"Non bisogna mai esaurire un argomento
al punto che al lettore non resti più nulla da fare.
Non si tratta di far leggere, ma di far pensare"
(Charles -Louis de Montesquieu)
1748

Vincent e Anthony sono due fratelli. Il primo è stato concepito a bordo di una Crysler nel corso di un’appassionata notte d’amore. La madre ha voluto che fosse la natura a concepire il suo primo figlio.
Anthony, invece, è nato in un laboratorio di genetica. I genitori lo hanno scelto maschio perché potesse fare compagnia a Vincent. E’ venuto alla luce – ma forse è improprio dire così – grazie alle avveniristiche tecniche dell’ingegneria genetica. Il suo codice genetico è stato accuratamente programmato. Nessuno dei suoi geni subirà mutazioni che potranno causargli inconvenienti come la calvizie o, peggio ancora, una propensione all’alcol o patologie più severe. Vincent – definito dai genetisti un non valido – passerà gran parte della sua vita a confrontarsi con il fratello minore Anthony.
Vi abbiamo abbozzato, sinteticamente, la trama di un film di Andrew Nicol uscito nel 1997. Il titolo è Gattaca. Un film che esplora il codice della vita, ovvero il Dna. Che significa Gattaca? Per la prima volta, nella storia del cinema, un film reca un titolo che è una sequenza di Dna. Racchiuso nelle cellule di tutti gli esseri viventi c’è questo lungo filamento in cui si ripetono quattro composti diversi, detti basi, che si chiamano adenosina, citosinaguanina e timina. Si ripetono in sequenza con le iniziali A, C, G. T. Variamente combinate, queste basi – che sono definite basi azotate – formano i geni responsabili dei caratteri ereditari. Ovviamente il titolo è stato reso pronunciabile grazie a un sapiente posizionamento della A. La genetica e le sue, per certi aspetti, sconvolgenti applicazioni non hanno ispirato solo il cinema, ma anche la letteratura.
Michel Houllebecq,
scrittore francese tra i più interessanti di questi ultimi anni, ma anche fortemente trasgressivo, in Particelle Elementari, racconta la storia di due fratellastri Michel Djerzinski e Bruno Clèment. Non hanno niente in comune salvo il fatto di essere stati abbandonati dalla madre.
Il primo, Michel, è un biologo molecolare. Tutta la sua vita l’ha dedicata allo studio. Conduce una vita monastica, immerso nei suoi libri e passa le giornate nel laboratorio del centro di ricerca dove lavora. Il suo progetto, ambiziosissimo, è clonare gli esseri umani per donare loro  una vita perfetta.
Bruno è un professore di lettere.
Attratto dal sesso, in maniera patologica, deve ricorrere a cure specialistiche. Michel, con la sua asettica razionalità e Bruno afflitto dalla sua morbosità patologica sono il risultato dell’ambiente in cui vivono, fatto di solitudini che fa scaturire i suoi desideri dagli spot pubblicitari. Houellebecq tratteggia un quadro apocalittico dove lascia intravedere scenari futuri inquietanti. Gran parte della ricerca sui geni umani è indirizzata al bisogno urgente di trovare una cura per le malattie ereditarie o per quelle più comuni. Certo, inutile negarlo, la genetica presenta anche dei pericoli: discriminazioni nei premi assicurativi, nuove forme di guerra biologica e imprevisti effetti collaterali dell’ingegneria genetica. Tra questi pericoli, negli ultimi anni, ha assunto un ruolo inquietante, nel mondo dello sport,  il doping genetico.

