Ho da sempre voluto scrivere un pezzo su Sergio Ramos, lo ammetto. Non ne avevo mai avuto occasione fino ad oggi: lunedì 30 marzo 2020.

Il lunedì, anche in tempo di Covid-19, è solitamente il giorno della scaletta redazionale, ovvero un piano editoriale che scadenza i contenuti dei sette giorni della settimana. I collaboratori propongono temi e la storia ci fornisce ricorrenze e date da tenere a mente. Bene, il 30 marzo 1986 nasceva Sergio Ramos. Ho avvisato tutti, io parlerò di lui, è arrivato il momento di farlo.
Perché Ramos?
Ma dove nasce questa mia passione per il numero 4 del Real Madrid? Perché questa smania di raccontarvi di uno dei calciatori più odiati del panorama calcistico mondiale? 
Prende origine dall’odio, l’odio che si prova nei suoi confronti, perché, parliamoci chiaro, odiamo ciò che ci fa paura. E Ramos fa paura a tutti.
In fondo alla vostra anima, sapete che se la vostra squadra del cuore si stesse giocando la partita della vita contro la squadra di Ramos, il freddo alito della paura vi soffierebbe sul collo in due occasioni ricorrenti: ad ogni corner favorevole agli avversari e ogni maledetta volta che il vostro idolo offensivo si ritroverebbe uno contro uno con lo spagnolo. “El gran Capitan” potrebbe, da un momento all’altro, sbucare da una mischia e incornare violentemente la palla in rete, o fare molto male al malcapitato attaccante.

Un bastardo con gloria
La verità è che Sergio Ramon non è semplicemente uno dei migliori difensori in circolazione, né tantomeno soltanto uno dei migliori del ruolo nella storia del calcio. No. Non è nemmeno solo un grande centrale goleador o il recordman dei cartellini. Sergio Ramos è un bastardo con gloria. Ci sono tante pagine di storia scritte da uomini capaci di costruire i propri imperi attraverso il terrore, lui è uno di quelli. Lo spagnolo ha, da sempre, utilizzato il terrore, alla stregua di un dittatore o di un rivoluzionario, per dominare sul campo e sulla mente degli avversari, per vincere facendo leva sulla paura. L’ultima Champions League alzata al cielo dal Real Madrid porta il suo nome ed è sporca della sua cattiveria agonistica.

Real Madrid vs Liverpool, finale di Champions League 2018
26 maggio 2018. Allo Stadio Olimpico di Kiev va in scena l’ultimo atto della competizione europea per eccellenza. I blancos, doppiamente iridati, devono difendere il titolo dalle ambizioni del Liverpool di Klopp, trainati da un Momo Salah in stato di grazia. Il dio egizio contemporaneo è, al momento, il miglior giocatore del globo e la sensazione è che possa sovvertire lo status quo e far cadere le obsolete divinità galattiche. Ramos lo sa e, consapevole dell’arma di distruzione Reds, decide di disinnescarla a modo suo: non si difenderà, come vorrebbe il ruolo, incuterà terrore e sconquasso attaccando per primo.
Al 25esimo del primo tempo, lo spagnolo si ritrova uno contro uno con l’egiziano, attaccante contro difensore. Logica vuole che Momo attacca e Sergio difende, ma quella è la logica di un calcio idilliaco dove a dominare è la tecnica e non la mente. Nel calcio di Ramos a difendersi dovrebbe pensarci Salah, perché è il difensore a fare il suo gioco. L’egiziano accelera, sta per superarlo, e lo spagnolo lo prende per un braccio, gli blocca l’articolazione, provocandogli una caduta e un movimento anomalo che porteranno ad un sospetta frattura alla spalla. Salah uscirà cinque minuti dopo in lacrime, lasciando i suoi compagni orfani del capopopolo e dell’autorità sulla quale aggrapparsi nei momenti difficili. Il Liverpool perderà, 3 a 1, anche per le papere passate alla storia del portiere Karius, guarda caso colpito nel primo tempo da una gomitata dello spagnolo che lo getterà in un evidente stato confusionale.
I marcatori di quella partita per il Real saranno Benzema e Bale ma, a conti il fatti, senza ombra di dubbio, l’hombre del partido ha un nome e cognome e porta il numero 4.
Quello che vi ho appena raccontato è un episodio che non ha mai esaurito le sue controversie, perché il capitano blanco è stato attaccato aspramente per il suo atteggiamento. Lui non ha fatto una piega, perché ha semplicemente raggiunto il suo scopo (vincere) nel modo in cui sa farlo meglio (attraverso un’applicazione strategica del terrore).

