C'è un mondo da conquistare ed è quello degli sponsor. Una considerazione che, a quanto pare, trova grandissime difficoltà ad essere recepita e messa in atto a Casa Milan. Eppure con 445 milioni di tifosi accertati, nel mondo, con una storia calcistica fra le più gloriose, con trofei e vittorie conquistate in ogni latitudine, "vendere" il nome Milan, non dovrebbe essere poi così difficile.

La pubblicità è l'anima del commercio, una citazione molto famosa che non passa mai di moda. Quanto la "visibilità" sia importante è un dato chiaro e scontato, poiché chiunque transita sotto la verifica dei "like", i "mi piace", è alla ricerca di capire se e quanto possa essere seguito. Ebbene perchè il Milan, aggiungerei da dopo Berlusconi, con così tanti tifosi non riesce a trovare aziende disponibili a investire per usufruire di un bacino di consumatori così grande e poter aumentare visibilità e vendite, con conseguente incremento del proprio fatturato? Prima di esporvi la mia analisi, frutto di esperienze personali, bisogna comprendere l'importanza di saper proporre "ciò che si vende", poichè spesso oltre al conforto di dati matemateci, come il numero dei tifosi presenti agli avvenimenti o il numero dei sostenitori, c'è la capacità di coinvolgere il potenziale cliente nella realizzazione di qualche cosa di "unico e inimitabile", che aumenta notevolmente il valore commerciale.

Il controsenso a cui, noi tifosi milanisti, siamo stati costretti ad assistere è che il duo Fassone-Mirabelli ostentavano sicurezza e una campagna acquisti "faraonica" (più nella spesa che nella reale qualità dei giocatori) nel duplice tentativo di qualificarsi per la Champion e per attrarre investitori orientali, rischiando il fallimento poichè la proprietà, vera o virtuale, non aveva solidità economica, mentre Gazidis attuando la filosofia del "pesce rosso", (sempre zitto e acqua in bocca) nel tentativo di portare il bilancio a dati ben più confortanti rispetto agli ultimi anni, nonostante una proprietà, ricchissima, non solo non trova, ma probabilmente allontana, aziende che avrebbero volentieri abbinato il proprio nome e marchio a quello conosciuto e apprezzato dell'AC MILAN.  

Quando si trattano queste operazioni, la semplice proposta scritta o la telefonata non sono certamente sufficienti, serve saper coinvolgere, proporre soluzioni innovative, toccare tutti quei tasti emozionali che solo lo sport e il calcio in particolare riescono a trasmettere. Sono moltissime le aziende che ambiscono a sponsorizzare le squadre di calcio, ma quelle famose e vincenti, nel mondo, sono pochissime. In questo mondo globalizzato, non dovrebbe essere difficile trovare aziende che cercano visibilità a costi "convenienti". Fossi Elliott chiederei perchè ad oggi non si sono ottenuti risultati. Le "bandiere" invece che sventolarle ed utilizzarle in ruoli sbagliati perchè non vengono indirizzate in un apposito ufficio di pubbliche relazioni per rapportarsi con gli Sponsor? Incontrare Gullit, Baresi o Rui Costa, tanto per fare dei nomi, sono certo che garantirebbe un risultato ben superiore allo zero attuale. Mi domando anche se non sia meglio tagliare totalmente ogni spesa di tale settore ed affidarsi ad aziende specializzate, certamente molto costose, ma che lavorano a percentuale.

L'atteggiamento del nostro Amministratore Delegato, finalizzato a voler costantemente evidenziare quanto tutto debba essere "ridimensionato" a partire dalle ambizioni, non perdendo occasione per dichiarare che non si compreranno campioni e che gli stipendi dei calciatori (quelli dei dirigenti, no) saranno ridimensionati, contribuisce notevolmente a questo fallimento. Solo Gazidis non riesce a capire che è attraverso i giocatori che si costruisce una squadra, più forti sono più è probabile cogliere le vittorie e con esse incrementare le entrate. L'arrivo di Ibra, al di là del valore sportivo, è stato dimostrativo di quanto un "campione" possa portare visibilità. Da quando è arrivato il Milan fa notizia in tutto il mondo.

Non è vero che le squadre di calcio non possono spendere per acquistare calciatori, ma piuttosto che non possono spendere molto di più di quanto viene incassato, fra diritti televisivi, biglietti, sponsorizzazioni e altro. Con la presenza di due o tre campioni, conosciuti nel mondo, non solo si garantisce più qualità alla squadra, ma si diventa molto più attrattivi per eventuali investitori. Certo se non si è capaci di trovarli, allora la strada del risparmio è la più semplice e sicura. Un'altra massima molto famosa in ambito pubblicitario è: "chi più spende, meno spende", ma a quanto pare in Nostro Gazidis ha fatto un percorso più "glorioso e importante" di molti pubblicitari "nostrani".
Anche lo stadio nuovo è un tassello importante per aumentare il fatturato, ma non così importante come quello degli sponsor. Concludendo, si diventa attrattivi costruendo una squadra"visibile" che sia "vincente" è il passaggio successivo, inizialmente perfino meno importante.Per tornare a vincere serve applicazione e un  percorso che può essere facile o difficile a seconda delle conoscenze e capacità.

"Caro Gazidis", in tutti i sensi, se dopo due stagioni non riesce a fare i fatti, allora sembrerebbe opportuno farsi da parte, lasciare magari proprio a Rangnick il tuo compito, lui alla Red Bull ha già dimostrato come si costruiscono squadre vincenti, non da allenatore, ma da dirigente. So che non verrò ascoltato ma potrebbe mostrarci le sue capacità, senza dare il doppio incarico al tedesco, con il rischio di compromettere una sua bellissima intuizione è sufficiente che sostituisca lei.
Un bel passo indietro che oltretutto aiuterebbe notevolmente a sistemare quel bilancio a cui tiene tanto.