Come chi è abituato a leggere i miei articoli (tre persone, secondo i miei calcoli) sa bene, ci sono tre cose di cui amo scrivere in questo periodo: le prime due cose sono l'evoluzione di tornei/campionati esteri e il calcio femminile; la terza sono le bandiere, l'appartenenza ad una squadra, la gratitudine di alcuni giocatori/allenatori verso la squadra che li ha fatti grandi

Su questo argomento ho scritto il mio primo articolo, riguardo al passaggio di Sarri alla Juve. Negli ultimi giorni, il calciomercato ci dà parecchi spunti per trattare il tema. Ce li dà in particolare lo svincolo di due ex campioni del mondo con l'Italia del 2006: Daniele De Rossi e Gianluigi Buffon.

I due di smettere non hanno nessuna voglia: il portiere, dopo un anno al PSG, ha deciso che non solo non vuole ritirarsi, ma vuole trovare un posto dove fare il titolare. L'ex romanista, invece, ha rifiutato un rinnovo dai contorni nebulosi della società di Pallotta (contratto a gettone? Da dirigente? Da allenatore delle giovanili? Probabilmente non lo sapremo mai). Per entrambi, però, l'impressione che si ha è che invece sia giunto il momento di prendersi un momento di respiro e riconsiderarla, quest'idea di finire una carriera piena di successi personali.

Una generazione d'oro - Anno domini 2006.
Le radio sparano a spron battuto, ogni 5 minuti Seven Nation's army; la gente salta a ritmo di "Popopo"; Marcello Lippi non è ancora coinvolto nei megalomani progetti di conquista del mondiale del partito comunista cinese (se la cosa vi dice poco, ne parlo in un altro articolo).
Anno domini 2006: l'Italia vince il mondiale ai rigori, di fronte alla Francia di Zidane e Henry

Non si sa bene come e perché, ma quel mondiale si è trasformato in una sorta di elisir di lunga vita per molti dei suoi partecipanti: Pirlo ha passato ancora 5 anni al Milan, 4 alla Juventus e 2 a New York; Toni si è ritirato nel 2016, dopo un titolo di capocannoniere nel 2015 a pari merito con il più giovane (38 anni contro 23) Mauro Icardi; di Barzagli sarebbe superfluo anche parlare, dopo tutto il tempo d'onorata BBC e il ritiro di quest'anno. 

Questo elisir di lunga vita, però, si è trasformato in veleno per la qualcuno: a parte Totti, "autorottamatosi" poco dopo il mondiale, la crescita della generazione calcistica seguente in nazionale è stata un po' bloccata dalla difficoltà, tecnica e d'immagine, di mettere in soffitta questi totem e fare giocare dei nuovi al loro posto. Intendiamoci, qualcuno ci aveva anche provato, ma ad ogni passo falso i tifosi invocavano "i nostri campioni del 2006". Per questo è stato difficile per molti di loro smettere e per tanti allenatori metterli da parte. È stato per molto tempo il fattore anagrafico a giocare il ruolo di rottamatore, un po' come succede talvolta in politica: ad ogni tornata d'europeo/mondiale, vedevamo che uno o più campioni del mondo si erano ritirati. Alla fine, i pochi rimasti a partire dal post mondiale 2014 erano considerati un po' una sorta d'eminenza grigia sulle convocazioni a Coverciano: di loro si diceva che, incapaci di mettersi da parte, nel club come in nazionale, ogni volta che si parlava di rinnovamento mettevano lo spogliatoio contro gli allenatori che si succedevano. Gli ultimi due sopravvissuti di questo gruppo erano appunto De Rossi e Buffon, ritiratisi dall'Azzurro due anni fa e l'anno scorso. 

