Se si pensa a quella partita, la si può definire semplicemente come La Partita. La vetta più alta mai toccata dal pur gloriosissimo calcio italiano: 28 maggio 2003, Stadio Old Trafford di Manchester (Inghilterra), finale di Uefa Champions League tra Juventus e Milan: prima e finora (chissà per quanto) unica finale tutta italiana nella massima competizione europea. Alcuni la ricordano come un sogno, altri come un incubo: in ogni modo, resta la partita più importante della storia del calcio italiano a livello di club.

DECENNIO DI GLORIA. Il movimento pallonaro nostrano, in realtà, aveva già incominciato la propria lenta fase discendente, seppure in modo del tutto incosciente ed ignaro: si veniva dal decennio definito in modo approssimativo come "Anni Novanta" (tra il 1989 ed il 1999) nel quale le squadre italiane avevano largamente dominato il calcio europeo ad ogni livello.

Una vera e propria Età dell'Oro i cui merita vanno ricercati, sopratutto, nell'input che Berlusconi aveva saputo dare al suo Milan e, di riflesso, a tutto il sistema-calcio del nostro Paese: ai rossoneri "All Stars" si oppovevano il Napoli di Maradona e Careca, l'Inter dei tedeschi e del Fenomeno, la Juventus di Baggio, di Del Piero e di Zidane, la Samp di Mancini e Vialli, il Parma di Zola, Asprilla, Cannavaro e Buffon, la Fiorentina di Batistuta e Rui Costa, la grande Lazio di Cragnotti ed Erikson, la nascente Roma di Sensi e Totti, e chi più ne ha più ne metta. La Serie A era l'NBA del calcio: tutti i migliori giocavano qui, attratti dalla grande competitività e da grandi stipendi.

Nella Coppa dei Campioni (poi Champions League), il Made in Italy aveva prodotto in quella decina d'anni qualcosa come quattro vittorie (tre volte per il Milan nel 1989, 1990 e 1994; una volta per la Juventus nel 1996) e cinque secondi posti (ancora Milan e Juventus, rispettivamente nel 1993, 1995 e 1997, 1998, più la Sampdoria nel 1992): solo due volte in undici edizioni, nella finalissima non era presente una formazione tricolore. 

Ancora più netto l'albo d'oro della Coppa Uefa (ora Europa League), dove il calcio italiano interpretava davvero la parte del padrone incontrastato, vantando qualcosa come otto successi finali (il Napoli nel 1989, la Juventus nel 1990 e nel 1993, l'Inter nel 1991, nel 1994 e nel 1998, il Parma nel 1995 e nel 1999) oltre a sei secondi posti (la Fiorentina nel 1990, la Roma nel 1991, il Torino nel 1992, la Juventus nel 1995, l'Inter nel 1997, la Lazio nel 1998), con ben quattro finali tutte italiane: come già detto, tutto in appena un decennio.

Anche nella Coppa delle Coppe (poi soppressa) le italiane degli Anni Novanta ruggivano senza alcun timore, grazie a tre vittorie (la Sampdoria nel 1990, il Parma nel 1993, la Lazio nell'ultima edizione del 1999) e due medaglie d'argento (ancora Sampdoria nel 1989, ancora Parma nel 1994).

Per capire meglio il senso profondo del dominio italico sul calcio internazionale di quel periodo, si pensi che nel 1990 le tre Coppe europee venivano alzate tutte da club nostrani, mentre nel 1989, nel 1993, nel 1994 due competizioni su tre erano state vinte da un'italiana e, nel mese di maggio di ogni anno, c'erano in pratica un paio di finali che ci vedevano protagonisti. 

IL PUNTO PIU' ALTO. I primissimi Anni Duemila erano stati avari di soddisfazioni ("solo" due semifinali di Coppa Uefa per Milan ed Inter, nel 2002) ma quel 2003 li stava riscattando in pieno: ben tre formazioni italiane si piazzano tra le prime quattro d'Europa, nelle semifinali di Champions League. Il Milan, partito dai preliminari, aveva superato nei gironi il Bayern Monaco, il Borussia Dortmund e il Real Madrid dei Galacticós, poi l'Ajax nei quarti; la Juventus aveva eliminato il Deportivo La Coruna nei gironi ed il Barcellona ai quarti; l’Inter aveva avuto la meglio sul Bayer Leverkusen (finalista l'anno prima) e sul Valencia di Rafa Benítez. 

I sorteggi sanciscono da una parte il derby milanese tra Milan ed Inter, dall'altra la Juventus contro il Real Madrid "galattico": mentre i rossoneri superano i cugini grazie ad un doppio pareggio e grazie alla fictio iuris del gol "in trasferta" di Shevchenko (0-0, 1-1), i bianconeri ribaltano a Torino la sconfitta del Bernabeu (1-2, 3-1).

All'Old Trafford il calcio italiano si autocelebra in maniera definitiva, mostradosi al mondo con le sue figlie più illustri: da una parte l'italiana più titolata a livello internazionale, dall'altra l'italiana dominante in patria per eccellenza (e campione nazionale in carica).

Da una parte Carlo Ancelotti, pronto al primo di una serie lunghissima di acuti, dall'altra Marcello Lippi, già pluridecorato ma ancora voglioso di vincere.

Non c'è Nedved, prossimo al Pallone d'Oro ma squalificato nella semifinale di ritorno: un'assenza mai digerita, a distanza di decenni, per i tanti bianconeri che invocano il mantra del "se c'era Pavel, la Furia Ceca".

Carlo Ancelotti, ancora a secco di vittorie in panchina, non ha dubbi di formazione: si affida alla vecchia guardia con Maldini e Costacurta (sesta finale in carriera per entrambi), Nesta e Kaladze a completare il reparto arretrato, con Pirlo e Seedorf a dirigere in mezzo al campo, Gattuso a ringhiare, Rui Costa ad inventare alle spalle di Inzaghi e Shevchenko.