Applicazione strategica del terrore
Applicazione strategica del terrore, l’ho scritto, non lo ritratterò. Nonostante gli aficionados merengues abbiano, nel tempo, difeso il loro capitano, catalogando i due episodi come involontari, non c’è nulla che ci possa far pensare che i gesti di Ramos siano stati frutto del caso e non studiati. La conferma, della severa attuazione di un piano, l’abbiamo ricevuta alle premiazioni UEFA per la stagione 2018/2019.
Sergio Ramos riceve il premio di miglior difensore, scende dal palco, percorre il corridoio che lo riporterà al suo posto e passa accanto a Salah, prima di riaccomodarsi gli tocca la spalla, quella che gli ha rotto qualche mese prima, con un gesto quasi amichevole. Momo è sorpreso, imbarazzato, terrorizzato. L’aguzzino ha rincontrato la sua vittima e non è riuscito a trattenere la smania di dimostragli che nemmeno la giustizia può niente contro il suo potere.

Di che colore è un cartellino?
Un potere che possiamo rintracciare tra le righe delle statistiche riguardanti i cartellini. 
Sergio Ramos è il giocatore che ha collezionato più cartellini (gialli o rossi) nella storia del suo club, nella storia della Liga, nella storia della Champions e nella storia della Nazionale spagnola. Impressionante. Che stronzo potrete pensare. Effettivamente è così, ma uno stronzo pensante e calcolatore.
Se teniamo da parte il numero e il colore dei cartellini e, parallelamente, analizziamo i falli complessivi fatti dal numero 4, in questa o nelle passate stagioni, ci accorgiamo ben presto che in Liga ci sono stati calciatori capaci di farne molti di più. Non potrebbe essere diversamente, qui stiamo parlando del capitano del Real Madrid, ovvero il capitano di una squadra che in percentuale difende meno delle altre e quindi è, conseguentemente, costretta in maniera inferiore ad interrompere il gioco degli avversari, dunque a commettere fallo.
Allora, il colore e il numero dei cartellini di Ramos non è direttamente proporzionale ad un’attitudine “fallosa”, né tantomeno ad un’esigenza tecnica, bensì, ancora una volta, ad una strategia, ad un piano, al terrore.

Il fallo è legge
Quando parliamo del numero 4 blanco, non stiamo parlando del classico difensore centrale ruvido, magari un po’ lento, che ricorre al fallo per arginare la velocità avversaria. No. Lo spagnolo è tecnico, veloce, attento, bravo a posizionarsi. 
Il fallo di Sergio è una legge, quella attraverso cui attuare, e perpetuare, il suo dominio in campo e sulla mente degli avversari. Ancora. Un richiamo alla sua autorità, se qualcuno dovesse dimenticarsela. Quando Ramos interviene su un avversario lo fa per spaventarlo e per far si che quella paura gli rimanga ben stampata dentro, cosicché non possa più cancellarla, né pensare di venir meno al suo controllo.

Un genio del male
Non c’è dubbio che siamo difronte ad un genio del male, ma questo permette di ricollegarci alla sua grandezza. Perché, ditemi, se non un genio del male chi avrebbe potuto permettere ad una squadra iperoffensiva come il Real di sfoggiare un attitudine difensiva equilibrata?
Il Real Madrid campione d’Europa per tre anni consecutivi sfoggiava una formazione titolare che comprendeva come soli giocatori puramente difensivi proprio Sergio Ramos e Varane, poi tutti all’attacco a partire dai terzini, ali aggiunte.
Serviva un maledetto calcolatore, smaliziato e cattivo, per capire che la tattica e la tecnica non sarebbero bastate per arginare le offensive avversarie. Serviva il terrore, serviva instillare negli attaccanti la convinzione, e la paura, che anche se si fossero presentate l’occasioni per far male alle merengues, lì davanti avrebbero dovuto fare i conti con uomo senza alcuna pietà, che dal niente sarebbe potuto sbucare ad interrompere qualsiasi velleità con la violenza. Dunque, avrebbero dovuto tener conto della sua legittimità, pararsi la palla, pensarci bene.

Un animale da prato verde
Un animale da prato verde avrebbe potuto segnare 117 gol facendo il difensore di ruolo, sfruttando l’istinto di selvaggio in aerea e la freddezza del sicario sul dischetto. 
Solo un Hannibal Lecter del calcio avrebbe potuto collezionare 245 cartellini con un scopo ben preciso: vincere un Mondiale, due Europei, quattro Champions, quatto Mondiali per club, quattro Supercoppe Uefa, quattro titoli della Liga, sei coppe di Spagna.
Solo un manipolatore del pallone avrebbe potuto disegnare la sua completa carriera sull’ambizione di controllare il comportamento degli avversari in campo attraverso il terrore, consapevole che questa sua missione lo avrebbe fatto passare per un difensore molto più scarso di quanto in realtà non sia, nonostante il suo talento al di fuori del comune.

Il cardine di tutti i successi ultimi del Real
Uno stronzo certo, ma di potere, capace di attirarsi tutte le attenzioni degli avversari per toglierle al proprio club e ai propri compagni, di essere il cardine di tutti i successi ultimi del Real.
Un cattivone, o, semplicemente Sergio Ramos, quello di cui avete paura, perché come l’uomo nero può arrivare da un momento all’altro e ricordarvi che se in campo c’è lui non è detta l’ultima parola.




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