Gli occhi raccontano, gli occhi parlano. Fateci caso.
Sinisa Mihajlovic ha sempre avuto uno sguardo insolito: palpebre semichiuse, fronte pesante, ed una sensazione di tristezza. Tutto giustificato diremmo. Perché se ti chiami Sinisa Mihajlovic, hai vissuto la guerra in Jugoslavia e stai lottando contro la leucemia, è tutto legittimo. E’ come se i tuoi occhi avessero paura di guardare ciò che li circonda. Come se tutto il bagaglio di sofferenza che hai alle spalle fosse già abbastanza.  

Gli occhi di Sinisa conoscono il mondo per la prima volta il 20 febbraio del 1969, in Croazia. La sua infanzia è dura, a causa della guerra che devasta il suo paese, la Serbia. Suo padre morirà a soli 69 anni per via di un brutto tumore ai polmoni. Una tragedia che Sinisa porterà avanti per tutta la vita: “Quando se n’è andato io non c’ero. Ci penso tutti i giorni – dichiarò in un’intervista alla Gazzetta – Vorrei che potesse vedere come sono cresciuti i suoi nipoti. Ma è un sogno impossibile”.

Gli occhi di Sinisa son tornati due anni fa a Vukovar, il suo paese di nascita, dopo ben 25 anni dall’ultima volta. La città era tutta rasa al suolo, il serbo non riusciva neanche ad orientarsi. Erano rimasti solo scheletri di palazzi e delle macchine ammassate per formare delle trincee. Sinisa racconta: “Ricordo lo sguardo di due ragazzini di 10 anni, abbracciavano dei mitra. Penso spesso a quei bambini. Se la guerra non l’ha portati via oggi sono degli uomini. Magari con moglie e figli. Spero che quegli occhi adulti abbiano trovato un po' di luce”.

Gli occhi di Sinisa hanno visto piangere quelli della moglie. Quando, poco più di un anno fa, Arianna è stata costretta ad interrompere una gravidanza. Un altro dolore che non potrà mai essere cancellato per tutto il resto della sua vita. Anche se, a suo dire, ha poi trovato la forza di andare avanti: “Io nel dolore penso che forse abbiamo già avuto tutto come genitori”.

Gli occhi di Sinisa hanno dovuto subire dell’altro. Hanno dovuto affrontare allo specchio il volto di chi è sfigurato dalla malattia, di chi si è visto sbattere in faccia una cartella clinica dal sapore amaro. La sofferenza di Sinisa è impressa negli occhi di tutti, anche i nostri. Avremmo tutti voluto assistere ad un altro tipo di conferenza in quel pomeriggio d’estate. Ma la realtà ci ha rivelato dell’altro. Sinisa continua a lottare per sé stesso e per tutti. Il suo messaggio è chiaro e scandito.

Gli occhi di Sinisa sono gli occhi di tutte le persone malate. L’attenzione mediatica che il calcio, lo sport più popolare al mondo, gli riserva non può che farci sentire parte delle sue emozioni. Non può che insegnare a noi tutti come affrontare certe situazioni. Perché lo sport è una metafora della vita, ma quando la vita sceglie lo sport come mezzo per palesarsi, allora ne siamo testimoni coinvolti. Quando la vita e la malattia decidono di colpire uno sportivo, un invincibile, un intoccabile, capiamo quanto di fronte a certe situazioni diventiamo piccoli ed indifesi. Ma fortunatamente lo sport toglie e lo sport dà: Sinisa ha accanto a sè la forza di tutte le persone che gli hanno voluto bene. Anche del bambino, tifoso della sua Sampdoria, che oggi è ormai cresciuto, ha moglie, figli e spera che i suoi occhi possano finalmente sorridere.

Gli occhi di Sinisa sono quelli di un leone, che non ha mai smesso di lottare per sopravvivere. Lo stesso leone che una volta sconfitta l’ennesima battaglia sarà ancora più forte di prima.