Nonostante l'informazione sportiva sia completamente fruibile sul web, porto ancora in dote la tradizione abbastanza anacronistica del quotidiano. Mi piace andare a comprare il giornale, è un'eredità che trova le sue radici in un'adolescenza passata tra PES, fantacalcio scritto sulle spillette a quadretti, eMule e winMX al posto di Spotify. Non faccio i nomi dei rotocalchi che acquisto; si sa, i "majors"sono sempre quei tre. Tendenzialmente mi faccio guidare dalla fascinazione suscitata dal titolone in grassetto, anche perché da ragazzino ero solito puntare le poche e contatissime monetine su quello che poneva in risalto le notizie di mercato sulla mia squadra del cuore. Qualche giorno fa, dopo le turbe provocate dal terremoto Superlega, preso a tradimento da un ritorno emotivo di natura malinconica, riesumo le tradizioni di un tempo e corro dal giornalaio più vicino: mentre concludevo la veloce transazione per l'acquisto del mio giornale, noto in bella mostra un bel paccone di figurine patinate e sgargianti. Il desiderio di acquisto si impossessa delle mie funzioni neurocognitive, la salivazione aumenta e ad un tratto mi ritrovo in una bolla di ricordi, fatta di scambi "borlottiani" con gli amici di scuola, quando era possibile frodare il novellino di turno dando Vampeta in cambio di Veron. E niente, mi rubano subito l'occhio, e in ben che non si dica mi ritrovo col pilota automatico, rivolgendomi entusiasta al buon edicolante:
"Ah sì prendo anche questi due pacchetti di figurine Panini".
L'uomo, nonostante la copertura della mascherina, fa intravedere un sorriso sardonico e ribatte divertito:
"Ragazzo, queste sono le figurine di Fortnite, sai il gioco... le Panini non le ho al momento, mi spiace!".
Rimango interdetto, forse gli occhiali da sole mi avevano tratto in inganno, o probabilmente avevo dato per scontato che i pacchetti in oggetto fossero per forza quelle raffiguranti i calciatori della Serie A. O molto più cinicamente, è probabile che stia invecchiando e che ormai non sia più al passo coi tempi. Lungi da me essere un boomer, essendo ancora nel range della generazione Millennials; mi sforzo quindi di comprendere e chiedo al divertito esercente che fine avessero fatto le Panini e, per curiosità spicciola, a quanto ammontasse la domanda sulle cards laminate di Fortnite. L'edicolante, toccando il maxi-blister con fare leggermente scocciato, mi ribatte:
"Beh queste vanno a ruba, come quando c'erano quelle del wrestling 15 anni fa, sono come i postal market. I ragazzini, e anche qualche ventenne più maturo, ne comprano a valanga... è uno dei prodotti di punta, pensa che un pack da 24 bustine lo esaurisco in una giornata quando tutto va bene... sto sempre attaccato al telefono coi fornitori".
Comprendendo l'evoluzione darwiniama di certi gusti e tendenze, insisto sulle Panini e domando il motivo della loro assenza dalla merce in esposizione. L'edicolante a questo punto è una sentenza e mi risponde:
"Ma chi le compra più le figurine dei calciatori, pensa che l'album lo danno gratis dappertutto come se fosse il volantino del supermercato. Non le ho da almeno 2 mesi, tanto nessuno le compra e io non ho motivo di ordinarle dal fornitore. Comunque paga dai che si è fatta la fila, i tempi son cambiati..."
Già, i tempi sono cambiati e forse ha ragione chi oggi viene messo alla gogna mediatica in maniera troppo avventata.

L'ascesa degli eSports: Agnelli, la Superlega e la sfida al Gaming. Mettiamo da parte la guerra tra istituzioni tiranne e club ingordi, scordiamoci per un istante i discorsi sul ripianamento dei debiti e teniamo in stand-by il sistema di valori e meritocrazia, le cui basi sono state messe in pericolo. Soffermiamoci su quanto espresso pochi giorni fa da Andrea Agnelli in un'intervista a freddo, e in special modo sul seguente concetto:
“I più giovani vogliono vedere i grandi eventi, sono meno legati agli elementi di campanilismo. Il 40% dei ragazzi tra i 16 e i 24 anni non ha interesse per il mondo del calcio. La Superlega vuole essere una competizione che simuli ciò che fanno le piattaforme digitali per fronteggiare la competizione di Fortnite o Call of Duty, che sono i veri centri di attenzione dei ragazzi di oggi”. Che saranno i fruitori, e soprattutto i consumer, di domani" (Andrea Agnelli alla Repubblica)
Uno dei punti focali della Superlega, passato ingiustamente in sordina rispetto agli altri temi, è proprio questa piccola grande interpretazione demoscopica, che scatta una fotografia ben precisa dell'attuale rapporto tra i giovanissimi, ormai categorizzabili nella futuristica "Generazione Z" e il calcio. Agnelli eleva i videogiochi come competitors del sistema sportivo, attirandosi critiche, beffe e sfottò: come uno Zarathustra venuto troppo in anticipo, il presidente bianconero viene deriso, ignorato e poco compreso, nonostante si stia facendo portavoce di una verità insindacabile, costituita da dati di riferimento precisi. Ma come può un videogioco, o in generale l'intero settore Gaming, diventare un competitor di uno sport vero e proprio? Beh, partiamo dal concetto di "Entertainment", o più semplicemente di intrattenimento.