LE  FORBICI PER IL DNA
Alle Hawaii, nemmeno nei mesi più freddi, la temperatura scende al di sotto dei 15°. Se a questo si aggiunge il paesaggio da cartolina - cielo azzurro, mare blu, spiaggia bianca – si capisce facilmente perché sono la mèta preferita e privilegiata della convegnistica di un certo livello.
Nel 1972, in questo sognante contesto paesaggistico, si svolse un convegno scientifico di rilievo. Biologi, biochimici, medici si riunirono -  mentre mogli e fidanzate si abbronzavano sulla spiaggia e sognavano al suono dell’ukulele (strumento musicale tipico delle Hawaii ndr)  - per dibattere sui Plasmidi - decisamente una roba molto meno divertente delle attività scelte da mogli, fidanzate e compagne.
Cosa sono questi Plasmidi? Sono una specie di Dna collaterale e si trovano in quasi tutti i batteri. Hanno una forma circolare, si replicano da soli e, aspetto importante per i batteri, trasferiscono informazioni genetiche tra loro.
Tra i partecipanti al convegno c’erano due specialisti del ramo o, se volete, della materia (come direbbe Checco Zalone) che sui simpatici Plasmidi ci lavoravano da tempo. Facciamo la loro conoscenza. 
Stanley Cohen, professore all’Università di Stanford, studiava i Plasmidi del batterio Escherichia Coli (non spaventatevi, è un ospite abituale del nostro intestino ndr) e Herbert Boyer dell’Università di San Francisco che da diverso tempo studiava una particolare procedura che, per capirci meglio,  possiamo paragonare a delle forbici capaci di tagliare il Dna in punti precisi. Le forbici di Boyer, tra l’altro, erano in grado di tagliare in unico punto, uno dei Plasmidi isolati da Cohen. Dovevano far fruttare questi loro know how.L’unione fa la forza tanto per capirci. Decisero di incontrarsi  e scelsero un localino fuori mano dove, tra un panino e una birra, riempirono di segni, formule e Dio sa solo cos’altro la tovaglia di carta del piccolo bar. Dove un attonito cameriere assisteva, con una certa circospezione, poco distante. In quel locale, su quella tovaglia di carta pasticciata di segni, cifre e formule, davanti a un esterrefatto cameriere hawaiano, nacque quella che oggi viene definita ingegneria genetica o tecnologia del DNA ricombinante. Si aprirono dunque quella sera nuovi e suggestivi scenari per la cura di malattie gravi, per la produzione di farmaci e, come sempre accade per ogni invenzione, anche applicazioni illecite, come, appunto, il Doping.

L’EPO NELLO SPORT
EPO è la sigla dell’Eritropoietina, un ormone che agisce nel midollo osseo e stimola la produzione di globuli rossi. E’ sintetizzata, principalmente, a livello renale e in misura minore nel fegato. Grazie all’ingegneria genetica, ovvero alla tecnologia del Dna ricombinante, la produzione avviene su larga scala, quindi è largamente disponibile, a costi abbordabili. Si ottiene utilizzando il Dna di cellule ovariche di criceto cinese, quasi indistinguibile dal punto di vista biochimico e immunologico da quella endogena umana. E’ usata dagli sportivi per aumentare la resistenza a sforzi prolungati, aumenta la massa sanguigna e quindi facilita il lavoro aerobico del muscolo. Per certi versi surroga l'allenamento in altitudine agendo però in maniera più imponente e spesso più rapida.
Ovviamente le istituzione sportive l’hanno bandita dalla lista dei medicinali consentiti. In medicina, l’EPO si usa per i pazienti che hanno un’insufficienza renale cronica e soffrono quindi di anemia (ovvero riduzioni dei globuli rossi). L’anemia è causata anche da altre gravi malattie e da alcune cure per il cancro, come la chemioterapia e la radioterapia.
Sandro Donati è stato allenatore della nostra nazionale di atletica leggera dal 1977 al 1987. E’ stato anche dirigente responsabile della ricerca e sperimentazione del Coni, componente della Commissione di vigilanza sul doping, consulente del Ministero della Solidarietà Sociale e consulente della Wada (agenzia mondiale antidoping).
Ma Donati è stato soprattutto il simbolo mondiale della lotta al doping. Sull’argomento ha scritto due libri  - I signori del doping e Lo sport del doping - due J’accuse molto documentati con nomi e cognomi senza reticenze e pochi ossequi all’establishment sportivo.

