Jude, Phil, Jadon, Mason e Declan: no, non stiamo parlando di una nuova boy band in tema Backstreet Boys, sono semplicemente alcuni tra i maggiori esponenti della "new wave" del redivivo calcio inglese. Ragazzini terribili, nativi dell'era digitale, cresciuti col trap e l'ultimate team di FIFA, suonano il calcio più accattivante e futuristico d'Europa; ma a differenza dei Beatles, dei Rolling Stones o degli Oasis non hanno un'orda di "groupies" assatanate al loro seguito, a questi ragazzi "basta"un pallone e un migliaio di followers sui social. Sembra ieri quando strabuzzavamo gli occhi al cospetto del magnifico coro di sua Maestà ai mondiali del 2006: Beckham, Gerrard, Scholes, Lampard, Owen, Rooney, Ferdinand, Terry, Joe Cole, tutti tenori assoluti, qualcuno un po' più rock e vanesio, qualcun altro invece più riservato, altri invece già proiettati nelle barre del trap che sarebbe arrivato in seguito. Ma quella Royal Force eccezionale non esprimeva il giusto sound, era come se si percepisse l'influsso negativo della "Yoko Ono" di turno: così la "golden generation" prediletta non fu mai in grado di portare al cospetto della Regina il Sacro Graal del calcio mondiale, chiudendo di lì a poco ogni concerto con una triste ballata. Nel mezzo ci sono stati tanti tentativi di plagio: Crouch che provava invano la chitarra di Rooney, Henderson che non sapeva dirigere lo spartito di Gerrard, Wilshere che pretendeva di fare il Beckham imbottendosi di tatuaggi alquanto discutibili. Fino ad arrivare ai giorni nostri, fino all'esplosione social del nuovo "brit pop" che viaggia a colpi di rime e bassi trapper ma che spacca come il miglio rock anni '70.

Quando suonano è sempre sold-out. Negli stadi fanno sempre il pienone, manco fossero tutti dei piccoli Mick Jagger danzerini. I ragazzi inglesi li imitano nelle periferie, riportando finalmente il calcio in strada, dove la tecnica è libera dalle catene dei rigidi dogmi delle scuole calcio. Nell'ultimo round di Champions abbiamo assistito ala sfida in pieno stile 8 Mile tra Jude Bellingham, classe 2003 e Phil Foden, il prescelto del vate Guardiola, classe 2001. Se non ci fosse stato il Covid, ieri sera al Signal Iduna Park sarebbero volati reggiseni alla vista di questi due straordinari talenti, capaci di giocare un quarto di finale della massima competizione europea come se fossero due trentenni navigati. Ma il Rinascimento inglese non si ferma solo a Jude e Phil, la band che questi ragazzi stanno allestendo è polisinfonia allo stato puro: non hanno bisogno di fare la trafila nei talent perché sono degli "chosen one" baciati dal talento del dio del calcio.

Gli altri membri della boy band: vocalist e prima chitarra, Jadson Sancho. Con Phil Foden, il mago di Dortmund ha sicuramente in comune il Manchester City: cresciuto in uno dei vivai più interessanti e spendaccioni degli ultimi tempi, l'ex bambino prodigio di Camberwell incanta e delizia la Bundesliga da ormai quattro stagioni, e ogni volta è un successo assicurato. Le hit di Sancho sono sempre in vetta alla classifica, i suoi pezzi migliori sono il dribbling e l'assist visionario, per non parlare degli assoli, con tanto di barré sulla nota più forte. Il ragazzo fa rock ma sa deliziarci anche con poetici e melodiosi ritmi d'amore, per il calcio e per l'arte: disegna pennellate surrealiste, delimita spazi non visibili al comune occhio umano, ti fa innamorare solo sentendo il tocco del suo esterno piede a contatto con la sfera. Non mi dilungo nel descrivere Jadson Sancho, sarebbe come pretendere di raccontare Elton John dopo il film e le migliaia di autobiografie: di lui sappiamo tutto, o quasi, perché le migliori canzoni, le hit che verranno, le tiene ben custodite nei suoi piedi; sta a noi continuare a seguirlo e ad ascoltare la sua musica.