I giovani non si divertono più nel guardare le partite. Uno degli obiettivi principali della banda dei dodici secessionisti era quello di creare un prodotto maggiormente appetibile e qualitativamente superiore, in grado di eliminare la componente tediosa e di garantire una tipologia di spettacolo in stile NBA. Mettendo a competere nello stesso "yard" i migliori del continente, non solo si voleva cementare la fidelizzazione del grande bacino di tifosi, ma anche tentare di aggiungere (o recuperare) quella fetta di utenza giovanile che oggi non gravita intorno al mondo del pallone: si perché non ci voleva la demoscopia per asserire che i nostri ragazzi siano molto più interessati a una bella partititina in Multiplayer a COD piuttosto che guardarsi Fiorentina - Udinese sul divano col proprio vecchio. A proposito, leggevo su un forum la testimonianza di un povero padre di famiglia, incapace di redimere il proprio erede e di riportarlo sulla strada dell'ortodossia sportiva: "L. pratica bene l'arte del pallone, ha 14 anni e gioca già sotto età coi più grandi, è veramente bravo. Ma quando finisce l'allenamento e chiude il borsone per lui il calcio finisce lì. Ieri sera guardavo Juve - Parma, siamo accomunati dallo stesso tifo, ma mentre io ero lì sul divano a tirar giù il calendario, lui era nella stanza a fianco, coi suoi cuffioni wireless ad urlare termini in inglese che non avevo mai sentito. Pensavo stesse anche lui sbraitando per la punizione di Brugman, o che magari era collegato su a qualche sito in streaming per guardare la Premier, e invece me lo ritrovo col joystick in mano, sguardo mesmerizzato... gli chiedo di venire di là ma niente, mi dice che ha una co-op importantissima e che più tardi avrebbe guardato gli highlights... per me la Coop è una catena di supermercati, piuttosto speravo di beccarlo su ben altri siti...".
Il papà di L. può sembrarci un dinosauro, ma diciamoci la verità: per natura una partita di calcio, vista in termini passivi come semplice spettatore, non potrà mai garantirci gli stessi livelli di interattività e di divertimento di un qualsiasi gioco online. Oggi i ragazzi sono incredibilmente stimolati da molteplici fonti ludiche e di intrattenimento digitali, dai social al Gaming più estremo. In termini neurocognitivi, una partita a COD, Fortnite, FIFA coinvolge pienamente i giovani, eliminando la componente passiva e noiosa. È un prodotto creato ad hoc per i ragazzi, con una user experience pensata, dove sono garantiti divertimento, protagonismo, socialità (seppur filtrata e distorta), realismo. In generale, oggi molti bambini e adolescenti praticano meno sport rispetto al passato, e quei pochi che lo fanno sono un po' come L.: diventa una pratica fine a se stessa, finché sono al campetto rimango cognitivamente attivi e ingaggiati dal gioco, sfoghiamo l'ormone e quando finisce l'allenamento chiudo tutto, non c'è bisogno di andarmi a guardare anche Spezia-Crotone; non c'è più quello "state of mind" quasi paranoico che si impossessava dei giovani cultori del calcio di un tempo. Tuttavia, non è nemmeno giusto creare mostri da demonizzare, sarebbe un atto di pura ignoranza nei confronti dell'ineluttabile evoluzione sociologica. Così come qualche decennio fa ai giovani piaceva scendere in strada col Super Santos, oggi abbiamo una tendenza spassionata a ricreare i cortili e le piazzette pubbliche attraverso un joystick, una buona cuffia, uno schermo, una connessione e una console (o PC, lo dico per par condicio, a favore dei i puristi del Gaming).