Dall’altra parte Marcello Lippi ha un solo cambio da fare: senza Nedved, alza ad esterno sinistro di centrocampo Zambrotta, pone Tudor al centro della difesa insieme Ferrara, Thuram a destra e Montero terzino sinistro "bloccato"  per seguire da vicino Shevchenko. Sulla mediana Camoranesi e Davids dettano i tempi con Tacchinardi, mentre Del Piero e Trezeguet accendono l’attacco bianconero. 

UNA STORIA ITALIANA. Il Milan parte meglio, Montero non riesce a contenere Shevchenko: l'ucraino segna, ma l’assistente punisce un fuorigioco dubbio di Rui Costa. Subito dopo Inzaghi si vede negare il gol da uno dei miracoli più incredibili della carriera di Gigi Buffon. La Juventus fatica a costruire qualcosa: Del Piero prova ad innescare Trezeguet  ma un'acrobazia di Nesta dentro l’area piccola impedisce al francese di calciare a rete. 

Nel finale di primo tempo si fa male Tudor: al suo posto entra Birindelli che si mette a destra, con Thuram che scala al centro. Nell’intervallo Conte prende il posto dell’acciaccato Camoranesi. Al minuto 65 si arrende anche Davids: entra l'attaccante Zalayeta, con Del Piero che si piazza dietro le punte.

Nonostante l'emergenza, i bianconeri di Lippi riescono a limitare gli attacchi del Milan e sfiorano anche il gol, col neo-entrato Antonio Conte che colpisce la traversa di testa.

Ancelotti inserisce i brasiliani Roque Junior e Serginho per l’ammonito Costacurta e Pirlo, nonchè Ambrosini al posto di Rui Costa: meno fantasia, più fisicità. 

La partita diventa "brutta" e tipicamente italiana, ossia esasperatamente tattica ed avara di emozioni, secondo una definizione abbastanza frequente nella critica europea: i due allenatori si annullano a vicenda e la paura di perdere comincia ad avere il sopravvento. Al 90' è ancora 0-0, si va ai supplementari.

STILLICIDIO DI EMOZIONI. Nei primi minuti dei supplementari anche Roque Junior si fa male, ma Ancelotti ha già usufruito delle tre sostituzioni consentite: il brasiliano decide di restare stoicamente in campo, finendo il match come ala per non intralciare la manovra. Il Milan è praticamente in 10, ma la Juventus non ha la lucidità per approfittarne: anche al 120' il risultato non cambia, la finale di Champions League si deciderà ai calci di rigore.

E' la prima volta per il Milan, mentre la Juventus nel 1996 aveva trionfato proprio dal dischetto a Roma, contro l'Ajax. 

E' Dida contro Buffon, sotto la curva bianconera. Il portiere brasiliano dimostra di non sentire la pressione alle proprie spalle e respinge il primo rigore battuto da Trezeguet, l'altro brasiliano Serginho segna e porta i Milan in vantaggio. Birindelli non sbaglia, Buffon para il rigore di Seedorf e rimette le cose in parità. Ancora gli estremi difensori sugli scudi: Zalayeta e Kaladze non riescono a segnare. 

Dida respinge anche il tiraccio centrale di Montero e spetta ad un difensore di ben altra classe, Nesta, rompere l’equilibrio portando avanti i rossoneri. E' il momento decisivo: Del Piero spiazza Dida e mantiene la Juve ancora in gara, tocca ad Andrij Shevchenko da Kiev battere l'ultimo calcio di rigore. Se segna, il Milan ha vinto, altrimenti si va a oltranza: come dice il telecronista Piccinini "Sheva contro Buffon, si decide tutto qua".

LA CARTOLINA. L'immagine del trionfo rossonero sta proprio nello sguardo del fuoriclasse ucraino con la maglia numero 7, pochi istanti prima di un momento storico per il club e per il calcio europeo. Shevchenko ha gli Occhi della Tigre, mentre cala il silenzio sui settantamila dell'Old Trafford e sui miliardi di telespettatori: è freddo, lucido, concentrato sull'obiettivo. Guarda l'arbitro, guarda Buffon, prende la rincorsa. Palla a destra, portiere a sinistra: il Milan è Campione d'Europa per la sesta volta.   

I grandi ex Ancelotti ed Inzaghi consumano la loro rivincita personale sulla Juventus, per Seedorf è la terza Champions League con tre club diversi, per Maldini e Costacurta è poker di trionfi: capitan Paolo alza la Coppa nel cielo inglese proprio come il padre Cesare aveva fatto quarant'anni prima a Wembley

Per la Juventus è la terza finale persa consecutiva, la più dura da digerire: Lippi, Del Piero, Ferrara e Tacchinardi erano presenti anche nelle sconfitte del 1997 e del 1998.

Galliani esplode in tribuna, mentre il presidente Berlusconi (nella doppia veste di patron rossonero e Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana) mantiene un certo contegno istituzionale. 

Quel match, oltre alla gioia immensa della Coppa dalle Grandi Orecchie, ha cambiato la storia del Milan: la squadra di Ancelotti avrebbe dominato il calcio europeo per i successivi cinque anni, aprendo un grande ciclo di vittorie, il terzo dell'epopea berlusconiana dopo quelli di Arrigo Sacchi e Fabio Capello. Sarà il Milan dei Meravigliosi, come lo definisce Carlo Pellegatti.

Il prossimo 9 maggio, allo Juventus Stadium, serviranno gli stessi Occhi della Tigre di Sheva per tornare a respirare quell'aria. Aria di Champions, aria da Teatro dei Sogni.