Finalmente anche l'anno scolastico 69/70 finì e io potei rientrare in famiglia a godermi le meritate vacanze. Già, perché io studiavo in collegio sin dal 1964, in quanto orfano di papà Brigadiere della GDF, venuto a mancare nel 1961, quando avevo 8 anni.
Frequentando la scuola elementare e poi la Scuola Media, fui indirizzato al collegio di Loreto, in provincia di Ancona, in una bellissima ex caserma della Guardia di Finanza opportunamente destinata all'ospitalità di circa altri 70 bambini e ragazzini, orfani come me, accuditi dalle Suore del Giglio. 

Terminate le scuole dell'obbligo, scelsi di continuare gli studi, sempre assistito dal Corpo militare che - avendo io scelto il corso di Ragioneria - mi trasferì al collegio PIO XI di Roma, al Tuscolano, dove trovai le cure dei preti Salesiani.
Ecco perchè finita la scuola i ragazzi rientravano in famiglia e la mia aveva nel frattempo lasciato la Sicilia, per trasferirsi al Nord; Piacenza e Lainate furono tappe di avvicinamento alla metropoli milanese, dove appunto rientrai all'inizio dell'estate del 1970.
In quei mesi mi ospitava Nino, il maggiore dei miei 4 fratelli, che abitava in corso Garibaldi. Mi trovavo bene là, in quella casa accogliente seppur di ringhiera, con i balconi che si affacciavano sul cortile interno del palazzo; gli abitanti si incontravano a tutte le ore, si salutavano abbracciandosi, anche se si erano già visti un'ora prima. Non erano condomini, ma amici. Amici uniti, solidali, disponibili e sorridenti. 
Una socialità che per comprenderla andrebbe vissuta e che rendeva gradevole la vita anche a chi era più sfortunato.

C'era un altro motivo per cui mi piaceva abitare in Corso Garibaldi: Rita.

Rita era ospite dell'Ostello della Giovane a pochi metri dal civico dove abitavo. Era mora e riccia e aveva due occhi sempre in movimento; appena maggiorenne era andata via da casa, cessando di essere ostaggio di una disgraziata famiglia, dove nessuno si occupava di lei.
Aveva scelto Milano e l'Ostello fu la sua nuova casa; aveva un lavoro a ore come baby sitter per cani e aveva un fidanzato con tanti problemi; quei problemi del suo ragazzo furono per lei una nuova prigione, dalla quale però scelse di non liberarsi mai. 
Mi raccontò che un tentativo di lasciarlo lo fece, ma lui disperato si era tagliato i polsi: quel gesto la legò per sempre e così tra noi non potè esserci altro che stare insieme a parlare, confortarci e ascoltare il mangianastri, con la cassetta dei Pooh che ci inteneriva l'anima  e  scaldava il cuore con "Tanta voglia di lei..." e "Pensiero".

Il Mondiale di calcio nel 1970 si svolse in Messico e probabilmente fu il primo evento a dimensione universale; le tv avevano ormai una diffusione capillare e l'unico freno alla voglia di seguire le partite era il fuso orario, che costringeva ad alzarsi a notte fonda per poterle vedere in "vivo live".

La comitiva italiana, calciatori a parte, era affidata al Presidente Artemio Franchi, al dirigente capo delegazione Walter Mandelli e al Commissario Tecnico Ferruccio Valcareggi; l'Italia si accingeva a partecipare alla "Coppa Jules Rimet" forte di due titoli mondiali e campione d'Europa in carica, avendo vinto il titolo a Roma nel 1968, nella famosa ripetizione della finale con la Jugoslavia.

Per chi non lo sapesse Rimet è il giornalista fondatore della competizione, la cui prima edizione si svolse in Uruguay nel 1930; tra le regole imposte la cadenza quadriennale e l'assegnazione definitiva della coppa alla nazione che avesse vinto per tre volte la competizione. Potenzialmente quindi solo Uruguay, Brasile e Italia, che avevano due precedenti vittorie, avrebbero potuto ambire a tale privilegio in quella edizione.

La squadra dal punto di vista tecnico era composta dal meglio del calcio italiano, sostanzialmente due gruppi di calciatori provenienti da Inter e Milan più la partecipazione di altri ottimi calciatori esponenti dei club che alla fine degli anni sessanta andavano per la maggiore, tra cui il Cagliari del grande Gigi Riva, che ancora oggi detiene il record di segnature nella squadra azzurra.

Dunque l'Italia partiva favorita per la vittoria, parimenti al Brasile del leggendario Pelè, all'Inghilterra dei fratelli Charlton campione in carica e alla sempiterna Germania (Ovest ndr) del goleador più straordinario che i tedeschi ricordino: Gerd Muller.

