cui nessuno avrebbe mai creduto. Domenico tornerà a sfoggiare tutti i suoi colpi migliori: dalle punizioni, ai tiri millimetrici di sinistro, ai dribbling e agli assist, a Verona diventerà un leader e tutti saranno dalla sua parte

Dopo l’ottimo spezzone veronese, Morfeo fa nuovamente ritorno a Firenze, una trafila che cominciò a logorarlo dal di dentro e nonostante l’ottima esperienza veneta le porte della Fiorentina sembravano ancora chiuse per lui e tra infortuni e panchine nel mercato di Gennaio, ritorna alle origini – ancora in prestito – all’Atalanta. Sotto la guida di Giovanni Vavassori, i bergamaschi disputeranno una grande stagione ben aldilà delle aspettative, tanto da portarsi quasi in zona UEFA. Morfeo si inserì all’interno di un gruppo già ben rodato: un mix di giocatori di esperienza e giovani promesse in rampa di lancio come Cristiano Doni, i gemelli Zenoni e soprattutto Nicola Ventola. Mimmo a Bergamo disputerà, dopo Verona, un altro girone di ritorno incredibile, giocando tutte le 17 partite rimanenti in campionato e mettendo a segno 5 reti, tra giocate illuminanti e assist al bacio. Ma finito il campionato, Morfeo per l’ennesima volta, rientrerà alla base, sperando che finalmente la società viola punti forte su di lui.
E’ l’estate del 2001, la Fiorentina ha appena concluso una stagione altalenante, vincendo comunque la Coppa Italia, e un giovane Roberto Mancini è subentrato in primavera all’allenatore turco Fatih Terim. Ma la data che rimarrà impressa nella memoria dei tifosi viola sarà sicuramente il 26 Giugno di quella stessa caldissima estate. Infatti proprio in quel giorno, i sindaci revisori annunciano un buco di bilancio di circa 316 miliardi di lire
, frutto di una gestione contabile e amministrativa a dir poco disastrosa perpetrata negli anni dalla presidenza di Vittorio Cecchi Gori. Fu Il giorno seguente stesso che il tribunale aprì formalmente l’istanza fallimentare per la società viola. Seguiranno dei mesi durissimi, per potersi anche solo iscrivere al campionato, la società fu costretta a vendere i giocatori più importanti della sua rosa come Rui Costa e Francesco Toldo. Sarà solo il principio del tragico calvario che seguirà successivamente: la Fiorentina iniziò la sua stagione con un organico enormemente indebolito e soprattutto nell’incertezza più totale. Morfeo nelle difficoltà ambientali ritornó in riva all’Arno come uno dei nomi più importanti del mercato estivo e fu chiamato, questa volta, a prendere in mano le redini della squadra dopo tanto peregrinare in giro tra i diversi campi di provincia della serie A. Ma la situazione già complicata, degenererà quasi subito a Firenze, infatti Enrico Chiesa, 5 gol in 5 giornate, si ruppe il crociato e a Settembre è già costretto a finire la stagione; infine il mancato pagamento degli stipendi trasformò la situazione in una bomba a orologeria pronta ad esplodere in qualsiasi momento. L’ambiente è invivibile e la Fiorentina rimase inchiodata al penultimo posto per rimanerci fino alla fine, retrocedendo dopo nove anni di Serie A ad alti livelli e infine l’incubo fallimento.
In questa catastrofe, Morfeo non si distingue, venne addirittura, accusato, dai tifosi inferociti, di fingere continui infortuni per non scendere in campo ogni domenica ad onorare la maglia ed inoltre sarà uno dei sette giocatori a cui verrá consegnata la famosa “maglia della vergogna”: magliette bianche con la scritta “indegno” e la € di Euro al posto del giglio. Rescinderà il contratto, dopo quasi 5 anni, alcuni mesi prima della scadenza e lascerà per sempre l’Artemio Franchi, tra grandi rimpianti e l’odio dei tifosi, che lo considereranno uno degli artefici del fallimento della Fiorentina.

