Una cosa era certa: da quel giorno, il mio mondo dei giochi cambiava totalmente.  
La Policar venne montata sempre più raramente, tutte le mie attenzioni erano rivolte a quando avrei potuto avere quel gioco di cui non ricordavo più il nome.  

Ho sempre avuto la passione di raccontare barzellette ad amici e conoscenti. Ne conoscevo moltissime e nel raccontarle riscuotevo consensi. La cosa che mi divertiva maggiormente, allora come oggi, era veder ridere le persone, ricevendone una gratificazione che spesso mi induceva a ridere io stesso, divertito e compiaciuto dell’interpretazione, specialmente per quelle più lunghe e complesse.                                                                          Spesso raccontavo questa: un istruttore, ufficiale dei paracadutisti Americani, dà le ultime indicazioni ai suoi allievi. “Allora soldati, pronti al lancio? Appena apriremo il portellone tutti in fila, vi lanciate, contate fino al cinque e poi, mano destra sulla maniglia sinistra, un tiro secco e via, sicuri. Se il paracadute non si aprisse, niente panico, mano sinistra sulla maniglia destra, un tiro secco e via. Ci sono domande ?” Un soldato, fra gli ultimi, visibilmente impaurito, chiede con voce tremolante: ”E se ancora non si aprisse?”. L’istruttore, deciso, senza esitazioni “Niente paura, mettete le mani sotto le ascelle, battetele velocemente e gridate, mi raccomando in modo forte, GERONIMO… ok, Pronti a lanciarsi“. Tutti si lanciano regolarmente e l’aereo incomincia la manovra di rientro alla base, quando, improvvisamente, si sente uno strano ticchettio, che non si capisce da dove provenga. L’ufficiale cerca di localizzare il rumore, che ora e nitido, proviene dal portellone di lancio, lo apre e vede uno dei paracadutisti che battendo le braccia gli grida “come si chiamava quel cavolo di capo Indiano??”. 

Era questa barzelletta che mi ronzava nella mente mentre mi stavo recando a comprare quel gioco dal nome così strano. Il suo inventore,  l'ornitologo Peter Adolph, gli aveva dato come nome The hobby -passatempo- ma all’ufficio brevetti inglese non lo ritennero registrabile. Poiché hobby era anche il nome di un falco diffuso in Europa, il lodolaio, essendo amante degli uccelli, usò un termine scientifico, quello di falco Subbuteo.
Era il 1947 e la Gran Bretagna, dopo il calcio, il mitico football, poteva vantarsi anche di questa splendida invenzione. In Italia veniva distribuito dalla ditta Edilio Parodi, di Genova e il suo apice fu raggiunto fra gli anni settanta e ottanta.                                       

Genova era la capitale Italiana del Subbuteo, lì si disputavano i tornei più ambiti da tutti gli appassionati e vi giocava la Nazionale.

NOZIONI DI CALCIO - Finalmente il campo di Subbuteo era in bella mostra in camera mia, appoggiato per terra. Presto però, visto la scomodità ed il rischio di schiacciare i giocatori cercai delle soluzioni alternative. Lo posizionai sopra il pianoforte a coda installato nel salone di casa, davanti alle nostre camere da letto, fu la prima. Troppo alto per giocare comodamente quindi, grazie al suggerimento di altri ragazzini, lo installai su due cavalletti in legno, collocazione che divenne definitiva. Essendo un gioco che simulava le partite vere di calcio, bisognava avere un’idea, il più possibile chiara, sia di come schierare gli undici giocatori nel campo, sia di come sviluppare le azioni. Fin da giovanissimo mi sono appassionato al calcio. Guardavo i pochi incontri che venivano trasmessi alla televisione, la domenica  quando giocava in casa seguivo la squadra della mia città, la Mestrina, mentre quando era in trasferta, essendo ancora “piccolo”, restavo a casa per ascoltare alla radio, “Tutto il calcio minuto per minuto”, chiudendo gli occhi ed immaginando lo svolgimento delle azioni.                                                                                                       

All’ inizio degli anni Settanta la televisione, che aveva solo due canali, trasmetteva in bianco e nero e la domenica, verso le diciotto, mostrava un tempo, registrato, di una delle otto partite di calcio giocate nel pomeriggio. Il momento più bello di quella giornata sportiva per me era però alla sera quando, messo il pigiama, mi infilavo nel letto matrimoniale avvicinandomi il più possibile a mio papà. Guardavamo insieme la Domenica Sportiva che proponeva le sintesi e i gol di tutti gli incontri ed attendevo con trepidazione qualche suo commento. Entrambi simpatizzavamo per una squadra di Milano, ma non era la stessa. Papà tifava per l’Internazionale, la fortissima formazione nerazzurra del Presidente Moratti che quando la leggevi sembrava di citare una poesia: Sarti, Burnich, Facchetti, Picchi, Suarez e altri. Viceversa la mia squadra del cuore era il Milan, i rossoneri a righe verticali del Presidente Franco Carraro. Forse era meno forte della concittadina, anche se con giocatori ugualmente famosi come, il portiere, il “ragno nero” Cudicini, Rosato, Lodetti, Sormani e Prati, ma specialmente, con due personaggi che tutto il mondo calcistico ci invidiava. Mi riferisco all’allenatore, al Mister, Paron Nereo Rocco ed al Golden Boy, il primo italiano a vincere il Pallone d’Oro, Gianni Rivera. Non so dirvi il motivo per cui non tifavamo per la stessa squadra e forse di questo eravamo ambedue dispiaciuti.                                                                                                                                                   

Forte della mia passione, di tutte le nozioni che avevo assimilato, del piacere dell’estetica rappresentata in modo esemplare da Rivera e dalla personale esperienza di piccolo calciatore, ero pronto a schierare i miei giocatori in campo, con idee chiare e con la consapevolezza di come sviluppare il gioco.
Grazie a tanto sapere, avrei già avuto un vantaggio sui molti avversari, meno preparati, che avrei dovuto affrontare e di ciò ero fiero e convinto.....................

                                                                                                  continua

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