Gigi la trottola - Partiamo dal caso Buffon: alla fine della stagione 2018, dopo una Champions giocata su alti livelli e un altro titolo vinto con la sua Juventus, sembrava il momento di lasciare. Un ruolo di dirigente lo aspettava a Torino, oltre ad un consenso generale che ne faceva il miglior portiere degli ultimi 20 anni. Però, quando tutto pareva fatto, iniziano i primi tentennamenti: Buffon si sente ancora integro, vorrebbe continuare a giocare da titolare per giocare e vincere l'unico trofeo che gli manca ancora: la Champions League. La Juve, che ha già investito su Szcezcny e non guarda in faccia calciatori o allenatori quando è a suo parere il momento di lasciare, gli dice chiaro che tutto questo non è possibile. A questo punto il PSG, fiutando la possibilità a livello tecnico e commerciale, decide di chiamarlo a sè per la sua prima esperienza all'estero: sono una squadra competitiva per la Champions, in porta non hanno un nome ingombrante come le altre big, ci si potrà intendere bene.

Un anno è passato, Buffon la Champions non l'ha vinta e si ripropone uno scenario simile a quello juventino: può restare, ma la crescita del giovane Areola lo pone come dodicesimo uomo dopo un anno di alternanza fra i pali. Gigi ringrazia tutti, fa i bagagli e questa volta nemmeno prende in considerazione il ritiro: in Italia lo vogliono Lazio ed Atalanta; in Europa c'è il Porto. Non delle superbig (anche se i lusitani vincono quasi sempre il proprio campionato), però squadre di spessore. 

La cosa che però mi viene da dire a Buffon è di ripensarci. Lui non è eterno, e non c'è nulla di male. Strappare contratti a scadenza di 12 mesi per dimostrare che può ancora vincere la massima competizione europea, è un po' deleterio, non solo in quanto bandiera agli occhi degli juventini: nessuno sindacherà sulla bontà della sua carriera o sulla ricchezza della sua bacheca fra 10, 20 anni. Invece vivacchiare in questa maniera, passando a squadre di ambizioni sempre minori di anno in anno (perché sì, anche il PSG vale meno della Juve), questo fa male ai suoi ex tifosi e non nasconde ciò che Gigi sa bene e forse non vorrebbe accettare: che il tempo passa per tutti, anche per un supercampione come lui. 

Nell'ultimo film di Clint Eastwood, the Mule, l'attore racconta la storia di un vecchio giardiniere che si mette a vendere droga per un cartello messicano. Guadagna tanti soldi, pensa di fare il bene suo e della sua famiglia, ma in realtà sta cercando di riacquistare l'unica cosa che i soldi non possono comprare: il tempo. Ecco, se qualcuno potesse parlare a Buffon e chiedergli cosa desidera di più in questo momento, probabilmente la risposta sarebbe "Cinque anni in meno, con tutto ciò che esso comporta". Il problema è che questo non è possibile. Rimettersi in gioco in un'altra realtà per ritrovarsi un classe '93-'94 a insediare ancora il suo posto dopo sei mesi non se lo merita nè lui, né le società che dovrebbero ingaggiarlo.

Un'idea potrebbe essere il clamoroso ritorno alla Juve come dodicesimo che i giornali rilanciano da ieri sera: per chiudere il cerchio, forse l'unica cosa razionale da fare a questo punto e per salutarsi con la tifoseria juventina nella maniera che entrambi si meritano. Però, se proprio dovrà essere, patti chiari amicizia lunga: l'anno prossimo il ritiro. Perché non si può rimandare per sempre. Per quanto riguarda le altre opzioni, sarebbero solo (dal punto di vista del significato non tecnico) un prepensionamento dorato: non andrebbero prese in considerazione nemmeno. 

Danielino da Ostia - La tifoseria giallorossa è sempre stata brava a crearsi i propri idoli: da De Bartolomei fino a Totti si è sempre creata un'alchimia molto forte fra tifosi e giocatori, che ha permesso a parecchi giocatori di diventare bandiere e di chiudere la carriera a Roma. A non tutti, però, tocca questa fortuna: Daniele De Rossi, lo scorso 26 maggio, ha rifiutato il contratto che Pallotta gli aveva proposto, più o meno per le stesse ragioni di Buffon (e lui, sì, con 4 anni in meno sul groppone) e, contando su un'energia ancora molto forte, ha iniziato a guardarsi intorno.

