Anche se, rileggendo il sorprendentemente logorroico intervento dell’AD rossonero, ritrovo puntuale il tipico linguaggio da azienda, infarcito di “inaccettabile“, “stiamo lavorando duramente“, unito ad un elenco di cose oggettivamente portate a termine dal punto di vista del denaro immesso, occorre dar atto a Gazidis di aver finalmente vuotato il sacco.

Non esattamente in modo del tutto esaustivo, ma, il più volte ribadito concetto del non voler alimentare false promesse, dell’essere consapevoli che il percorso è lungo oltre che davvero duro, depone a favore del manager sudafricano.

La sensazione è che la proprietà stia lentamente capendo come sfruttare il Milan per prendere i classici due piccioni con una fava: se così sarà, ci avrà guadagnato il fondo statunitense così come i 400 milioni di tifosi rossoneri sopraffatti da anni di supercazzole e risultati sportivi degni dei peggiori incubi.

La sensazione, dicevo: si può trovarsi tra le mani il Milan e ricavarci un bel gruzzolo? Probabilmente le conclusioni dicono di sì : per farla breve se si lega il Milan alla città di Milano, l’unica in Italia che segni un Pil in crescita, si può fare. Riqualificare l’area San Siro col miglior stadio del mondo (parole di oggi), ed arricchirlo di parcheggi, shop, infrastrutture disseminate in tutta la zona metropolitana  circostante può in effetti essere il chiavistello per produrre un bel gruzzolo, ovviamente da immettere nel rafforzamento vero di una squadra ormai in ginocchio.

La stessa sottolineatura che è del tutto irrealistico avere un piano a 10 anni fa ben sperare, ma è laddove Ivan Gazidis fa i nomi che vorrei concentrarmi. Se il dirigente sottolinea i profili manageriali di cui si sta dotando la società, e mi riferisco a quelli abituati a navigare nei meandri del marketing e del finance e dando per scontato che questi siano profili di vecchi lupi nei rispettivi ambiti, non si capisce per quale motivo dal lato sportivo il fondo americano si sia affidato a degli imberbi. Probabilmente l’inesperienza in questo ambito ha portato a credere che due vessilli come Boban e Maldini fossero garanzia di operazioni felici sul mercato: i fatti purtroppo non stanno e non potevano stare in questo modo.

L’equivalente tecnico dei top ingaggiati per la parte economica e commerciale non corrisponde ai profili dei due ex, men che meno di Massara, Giampaolo o Pioli. 
È come se la FCA (ex Fiat) si fosse affidata a Marchionne per rilanciare il marchio Fiat, lasciando ad un neolaureato di 25 anni le sorti del marchio Alfa Romeo: è palese che tutto il castello sarebbe crollato. 
Non so quanto e da quando la proprietà si sia resa conto di questa dissonanza, ma è ormai fuori discussione che il Milan come società sta correndo in bici con una ruota anteriore tecnologicamente all’avanguardia e la posteriore sgonfia. 

Ovvio che gli imberbi della gestione sportiva non facciano altro che accumulare errori di mercato e guida tecnica, così come è indubitabile che la gomma a terra rallenti paurosamente tutto il processo di sontuosa crescita oggi dichiarato durante l’assemblea  dei soci.

Il Milan vive un’evidente dicotomia e la sensazione a questo punto è che la proprietà che ha comunque fretta di veder rivalutato a 360 gradi il proprio investimento, possa rivedere in tempi accettabili un intero reparto che non funziona affatto.

E il tempo non è nemmeno di aiuto.