E' dagli anni sessanta che si continua a scrivere e dissertare sulle effettive possibilità dei nostri giovani e degli italiani di giocare nel nostro campionato. Allora, negli anni settanta, ci fu la rivoluzione negativa. Nessuno straniero, in forza di un provvedimento della nostra FIGC, doveva più venire a giocare nel nostro campionato, fatti salvi i già residenti, che giustamente non si potevano mandare via. I tempi erano diversi, e non c'era ancora la Comunità Economica Europea, con le sue regole sulla circolazione dei cittadini nell'ambito del nostro continente, salvaguardando i diritti di ogni lavoratore, per poi arrivare alla sentenza Bosman, un vero caposaldo del diritto sportivo, che non solo ha sancito la libertà di circolazione, ma anche la totale indipendenza del lavoratore, o meglio professionista, dalle decisioni fino ad allora unilaterali da parte delle società calcistiche, che ritenevano i calciatori delle proprietà, come cespiti di immobili, o proprietà intellettuali, i quali non potevano contrattare la propria autonomia e le proprie prestazioni nella libera scelta di una vita sportiva indipendente e in contrasto a quelle che sono le regole che sono applicabili a qualsiasi professionista, come avvocati, ingegneri, ecc.
Da allora sono nati, o meglio hanno preso forza i soggetti oggi più attivi nelle varie compravendite e nelle stipule dei contratti, i procuratori. Ma tornando indietro negli anni settanta, ci fu proprio un'involuzione tecnica e di gioco del nostro calcio, poichè il livello tecnico e spettacolare si era abbassato notevolmente. Si pensi che c'erano giornate di campionato dove si segnava pochissimo, e lo zero a zero era il risultato più frequente. La mancanza di campioni stranieri, aveva abbassato lo spettacolo e non avevano neanche aiutato la nostra Nazionale, che sì, era arrivata seconda al mondiale del 1970, ma che in quella squadra schierava giocatori cresciuti all'ombra di fuoriclasse stranieri arrivati precedentemente, per fare nomi, Dino Sani, Altafini, Sivori, Liedholm. Avevamo anche dei fuoriclasse nostrani, ed i vari Mazzola, Rivera e Riva, erano sicuramente campioni di cui avremmo abbondantemente bisogno oggi. Si deve anche pensare che le rose delle squadre erano molto ridotte, e con le sostituzioni di massimo un giocatore (inizialmente solo il portiere), la possibilità di avere rose ampie era impossibile. Al massimo si poteva fare ricorso alle squadre secondarie, come le partecipanti al campionato De Martino, senza limiti di età, o delle Primavere, giovanili vere e proprie. Ma le possibilità di salto in prima squadra erano scarse. Infatti c'erano molti giovani che venivano cresciuti e mandati a farsi le "ossa", con ritorni a volte difficili, ed alcuni si perdevano in campionati minori, dove giocavano sicuramente, mentre tornando alla casa madre, avrebbero trovato un ambiente chiuso e poco appetibile. Solo alcuni rari campioni potevano avere la possibilità di farsi valere anche in prima squadra. Mi ricordo giocatori come Causio, in prestito al Lecce, ma poi esploso in prima squadra, la Juventus, e sempre alla Juventus, i vari Furino, con presenze nel Palermo e nel Savona, o Bettega, un anno passato a Catania. Ma furono giocatori che ancora oggi possiamo considerare tra i più forti del nostro campionato.
Le annate erano strane, rispetto ad oggi, c'era un giocatore che poteva essere la buona riserva di tutti i giocatori di movimento, e chi entrava in campo, spesso si presentava con piccoli infortuni, curati al meglio, e acciacchi che si trascinavano fino a fine campionato. Insomma una rosa ideale di quei tempi contava non più di quattordici, quindici giocatori, per il resto si pescava nelle giovanili. I tempi oggi sono notevolmente cambiati, siamo nella globalizzazone dei mercati, e tra questi anche del lavoro. Chi è comunitario, può liberamente giocare in ogni squadra europea, senza limiti di numero. Rimangono le restrizioni sui giocatori provenienti da realtà extracomunitarie, ma in alcuni casi, vengono fatti crescere nelle giovanili, e quindi dopo qualche anno possono ritenersi fuori da ogni norma restrittiva, ed essere utilizzati liberamente. I nostri giovani sono sicuramente penalizzati, ma posson o anche trovare lo stimoo per iparare qualcosa di più. Si deve anche registrare che la nostra società oggi soffre di scarsa natalità, e quindi il bacino di aspiranti calciatori si è notevolmente ridotto. Mettiamoci che altri sport, come il nuoto, la scherma e l'atletica, sono diventati molto più radicati e si sono  organizzati con metodi  più efficaci, rivoluzionando il panorama sportivo nazionale.  E questo è un aspetto da non trascurare, ovvero la situazione demografica e l'offerta da parte di altre attività sportive onorevoli e molto più seguite rispetto ai tempi remoti, dove il calcio la faceva assolutamente da padrone. 