Mason Mount, batterista e volendo, anche bassista. Se Lampard era un direttore d'orchestra, Mason è il nuovo batterista della band, quello che da ritmo e colpi di piattoe tamburo. Riprende le geometrie e la tecnica del mentore, ma reinterpreta lo stile in chiave moderna. Ma sa anche suonare col "basso", perché spesso è dal basso che, con toni profondi e delicati, imposta l'azione è da sicurezza al gruppo. Giocatore di una duttilità pazzesca, sta migliorando tantissimo anche in fase realizzativa, affinando in questa stagione il rapporto fra minuti giocati e marcature. Del gruppo è quello che ha la faccia più pulita, ma sappiamo tutti che dietro quel visino da piccolo lord inglese si nasconde un altro ragazzino terribile.

Declan Rice, quando anche il backstage è importante. Il check dei tecnici è fondamentale per una grande performance sul palco e molto spesso questa categoria viene dimenticata dai fan: lo sa bene il buon Declan Rice, granitico pilastro degli Hammers e della futura nazionale inglese. Pragmatico, affidabile, garantista, è quello che bilancia le roteate dei microfoni dei vocalist Sancho e Foden con una messa a punto dal backstage di altissimo livello. Nonostante sia solo un '99, anche lui sembra essere impossessato dallo spirito di un trasmigrante Denis Irwin. Giocatore pazzesco, diventerà il cocco di sua maestà.

Bukayo Saka, anima trap e sound mesmerizzante. Treccine come il primo Tracy Chapman, ma dentro c'è un'anima gospel, al ritmo del "Kumbaya tone" tanto intonato nei paesi africani. Trap nello stile, sorriso di chi sa di esplodere di salute, sempre positivo, nella vita e in campo. Bukayo Saka è la nuova sensazione in casa Arsenal, un giocatore talmente frizzante che il trasporto dei tifosi diventa indescrivibile ad ogni suo dribbling. Non siamo davanti ad un nuovo Sterling e non è nemmeno l'ennesimo Walcott: lui è semplicemente Bukayo Saka, la parte soul della nuova boy band.

Le altre Hit dello Spotify inglese. Menzione speciale va a tutti gli altri che saliranno sul palco, suonando magari qualche cover prima di prendersi il proprio spazio e avviarsi in una carriera da solista: Mason Greenwood, stellina del Manchester United, Tammy Abraham e il sogno di diventare il nuovo Drogba, Ryan Sessegnon, la freccia Millennial che ricorda il primo Bale, il filantropo Marcus Rashford e infine il rossonero Tomori, che pian piano sta imparando a rappare in italiano con Fedez, sperando che possa rimanere a lungo nel Bel Paese.

E non dimentichiamoci di un certo Dele Alli: ultimamente si è un po' perso, ma stiamo pur sempre parlando di un classe 97 che fino a qualche anno fa veniva osannato come novello Pogba, tanto che Mourinho si scomodò in una dichiarazione che lo lanciò dritto nella stratosfera delle aspettative. Oggi è in fase di resilienza, prepara il nuovo testo e schiarisce la voce un po' rauca, nella speranza di partecipare al Grand Tour di Europei e Mondiali insieme ai suoi compagni.

Una nidiata così non si era mai vista: l'Inghilterra ha un patrimonio calcistico di assoluto valore, figlia di un movimento che ha saputo invertire la rotta dopo la debacle della golden generation, imparando dagli errori del passato e distaccandosi dall'eccessiva ortodossia all'inglese. La musica delle nuove superstar è ormai importata in tutto il mondo e chiunque balla e canta al ritmo di Phil and company. Stavolta, a differenza della generazione dei tenori la cassa di risonanza è internazionale, ha conquistato la Germania e vuole prendersi le hit delle classifiche di mezza Europa, fino ad arrivare al palco Mundial: ma per quella occasione i ragazzini dovranno prepararsi al top e suonare la migliore musica di sempre, senza sentire il latte alle ginocchia. La voce dovrà essere limpida e decisa, ci sarà il sold-out e il pubblico inglese vorrà salire la scala che porta al Paradiso; "Hey Jude, how do you Phil?", sarete pronti a spaccare?

Salvatore Zarrillo