Trovatosi suo malgrado svincolato e dunque senza squadra, accetta di giocarsi le sue carte all’Inter di Moratti che già da tempo si era “appassionato” a lui e alle sue giocate. Arriva dai nerazzurri allenati da Hector Cuper, con l’ambizione di giocarsi una maglia da titolare ma nelle gerarchie di inizio anno, comunque partiva dietro agli altri. All’inizio giocó anche diverse partite, ma, per via del suo impiego da esterno sinistro di centrocampo, non riuscirà ad esprimersi al massimo. La sua stagione sarà molto deludente, finirà a fare molta panchina, e a giocare poche partite in coppa dei campioni. Proprio in Champions, nella partita decisiva per la qualificazione ai quarti di finale contro il Bayer Leverkusen, un episodio, di fatto porrà fine alla sua stagione all’Inter. Litigherà animosamente in campo con Belozoglu Emre per tirare, a tutti i costi, un rigore che addirittura sbaglierà, prima di essere obbligatoriamente sostituito. Dopo quell’episodio non giocherà praticamente quasi mai e apparirà in campionato soltanto per due spezzoni. È probabilmente qui che si colloca il verdetto sulla carriera di Morfeo, a 27 anni e dopo quattro grandi occasioni fallite, fu ovviamente chiaro che il “predestinato” era stato soltanto un grande bluff. Da qui decide di ricominciare per l’ennesima volta infatti quando arrivò a Parma, nell’Estate 2003, Mimmo ha definitivamente perso il treno per il grande calcio e non ha fatto nemmeno una partita in nazionale. La sua situazione è ancora precaria, perché dagli emiliani ci arriva in prestito e in una situazione simile a quella di Firenze per via dei problemi finanziari della famiglia Tanzi.Qui ritrova il suo mentore Prandelli, l’unico ancora disposto a dargli fiducia, e trovata finalmente la condizione fisica e psicologica, Morfeo ritorna il giocatore che incantava a Bergamo.

A Parma vi disputerà cinque stagioni, mettendo in mostra tutto il suo repertorio migliore. Le prime due stagioni con indosso la maglia dei ducali saranno le migliori dopo tanti anni, ritornando a giocare e segnare con continuità. Ma a fine stagione 2003/04, Prandelli lascerà la panchina emiliana e al suo posto tanti si avvicendano, nel corso del tempo, con alterne fortune, Silvio Baldini, Pietro Carmignani, Mario Beretta, Stefano Pioli e Claudio Ranieri. La squadra, dopo l’ottima ultima stagione di Prandelli, quinto posto, entrerà in una fase discendente che la porterà ben presto ad un passo dalla retrocessione per ben due volte (2004/05 e 2006/07), salvandosi incredibilmente in entrambe le occasioni. Morfeo però giocherà sempre bene confermandosi sempre più leader dello spogliatoio. Ogni tanto il suo vecchio carattere da ribelle viene fuori facendogli perdere la bussola, come ad Ascoli, in cui nell’Ottobre 2005, quando, al termine di quella partita venne pure espulso, scagliandosi contro Parola negli spogliatoi dandogli un pugno sullo zigomo. Terminerà la sua avventura al Parma, e anche in serie A, non proprio nel migliori dei modi: infatti durante la sua ultima stagione con i ducali (2007/08), si farà notare più per i furiosi litigi, con il team manager e poi con il mister Domenico Di Carlo che per le giocate sul campo. Scontri che lo costringeranno a stare praticamente fuori rosa mentre i suoi compagni affondavano in Serie B. Infine chiude la sua carriera come peggio non poteva, prima si accorda con il Brescia di Gino Corioni per giocare in serie B, poi subito dopo aver firmato il contratto ci ripensa e annuncia il suo ritiro dal calcio giocato. Ma non finisce qui perché nel Dicembre 2008, torna a giocare in serie C nella Cremonese, neanche a dirlo di Emiliano Mondonico. Ma chiuderà malissimo quell’esperienza, con poche presenze e un’espulsione con tanto di aggressione all’arbitro, durante un match contro il Novara. Così decise di lasciare per sempre il calcio professionistico e chiudere con la squadra del suo paese di nascita a San Benedetto dei Marsi, in seconda categoria, e nel febbraio del 2011, a soli 35 anni, pose fine ad una carriera che, per molti, fu considerata un enorme spreco di talento per quello che poteva essere e che invece non è mai stato.
Ma non per lui che oggi, da imprenditore, vive senza rimpianti, come più volte dichiarato, tra ristoranti e centri commerciali perché nel suo paese resterà per sempre il “maradonino” d’Abruzzo.

Ciccio