In "Così parlo Zarathustra" (1885), Nietzsche individua tre stadi di soggettività appartenenti allo spirito umano in grado di guidare il soggetto nel percorso della propria esistenza. Il primo stado dello spirito è rappresentato dal cammello come figura in grado di portare il peso delle responsabilità e assolvere un determinato dovere; nella seconda metamorfosi, la funzione prestabilita lascia il posto alla rabbia e alla sfrontatezza del leone, pronto a ruggire dinanzi all'imponderabilità dell'esistenza umana; nel terzo stadio, il filosofo esistenzialista evidenzia il bambino come un ritorno alla messa in discussione del mondo che lo circonda, ad uno sguardo in grado di decostruire e ricollocare i frammenti quotidiani dell'esistenza in un puzzle composto da pezzi non predefiniti secondo una logica interna coerente. Occhi nuovi per ricomporre il mosaico della propria metamorfosi. Nella serata dell'assegnazione del primo trofeo italiano durante la pandemia covid-19, Gianluigi Buffon ha mostrato di aver raggiunto lo spirito di un pargoletto in fasce in grado di trasudare passione dai guanti del mestiere e un'appartenenza e dedizione alla causa bianconera in grado ancora di emozionare qualsiasi tifoso. La fase preparativa della partita omaggia i duellanti con le noti dell'inno di Mameli, la soundtrack del lockdown dei mesi precedenti incontra l'accompagnamento dei giocatori italiani, tra cui Gigi Buffon che, con occhi chiusi e cuore in gola, canta orgogliosamente l'inno della propria patria, proprio come Badoglio durante la disfatta di Caporetto; abbracci, pacche sulle spalle, pollici in alto ai componenti della propria retroguardia e inizia l'ultimo tango della Coppa Italia della stagione 19/20. La cornice di un pubblico virtuale incontra una profondità di campo sonora composta dalle tante voci dei protagonisti nel rettangolo di gioco; con Gattuso si nota un acuto forte contro Callejon, che sbaglia un retro passaggio per Maksimovic, facilitando il recupero di Dybala che manda al tiro Ronaldo, respinto senza troppe difficoltà da Meret; Sarri, quando non mastica i filtri d'ordinanza, s'interfaccia con Alex Sandro esortandolo ad andare e a richiamare Dybala di non pestarsi i piedi con Douglas Costa ("Dughi", chiamato cosi dal tecnico bianconero).
La voce di Gigi Buffon invece riecheggia in tutto lo stadio come gli sciamani delle tribù che interpretano la tradizione orale come un ponte d'acceso ad una dimensione trascendentale nel guidare il proprio popolo, Buffon manovra i suoi compagni avvisandoli della loro posizione ("Solo Mire", riferito a Pjanic nei compiti di distribuzione della palla) esortandoli ad avanzare ("Vai Alex") e raccomandando il da farsi per gestire al meglio determinate situazioni ("Senza fallo Juan", riferito a Cuadrado nel prendere Insigne). Quando poi il fantasista napoletano ha l'occasione di trafiggere Buffon con un colo dei suoi, il porterione quarantaduenne vola alla sua destra, anticipato solo dal palo che rende vano il colpo del capitano del Napoli, ma Buffon decide di essere protagonista, come è sempre stato nella sua carriera, al di là degli elementi materiali che possano togliere al portiere bianconero il ruolo di protagonista in questa serata. Quando poi Demme in percussione decide di arrivare davanti all'estremo difensore della Juventus egli trova una versione sbarbata di Gandalf il Grigio che, esattamente come con il Barlog ne "La compagnia dell'anello"(2001), decide di non far passare il pallone rasoterra diretto in rete. Buffon scatta contro Alex Sandro mimando un atteggiamento troppo superficiale e rinunciatario rispetto alla determinazione del metodista tedesco del Napoli.
Il primo tempo si chiude con gli occhi spiritati del portiere della Juventus, dove il bambino dentro il corpo d'uomo maturo inizia ad indispettirsi per una determinata configurazione di eventi accaduti, in previsione di eventi nefasti in grado di realizzarsi nel proseguo.

Inizia il secondo tempo e prosegue secondo ritmi di calcio estivo, Buffon dalla cabina di regia cerca ancor di più di esortare i suoi, di comandarli , di indirizzare specifici eventi ma egli è un direttore d'orchestra in distonia con i musicisti in campo che con il passare del tempo  perdono sempre di più la lucidità mentale nell'eseguire lo spartito. Esempio di tutto ciò è Bernardeschi che nel tempo di recupero, l'ultimo minuto disponibile, nello spostarsi il pallone sul piede preferito regala in maniera incomprensibile un calcio d'angolo al Napoli, generando la preoccupazione e, allo stesso tempo, l'eccitazione negli occhi di Buffon, segnali d'imminente pericolo. Politano calcia una parabola ad uscire che scavalca Alex Sandro impattando lo stacco imperiale di Maksimovic che trova un balzo felino di Buffon che respinge la sfera lasciandola là, ad un'unghia dalla linea di porta, dove Elmas si precipita per incidere il punto a questa finale ma, là dove non osano gli uomini ci pensa il divino con un palo nel negare al centrocampista del Napoli il gol vittoria. Gigi sorride, sa bene che l'ha scampata di nuovo, da un dieci ad Alex Sandro e al fischio finale si prepara all'ultimo atto della Coppa Italia. I rigori, hanno dato tanto a Gigi Buffon nella finale mondiale del 2006 ma hanno tolto altrettanto nella finale di Manchester del 2003; questa volta i proiettili vanno a segno, il bambino non riesce a tramutarli in coriandoli con i quali avrebbe voluto inondare se stesso e i propri compagni in questa finale, l'ennesima finale. L'epilogo lascia Buffon che applaude gli avversari che alzano il trofeo al cielo, ma gli insegnamenti per la Juventus sono da riscontrare in terra; quella superficie materiale che vede erigere il monumento della juventinità ancora in azione, in grado di dare tutto, di emozionare ed emozionarsi per parate e bestemmie. Se fosse possibile trapiantare quel sentimento d'appartenenza alla causa bianconera in tutta la squadra, almeno metà dell'identità, del sentimento che Buffon ha per la Juventus come comunità e valori, allora si potrebbe pur perdere ma evitando di chinare il capo, annullando atteggiamenti e presunzioni individuali per tutta la durata della partita.
Juve riparti guardando gli occhi di quel bambino quarantaduenne, ricomincia con uno spirito differente, poi arriverà il resto.