Siccome l'arte di complicarci la vita da soli nessuno la conosce meglio di noi, il primo problema ce lo creiamo subito prima di cominciare: dopo un malore che ha colpito il centravanti titolare Pietro Anastasi, costretto ad un urgente intervento chirurgico, si rende indispensabile la convocazione di un altro calciatore al suo posto. Sarebbe tutto normale se si seguisse la logica, via UNO entra UNO: troppo semplice: vengono convocati invece altri DUE attaccanti,  Roberto Boninsegna e Pierino Prati.
Perchè questa cervellottica scelta che porta a 23 il numero dei giocatori che partono per il Mondiale, quando se ne potranno iscrivere solo 22? Il fatto è che Valcareggi vuole convocare Boninsegna, il quale sta in luna di miele in giro per il mondo e non è neanche facile rintracciarlo; Prati è il piano B e quindi viene chiamato. Dopo qualche ora, Boninsegna che è stato avvisato, si mette in contatto con Valcareggi, disponibile anch'egli a rispondere alla convocazione. E così, come i fustini di detersivo del celebre spot, si va al due al posto di uno. Chi sarà sacrificato?

La ricostruzione su esposta è quella ufficiale, forse più fumettistica, ma sicuramente indolore; per amore del vero, ne riportiamo un'altra più realistica, ma anche più polemica. In quegli anni il dualismo Rivera/Mazzola era diventato parossistico; i due club di appartenenza venivano da un decennio di trionfi sia in campo nazionale che internazionale; c'era stata la nerissima pagina del 1966 al mondiale in Inghilterra, con la nostra nazionale estromessa dalla Corea del Nord, selezione di calciatori dilettanti, basti sapere che il famoso Pak Do Ik, autore del gol che ci ammazza, nella vita faceva il... dentista.

Il peso della disfatta negli anni a seguire viene per lo più smaltito, se non fosse che un giovane giornalista Gianni Brera, che da sempre alimenta una corrente di pensiero anti riveriana, etichetta il giocatore "abatino", un modo per evidenziarne le carenze di forza fisica e dinamismo e sostanzialmente indicandolo come il maggiore responsabile della disfatta subita dalla Nazionale.

Un altro aspetto importante della rivalità tra Mazzola e Rivera è di origine tattica; Mazzola agli esordi occupava il ruolo di centravanti, che interpretava al meglio in virtù della grande abilità tecnica e di uno scatto in velocità prodigioso; qualche anno dopo invece egli arretra il raggio della propria azione a centrocampo, da dove all'occorrenza, con la sua visione di gioco, risulta incidere maggiormente anche nel gioco e non solo nella finalizzazione.
Sostanzialmente la trasformazione tattica dell'interista rende problematica la coesistenza in squadra con Rivera, abituato per vocazione a dettare la regia del gioco e a proporre assist determinanti per le punte. 

Per vederli insieme in Nazionale, viene chiesto a Mazzola di spostare il suo raggio d'azione sulla fascia, cosa che scontenta l'interessato e il vasto clan interista che lo appoggia, forte di 4 convocati contro i 3 milanisti, tanto più che finirebbe fuori squadra Domenghini, altro interista. Ecco quindi che il saggio Valcareggi, non volendo incidere sui già precari equilibri numerici, decide di convocare un interista e un milanista al posto di Anastasi.

Nel ritiro di Toluca in Messico l'Italia sta rifinendo la preparazione in vista dell'esordio contro la temuta Svezia; la tensione è altissima perchè a quella per l'esordio, si aggiunge l'attesa di conoscere chi sarà il 23° uomo, colui che sarà estromesso dalla Coppa Rimet, per una decisione profondamente ingiusta.

Giovannino Lodetti i "polmoni" di Rivera di cui è compagno di squadra al Milan, se lo sente dentro che il predestinato sia lui sin da quando il caso è nato; forse perchè è uno "buono" che non ha mai fatto una polemica, forse perchè paga il suo cameratismo con Rivera. Di sicuro non è una scelta tecnica, visto che lui è centrocampista e l'esubero dovrebbe riguardare gli attaccanti...
Lodetti riceve conferma dei suoi timori; si cerca di attenuare il veleno della notizia con la offerta di poter restare in Messico, esattamente alla stregua degli altri, anzi se lui vuole, potrà anche far arrivare la sua famiglia a spese della Federazione. Giovannino è uno buono, ma non un fesso e anche Uomo vero: saluta tutti e prende l'aereo per l'Italia; ancora non sa che ad attenderlo  ci sarà un'altra brutta delusione: il suo Milan lo ha ceduto alla Sampdoria.

Il caso Lodetti esplode in tutta la sua violenza nello spogliatoio della Nazionale, dove Valcareggi sta provando la squadra che scenderà in campo all'esordio e Rivera non è stato schierato con i titolari; due indizi per il Golden Boy sono la conferma che è stato fatto fuori. La sua conferenza stampa è di quelle che mandano a ruba i giornali, ma il suo capro espiatorio è Mandelli e nessun altro; non si lamenta né del clan interista né del rivale Mazzola che verrà schierato al suo posto. Mandelli lo ha fatto fuori, Mandelli sta dalla parte degli interisti, l'allontanamento di Lodetti è stato suggerito da Mandelli per colpire lui e via dicendo.

Nonostante la palese indisciplina, Rivera non viene sanzionato; anzi si ritiene opportuno tranquillizzarlo, facendo arrivare il suo padre putativo e allenatore, Nereo Rocco, sperando che la polemica si esaurisca da sola.

Mille difficoltà, mille spaccature, mille polemiche: la Nazionale è pronta.

Si può scendere in campo.




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