È sport anche se si sta seduti sul divano? Ma come ha fatto il Gaming a livellarsi e fregiarsi del titolo di sportività? Quando parliamo di sport non bisognerebbe essere riduttivi e nozionistici: esso non deve per forza essere un'attività fisica, in quanto le sue declinazioni possono attuarsi anche attraverso differenti modalità di interazione. Componente fondamentale per definire come sport un tipo di attività è la competizione: negli ultimi anni, grazie anche all'espandersi del Multiplayer, il Gaming ha introdotto classifiche, ranking, possibilità di sfida globali, abbattendo ogni sorta di barriera e garantendo sempre e comunque grande accessiblità, comodità e divertimento, il tutto contestualizzato a livello competitivo/agonistico. Non siamo più di fronte ai giochini arcade o a quelli dove, selezionando l'opzione "start new game", bisognava semplicemente terminare in single player una storia. Infine, il consolidamento dei tanto discussi eSports trova il suo fondamento nello stesso caposaldo ispiratore della Superlega: il business e il corposo giro di soldi che sponsor, case videoludiche e grandi firm di dispositivi multimediali hanno saputo mettere in piedi. Un baraccone in costante crescita, che comincia a toccare quote e percentuali minacciose per qualsiasi sport mondiale. Premi ricchi, viaggi continentali, regali dagli sponsor, prospettive di poter diventare una stella, senza dimenticarsi del virale e controverso sistema di "shipping" dipendente: se oggi il ragazzino non potrà cullare il sogno di imitare Messi o Ronaldo, può tranquillamente ambire di scalare la top 100 di FIFA o Fortnite, il tutto dal comodissimo divano di casa.   
Pertanto, dati alla mano possiamo asserire la fondatezza dei timori di Andrea Agnelli, non certo un ciarlatano sull'argomento. Tuttavia, l'errore percettivo e interpretativo del presidente bianconero sta proprio nel voler generalizzare e semplificare il concetto, forzando la soluzione col discorso delle partite top: attenzione, non è detto che City-Barcellona o Juve-Real saranno sempre giocate a mille all'ora; non bisogna assolutamente scartare la flessione nei livelli e nelle frequenze di gioco e la conseguente perdita di interesse. Ciò che può sembrare straordinario non è esente dal diventare ordinario, e questo è un rischio che nei ragionamenti sociologici di Agnelli non è calcolato. Inoltre, in riferimento alla volontà di accattivarsi i giovani che oggi non guardano affatto il calcio, c'è da dire che chi ama Fortnite e non guarda a prescindere una palla che rotola, non guarderà "a fortiori rationem" nemmeno una partita fra due top club. Calcio e videogiochi sono mondi che possono illudere in alcune comunanze, ma restano comunque differenti per svariati aspetti. Recuperare l'interesse dei giovani con questa operazione "globe-trotter" non ha certezze di riuscita, anche perché aggiungo che culturalmente i ragazzi europei hanno un rapporto con lo sport completamente differente dai coetanei americani: negli USA, grazie anche al continuum formativo che Majors sportive e scuole riescono costantemente a coltivare (citiamo ad esempio le borse di studio per l'Ivy League), lo sport è radicato nella cultura dei giovani e viene percepito con maggior serietà formativa. Nel nostro paese ad esempio, si dovrebbe ripartire da un repulisti scolastico e attribuire maggior centralità e importanza alla semplice educazione fisica.   

Concludendo, prendo per un istante in prestito un termine videoludico e pongo la seguente domanda: "come può il calcio "oneshottare" e vincere la battaglia con gli eSports?" Avere appeal sui giovani di oggi può essere molto più semplice di un progetto megacapitalistico: svecchiare il calcio e farlo tornare virale tra gli adolescenti è una mission attuabile atttaverso i social, creando dei contenuti fruibili su piattaforme come Twitch, dove spesso i maggiori "atleti" di eSports amano "streammare" le proprie performance. Si potrebbero invadere i canali social, rendendo meno telegrafici è più interattivi i profili degli stessi club. Altra soluzione può essere trovata nell'invasione delle stesse piattaforme videoludiche: proporre i contenuti calcistici sugli store delle console o su Steam potrebbe far cadere l'occhio di qualche giovane gamer stanco di perdere a Fortnite.
Smettiamo di sognare i ragazzi per strada,
con la solita foto del nostalgico super Santos piazzata lì a moralizzare un mondo che ormai è avanti anni luce: il calcio può ancora far innamorare i ragazzi del futuro, ma come si suol dire: "basta solo saperli prendere".

Salvatore Zarrillo