I primi a farsi vivi sono stati il Boca e i Galaxy: da una parte, l'amicizia col DS Burdisso, compagno ai tempi d'oro, e l'ammirazione mai celata di DDR per la Bomboniera; dall'altra la voglia di fare un'esperienza in America, dove fra l'altro si ritroverebbe a giocare con Ibrahimovic. Questi i due nomi delle società che si rincorrevano di continuo nelle prime 2-3 settimane. Non poteva restare in Italia, troppi ricordi e troppo rispetto per la Roma in quanto squadra. Poi, però, nell'ultima settimana la musica è cambiata.

"Ferrero ha fatto un'offerta per De Rossi"

"Se, sarà un'altra viperettata, figurati se quello resta in serie A"

E invece, negli ultimi giorni l'ipotesi di ripartire da un'altra squadra del campionato italiano comincia a non essere più una suggestione: oltre alla Samp, si sono fatti avanti il Milan (Massara era fino ad un mese fa il DS dei giallorossi) e la Fiorentina di Comisso. Ora, cominciamo a sgomberare il campo da ogni equivoco: ogni calciatore è un professionista, e della propria carriera può fare ciò che vuole. In più, in questo caso, non è lui ad aver scelto di non restare a giocare alla Roma, è la società che ha cercato di dirgli che era il momento di smettere. Per questo (e anche per poca stima nei confronti della società) buona parte dei tifosi questa scelta gliela perdonerebbe. Però la cosa farebbe tanto strano.
Un po' perché, nell'andarsene, aveva condiviso tutta una foto di lui da bambino con la tuta della Roma, dicendo che lui sarebbe rimasto sempre quello. La tifoseria gli aveva concesso un saluto degno di un re, con in testa "l'unico rimpianto che ho è di poter donare una sola carriera alla Roma". Gli avversari storici della Lazio, perfino, dicevano di apprezzare il suo senso d'appartenenza. Insomma, sembrava una storia chiusa nella migliore dei modi possibili, quella di DDR con il campionato italiano. L'idea che ora passi per il Milan per dimostrare di essere ancora integro darebbe un po' di fiato ai suoi detrattori, inclusi quelli nella dirigenza ("Hai visto? Alla fine non era tutto questo esempio di appartenenza") e metterebbe una macchia nel suo curriculum per molti dei suoi ex tifosi.

Sia chiaro, non sto dicendo che De Rossi debba smettere, però potrebbe prendere esempio da un altro giocatore che ha avuto un'esperienza più o meno assimilabile alla sua, vale a dire Del Piero. Alla fine del proprio contratto con la Juve, amareggiato per quello che ancora poteva dare, se n'è andato il più lontano possibile da Torino. Lontano dagli occhi e dal cuore, ha permesso alla sua squadra di continuare a svilupparsi senza polemiche ed ha continuato a giocare e a divertirsi, prima in Australia e poi in India. Non c'è scritto da nessuna parte che questo debba essere un percorso obbligatorio, però DDR farebbe il bene della sua squadra e probabilmente potrebbe anche strappare un contratto di 2-3 anni. Per non ritrovarsi come Buffon a navigare fra un mare magnum di società di anno in anno. Perciò, DDR, dai un'altra possibilità a Burdisso o ai Galaxy: noi ti aspetteremo a braccia aperte. Magari per fare l'allenatore: che tu sia portato per questo, te lo riconoscono sia i tuoi sostenitori che i tuoi detrattori. E questo non è poco, fidati.

Il ritorno del Re Pupone - C'è in realtà un altro campione del mondo 2006 che si ritrova in questi giorni a dover decidere del proprio futuro come calciatore. Ed è per questo che nella carrellata dei campioni del mondo ritirati a tarda età non l'ho citato: stiamo parlando di Francesco Totti. Il tema del Capitano della Roma è spigoloso: si è ritirato controvoglia, con le lacrime agli occhi, per un percorso dirigenziale che non ha convinto nemmeno lui. Questo, un certo snobismo nella sua capacità di dirigente da parte dei suoi colleghi, lo ha portato ad uno stato d'insoddisfazione marcata. La quale, con l'addio di De Rossi, ha passato il limite del tollerabile ed è sfociata nella conferenza stampa di addio alla Roma di una settimana fa.
Ora deve decidere cosa fare: Ferrero (sempre lui), romanista sfegatato, gli ha proposto di entrare nella dirigenza della Sampdoria. Però gli amici dicono che l'ex Pupone è integro, che ancora potrebbe dare qualcosa al mondo del calcio senza sedersi su una scrivania. Borriello, in particolare, ha detto senza troppi giri di parole che "una squadra inglese ha cercato Francesco. È il Leeds? Non lo so".