Nel 1994, Donati scrisse un Dossier sull’utilizzazione dell’EPO nel ciclismo.
“Tutti coloro che ho interpellato sull'argomento - si legge nel Dossier - sono stati concordi nell'affermare che l'eritropoietina (a volte associata ad altri ormoni) è utilizzata da un'elevatissima percentuale di ciclisti professionisti. Come logica conseguenza a un'estesa diffusione, i corridori, i tecnici, i medici, i dirigenti e i massaggiatori tendono a costituire una vera e propria barriera di riservatezza, impenetrabile dall'esterno dei loro ambienti.”
Sulle pratiche EPO Donati ha scritto: l'eritropoietina si è rivelata estremamente efficace per lo sviluppo della capacità di prestazione agonistica ed è divenuta la forma di doping più diffusa e praticata almeno dal 60-70 dei corridori.”
Ma l’aspetto più inquietante che emerse dalle indagini di Donati fu che l’EPO “veniva combinata con una miriade di altri farmaci. Questo insieme di veleni provoca una minaccia costante alla salute dei corridori, fino a che il loro organismo non cede. Si è sempre detto che l’antidoping sta un passo indietro alla farmacologia utilizzata dagli atleti. Siamo in una fase di controlli serrati ed efficaci, oppure c’è da sospettare che l’abuso di farmaci agisca sotterraneamente incontrastato?”

Il ricorso all’eritropoietina, nel ciclismo, assunse un tragico ruolo nella drammatica vicenda di Marco Pantani. Il ciclista riminese nel ’94, prima del Giro d’Italia, aveva un ematocrito a 40,7. Durante il Giro salì a 54,5. Quando finì il Giro il suo ematocrito era al 58%. Da ricovero immediato 
(l’ematocrito esprime il rapporto tra la parte liquida del sangue – plasma – e la parte corpuscolare  cioè i globuli rossi. Quando leggiamo, ad esempio, ematocrito 35, significa che ci sono 35 milioni di globuli rossi nel sangue. Ndr).

PROCESSO ALLA JUVE
Durò tre anni. Dal 2002 al 2005. Ad avviarlo furono le indagini del Pubblico Ministero Raffaele Guariniello. L’inchiesta del magistrato partì da un lungo interrogatorio di Zdenek Zeman che, nel 1998, aveva sconvolto il mondo del calcio italiano con una serie di dichiarazioni, ai giornali che definire esplosive è dire poco, anzi pochissimo. Zeman lanciò accuse precise contro la Juventus, la società più potente d’Italia. Emanazione calcistica dell’unica grande industria italiana.
Gianni Agnelli diceva: “Quello che fa bene alla Fiat, fa bene all’Italia”.
Filosofia che spiega meglio di mille trattati di sociologia, il forte legame identitario tra l’industria torinese e la nazione.
Nel novembre 2004, a Torino, la sentenza pronunciata in nome del popolo italiano stabilì, citiamo testualmente: “Vi è la prova piena e certa che la Juventus ha somministrato eritropoietina ai suoi giocatori per modificarne la prestazione agonistica, alterando il risultato della competizioni sportive”. 
Riccardo Agricola, medico della squadra torinese, fu condannato a 1 anno e 10 mesi. Assolto, invece, l’amministratore delegato Antonio Giraudo con formula dubitativa (nuova procedura che assorbì la vecchia insufficienza di prove) e poi prosciolto o prescritto entrambi per i reati minori contestati dai pm Guariniello, Panelli e Colace.
Commentando gli esiti del processo, l’allora direttore della Scuola dello Sport del Coni, professor Pasquale Bellotti, dichiarò: ”L’EPO trasforma in campioni anche i brocchi”.
Nella relazione del perito del tribunale, Giuseppe D’Onofrio, si legge: "Dai valori ematici di Conte e Tacchinardi emerge un uso 'acuto' di eritropoietina, somministrata per brevi periodi, in occasione di ricoveri ospedalieri per accelerare il recupero agonistico.
In uno dei due ricoveri di Conte, lo sbalzo di emoglobina è talmente rapido e cospicuo da spiegarsi solo con 'pratiche trasfusionali'.
Poi si riscontra - si legge ancora nella relazione peritale - anche un uso 'cronico' di EPO su gran parte dei 20 giocatori considerati: Conte, Del Piero, Di Livio, Ferrara, Pessotto, Tacchinardi, Torricelli, Dimas, Iuliano, Montero, Zidane”.
La Juve ricorse in appello e nel dicembre del 2005 la Corte decise che la legge dell’epoca non considerava reato ciò che era successo e che l’EPO non era stata utilizzata.
Antonio Giraudo commentò: “E’stata fatta giustizia”.


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(SEGUE)