21 dicembre 2012, partita di regular season NBA tra Golden State Warriors e Charlotte Bobcats: Brian Witt, giornalista che scrive sul sito web dei Warriors, con un tweet fa nascere la leggenda, il mito degli Splash Brothers.

Splash è un suono onomatopeico, un’alterazione espressiva del verbo inglese to plash, che tradotto in italiano significa schizzare, spruzzare, sciabordare.
Gli Splash Brothers sono Stephen Curry e Klay Thompson, le guardie tiratrici più forti degli ultimi dieci anni del basket mondiale, senza ombra di dubbio tra le più forti di sempre, giocatori che schizzano a destra e sinistra del parquet per poi spruzzare palle a go go all’interno della retina.
Il due più forte di sempre, due fenomeni che hanno portato nell’olimpo della pallacanestro la franchigia del Chase Center di San Francisco, ma che senza l’aiuto del gregario, dell’uomo di fatica, del fuoriclasse della difesa, di quello che sta in seconda fila ai saluti finali sul palcoscenico, probabilmente, sicuramente la scorsa notte non avrebbero battuto l’ennesimo record da scrivere nei libri di storia: 20 partite vinte insieme alle NBA Finals.
Il trio meraviglia ha superato un altro l’iconico terzetto, formato da Tim Duncan, Manu Ginobili e Tony Parker, che con i San Antonio Spurs si fermarono a 19. Ora la sfida è agganciare, superare i numeri uno, per prendere il loro posto, per salire sul gradino più alto del podio dei migliori: Magic Johnson, Kareem Abdul-Jabbar e Michael Cooper con i Lakers anni ’80 si sono fermati a 22, l’impresa non è impossibile, la vittoria che consegnerebbe il titolo agli Warriors porterebbe Steph, Klay e Draymond a soli 48 minuti vincenti dal regno dell’immortalità sportiva.
La cosa più bella per quelli come me romantici, è che tutti e tre hanno sempre giocato insieme, nella stessa squadra, sempre e solo con la canotta dei Golden State Warriors.

In anni in cui nello sport nazionale italiano, cioè il calcio, questo non succede quasi più, fa un po’ teneramente sorridere vedere un tale attaccamento alla maglia nel Paese professionistico per antonomasia, in quegli Stati Uniti dove il business, dove i dollaroni vengono prima di tutto, soprattutto prima dei sentimenti, dei tifosi.
In questi giorni circolano notizie insistenti sulla probabile cessione di uno dei gioielli interisti, di uno giovane, magari italiano e interista dalla nascita, uno che ha contribuito negli ultimi tre anni a ridare orgoglio alla Società, ai colori, ai tifosi nerazzurri.
Si parla di Bastoni, di Barella, del non italiano Skriniar ma più interista di tutta quanta la proprietà di viale della liberazione.
Perché privare questo trio di continuare a giocare insieme a San Siro, perché privare loro della possibilità di vincere altri trofei insieme, di battere nuovi record, di magari entrare nell’immortalità dello sport e di farlo dando la speranza, la convinzione a noi che ogni domenica andiamo ad urlare i loro nomi allo stadio, che in questo mondo ci sia ancora qualcosa che non si chiama denaro?
Qualche anno fa il management Warriors stava seriamente pensando di scambiare Thompson con Love ed è intervenuto Curry: Gli Splash Brothers non si toccano!
Ecco, magari potremmo dire tutti insieme ai signori Zhang che Bastoni, Barella e Skriniar non si toccano, che Brozovic ieri sera in nazionale contro la Francia ha dimostrato ancora una volta di essere un top player, che l’Inter non merita di essere trattata come lo Jiangsu, che per vincere titoli occorrono i giocatori forti, che Golden State con gli Splash e Draymond Green ha vinto tre titoli in dieci anni e forse a giorni arriverà il quarto.

Stasera al Forum di Assago c’è gara 4 tra l’Olimpia Milano e la Virtus Bologna… non è la NBA, ma Nicolò Melli è tornato per vincere ancora.
Forza Olimpia Milano, forza Splash Brothers & Draymond Green.