Ora, l'argomento è delicato: ci sono giocatori che hanno smesso, sono rientrati nel calcio e un altro paio di anni hanno giocato. Però in questo caso, le incognite sono troppe: l'unico vantaggio che viene in mente è che in questo modo potrebbe imparare l'inglese, che è una delle "lacune" che la società gli imputa. Ci si ferma qui per i lati positivi, però: in primo luogo, il Leeds gioca in Championship. Snobbare un club per la sua categoria è un peccato mortale, però un giocatore della classe di Totti a giocare in seconda categoria non ce lo vedo.
C'è poi la questione della differenza fra integrità fisica apparente ed effettiva: tutte le partite non potrebbe giocarle, in caso d'infortunio a 43 anni il recupero è lungo e piuttosto doloroso e non vediamo cosa Francesco possa dare in più a questo sport di quello che ha già dato. Ma soprattutto, due perplessità si ergono su tutte: intanto quella che Totti, in maniera difficile e dolorosa, sembrava aver superato il trauma dell'addio al calcio. Rimettersi a giocare per poi ritrovarsi fra 1-2 anni a rismettere sarebbe solo un dolore in più. Un'altra faccenda è legata alla sua lunga militanza giallorossa, che è quello che ha fatto innamorare dei colori giallorossi migliaia di ragazzini. Immaginiamoci un curriculum fra 20 anni "Francesco Totti è un ex giocatore della Roma e del Leeds". La cosa suona male in partenza. Poi, non è detto che giochi titolare: varrebbe davvero a quel punto ricominciare tutto quell'ambaradan per giocare 10-15 partite l'anno? A questo punto, meglio i tornei fra vecchie glorie negli Emirati, almeno lì sta fra amici. E poi, deve dimostrare ad un'intera dirigenza della Roma che si sbagliavano di grosso su di lui. Pur non amando la vendetta fine a sé stessa, quello varrebbe molto. Probabilmente anche più di un altro anno da calciatore.

Ritorno al passato - In Italia, per chi gode di una posizione privilegiata, è sempre difficile andare in pensione al momento giusto: abbiamo politici come De Mita eletti sindaci a 90 anni, rettori di università con un'età media altissima, amministratori delegati di aziende che sono sulla piazza dagli anni '60. I calciatori non sono immuni a questo fenomeno, anzi: la paura di smettere accompagna parecchi di loro, seguita dal pensiero "Ora cosa faccio? Chi riempirà la mia vita dopo anni di tifo sfegatato nelle curve?". Però, al contrario dei politici e dei rettori, loro smettono di giocare in un età ancora abbastanza verde, dove la vita offre un ventaglio di possibilità incredibili: c'è il ruolo d'allenatore, spesso riscatto di chi ha avuto una carriera traballante da giocatore; la possibilità di fare il DS o il dirigente più in generale; il lusso di prendersi un anno sabbatico. O ancora la possibilità per un giocatore di fare qualcosa di totalmente diverso da quello che ha fatto fino a quel momento: provare la carriera imprenditoriale o magari mettersi a studiare dopo una carriera fatta di tanta corsa (so che questa categoria è particolarmente rara, ma va considerata). Gli amici di Daniele, Gigi e Francesco dovrebbero ricordargli questo: che il tempo passa, ma che l'amore dei propri tifosi resta, così come i trofei, che nessuno gli toglierà mai. E che non bisogna aver paura del ritiro: possono ancora vincere la Champions (da allenatori), mettere la propria passione al servizio della Roma (nelle società calcistiche il tempo scorre più in fretta che nei partiti politici/aziende) o scoprire il nuovo Totti, piuttosto che mettersi ad imitare il vecchio a 43 anni.
Adesso sta a loro scegliere cosa fare.