Affrontare la vita con rispetto e silenzio. Decisamente un connubio di stili che si intersecano con la professionalità, arma infallibile per tutti i veri campioni; succede un po’ ovunque, dal calcio al ciclismo, e questa volta il remix emotivo delle scalate è ben diverso da ogni altra disciplina. Temere l’inizio di una gara non sempre è paura, è solo consapevolezza di poter intraprendere un viaggio diverso dagli altri, con il cuore che batte a tempo sui pedali e la voglia di scoprire nuovi luoghi, attraverso quella sana  competizione che ti isola dal mondo. L’oggetto magico custodito nel segno della vittoria è una semplice bici da corsa, da guidare con il pensiero del vincente, che affronta ogni salita come se fosse l’ultima; sudore, fiato, ma soprattutto tanta determinazione, con il solo scopo di potersi aggrappare all’avversario, compagno di mille avventure ma eterno rivale. Una sana competizione tra uomini pregevoli che ha toccato nella storia dell’umanità anche Felice Gimondi, maestro assoluto di ciclismo che è venuto a mancare nell’azzurro mare di agosto, travolto dal destino e da un mondo che non rispetta ormai più gli antichi valori. 

Cento e più km alle spalle e cento da fare” amava cantare Enrico Ruggeri nel suo brano dedicato al ciclista. Un pezzo improntato sullo stile rock, reso ancora più piccante dal duello eterno con il cannibale, Eddy Merckx, mostro sacro che cannibalizzava ogni corsa, con la fame negli occhi e la forza nello scatto, che non si arrestava mai, neanche di fronte alle calamità naturali. Gimondi aspettava, con il silenzio interno che proclamava vendetta e con l’assist delle valli montane, che gli avevano insegnato la pazienza, perché il resto ormai era già contenuto nel suo immane repertorio ciclistico. 

Per quanto un’avventura possa sembrare entusiasmante alla fine lascia pur sempre qualcosa di incompiuto. Gimondi lo sapeva benissimo, eppure affrontava ogni corsa seguendo lo spirito del viaggio, metafora di vita e portatore di saggezza, quella saggezza presa per mano dal silenzio. Un po’ come il suo congedo dal mondo. Beffardo, infame per un campione come lui. In quel triste mare che l’ha ospitato per il suo ultimo tuffo adesso danzeranno gli spiriti che non dimenticano il passato, per non essere a loro volta scordati; rimarrà sospeso il ricordo, perché la solitudine è relativa, ognuno vive nella mente di chi ci ha voluto bene. 

È giunta nella notte a Paladina la salma di Felice Gimondi, presso quella chiesina dove oggi si ritroveranno parenti e amici per partecipare al funerale del campione.
Non un addio, solo un arrivederci ed un forte in bocca al lupo per la prossima corsa, quella che avrà come meta il Paradiso dei Santi e degli angeli; il buon Felice gareggerà ormai fuori dal tempo, anche perché la gioia per le conquiste e le riflessioni sulle cadute lo hanno portato a fare della propria vita un Paradiso Terrestre, attraverso l’esperienza del mondo che lo ha rafforzato sotto ogni aspetto. Persino il cannibale, suo grandissimo amico, ha mostrato il lato più dolce, magari augurando la vittoria più importante, quella corsa nell’infinito sulla sella della sua bicicletta divina.

Felice è partito dal mondo, ma state tranquilli, il vero viaggio è appena cominciato, per quel campione silenzioso che adesso salirà alle stelle.