Oggi viviamo con il mito del giovane italiano che non viene inserito nelle formazioni della massima serie, soprattutto di grandi club, ma anche qui il discorso deve essere rivolto ad alcune situazioni non di poco conto. Il giovane che deve esordire in squadre come Juventus, Milan, Inter o Roma, deve essere un giovane con doti veramente non comuni. Perché chi calca il palcoscenico di stadi come l'Allianz, o San Siro, deve essere all'altezza se non di più del compito che gli viene affidato. E se pensa di cavarsela con il solito "compitino", cioè fare il proprio dovere senza incidere minimamente nel gioco, non si salva. In queste squadre devi dimostrare qualcosa di più, fare giocate improvvise, o chiudere bene le manovre degli avversari, o parare con grande freddezza.
Non c'è tempo per la scuola calcio, e per fare un esempio parliamo di Allegri. Normalmente lo si dipinge come uno stronca giovani, ma oggi si è preso la responsabilità di puntare su alcuni giovani, e tra questi Miretti, per il quale ha sacrificato Zakaria, Arthur ed altri giocatori che hanno più esperienza e godono anche di contratti più onerosi. Ma il giovane ha dimostrato doti non comuni. come visione di gioco, capacità nei contrasti, dribbling, e pulizia nei passaggi. Quindi se non si smarrisce improvvisamente, sarà il regista del futuro della Juventus. Sappiamo che normalmente un allenatore guarda sempre ai giovani che transitano nella squadra, e li studia, li prova, e li analizza. Ma si sa che come diceva Morandi "uno su mille ce la fa". E qui la percentuale può essere quella. Quando entri in campo puoi giocare contro Messi, Neymar, Lukaku, Lautaro Martinez o Haaland, per fare qualche nome. E contro questi, un giovane inesperto e poco attrezzato, mangia molta polvere. Il gap di forza, classe ed esperienza può causare disatri sia di risultato che di autostima dello stesso giovane, che sarebbe bruciato e si troverebbe in una situazione di non ritorno. Ricordiamo che quando un giovane si afferma la società di appartenenza si frega le mani, perché oltre ad una risorsa tecnica, diventa anche una risorsa patrimoniale, con la possibile esclusione di giocatori costosi e poco produttivi.
Si veda in passato l'esplosione di Del Piero. In allenamento aveva impressionato Trapattoni (un altro severo allenatore), e poi l'aveva inserito in prima squadra. Il ragazzo si dimostrò subito non all'altezza, ma piuttosto un valore aggiunto, inducendo la Juventus a dare il benservito ad un certo Roberto Baggio, forse con troppo anticipo, ma comunque liberando altre risorse. E il giovane Miretti sembra destinato a diventare un protagonista di questa Juventus, ed anche della nostra Nazionale, dove ha già fatto tutte le trafile giovanili, dall'under 17 all'under 21. L'ultima partita ha impressionato, ma si dovrà sempre mettere in preventivo che avrà anche cali di forma, o momenti difficili, ma l'importante è che la società e l'allenatore gli confermino la stima e lo sappiano seguire e consigliare. Ed i giovani non mancano neppure in altre squadre, si vedano i Raspadori, Colombo o Calafiori. E poi ci sono anche i giovani che crescono all'estero, che dalle nostre squadre si spostano in Inghilterra o persino in Olanda. Ragazzi come Gnonto aprono diversi capitoli di discussione, tra i quali i giovani extracomunitari di seconda generazione, e la maggiore appetibilità e le risorse disponibili in quelle nazioni dove le questioni finanziarie hanno saputo affrontarle e hanno portato il business calcio in una dimensione positiva e prosperosa.
La prima organizzazione deve nascere da migliori capacità di management e di investimenti, un po' come dovrebbe capitare alla nostra politica nazionale.